di Giuseppe Manunta (Dialogo).
Insignita del Premio Alghero Donna per la sezione Giornalismo, Vania De Luca è un volto storico della Rai, azienda nella quale racconta le vicissitudini dei Pontefici e la vita della Chiesa. CaporedattoreVaticanista Tg3, nel 2016 è stata eletta presidente dell’UCSI (Unione cattolica stampa italiana), prima donna in quasi 60 anni di storia dell’Unione.
Vania De Luca ha da sempre sognato di fare la vaticanista?
Assolutamente no. Avevo un blog sul sito di Rai News 24 dove mi presentavo giornalista per caso e vaticanista su richiesta. Questo perché ho cominciato a scrivere da giovanissima sul settimanale dell’Azione Cattolica, Segno sette, e attraverso questa collaborazione ero diventata pubblicista. Mi laureai in lettere, ma non pensavo che il percorso giornalistico potesse essere la mia strada futura.
La Rai bandì un concorso per il primo biennio della scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia che si apriva all’epoca e, riuscendo a entrare, mi fu riconosciuto il praticantato. Iniziai così la collaborazione con la Rai. In verità ero orientata verso l’insegnamento o la ricerca universitaria. Per quanto riguarda l’avvio dell’incarico di vaticanista, al periodo mi trovavo alla nascente Rai News 24 e si doveva individuare una persona, per ogni fascia oraria, responsabile della eventuale diretta della morte di Giovanni Paolo II. La collega “più anziana” fece il mio nome, e in quel contesto mi aiutò la formazione ricevuta in Azione Cattolica e la conoscenza del Papa sia da giovanissima che da giovane.
Mi trovai quindi a gestire una lunghissima diretta, il 2 Aprile 2005, e il Direttore decise di collocarmi in quell’ambito. All’epoca in Rai News non avevamo le specializzazioni tematiche, ma avevamo un’organizzazione per fasce orarie. Mi capitò di condurre quando c’erano notizie o servizi sul Pontificato, o l’Angelus domenicale, o nell’approfondimento con Giancarlo Zizola, il nostro vaticanista esperto. Successivamente mi venne chiesto di prendere l’accredito permanente in Sala stampa vaticana e di fare anche qualche viaggio con il Papa: il primo fu in Camerun con Benedetto XVI.
Un elemento positivo e uno critico della sua professione?
Positivo, portarmi sempre ad avere la testa in cose alte! Ogni giorno leggo i bollettini di sala stampa vaticana, i discorsi del Papa alle varie udienze… Tra l’altro sono diventata caporedattore di una redazione politica e avrei dovuto occuparmi del polo politico istituzionale in cui c’era dentro il Vaticano. Dopo un paio di mesi si dimise Benedetto e quindi ritornai a occuparmi delle dinamiche apostoliche con la testa nelle cose della Chiesa, con l’inquietudine che questo comporta, non essendo un percorso lineare. Basti pensare alle riforme avviate da Papa Francesco con questa Chiesa sinodale, che vorrebbe permanente, o la modifica della Curia.
Negativo c’è che, dopo tanti anni, pensi di avere uno sguardo disincantato sull’argomento, ma che in realtà diventa limitato. Il nostro sguardo giornalistico ci deve portare a vedere le cose sempre come una novità e con occhi trasparenti. Quando invece siamo condizionati dalla nostra forma mentis, e anche dalla storia che ci portiamo dietro, rischiamo di non avere un sano distacco rispetto alla materia che trattiamo.
Quanti Papi ha raccontato? E quali sono, dal suo punto di vista, i loro tratti identificativi?
Dalla fine del pontificato di Giovanni Paolo II, poi Benedetto e ora Francesco.
Li distinguono caratteristiche di personalità, di formazione e anche di Paese di provenienza. Di Giovanni Paolo II oggi rivaluto l’empatia fortissima con i giovani, maturata anche con l’idea delle Giornate mondiali della gioventù. Era un trascinatore, in qualche modo folle.
Di Benedetto XVI ricordo quando ci fu la sua rinuncia al pontificato e poi l’elicottero che lasciava San Pietro per andare a Castel Gandolfo, che commentai come «Un gigante che esce in punta di piedi». Se prendi un testo di Benedetto XVI ti allarga il cuore, scritto da un teologo conoscitore della società. Papa Francesco all’inizio mi spiazzava, perché mentre con Benedetto eravamo abituati a spiegare il Papa – leggerlo, comprenderlo, semplificarlo – con lui l’impressione era che bucasse il video. Commentai subito che Francesco non avesse bisogno del vaticanista, ma la mia direttrice Monica Maggioni, mi disse che questo Papa non andava spiegato, ma accompagnato. Come comunicatore, Francesco ha una capacità straordinaria, volendo stabilire un contatto diretto con i giovani e, adesso che è più anziano, con i bambini. C’è una volontà fortissima di guardare al mondo, alle periferie, con uno sguardo non europeo.
Siamo nell’anno del Giubileo. Dal suo punto di vista il giornalista è in grado di comunicare quella speranza di cui parla Papa Francesco?
Il meccanismo della notiziabilità prevede che dove c’è la scintilla di quello che non va, là c’è anche l’interesse e là c’è anche la notiziabilità delle cose. Quindi se va tutto bene non c’è notizia. Se invece qualcosa va male, lì c’è notizia. Io credo che però bisogna stare attenti, perché non tutta la realtà è negativa. Credo che, quando c’è questo male, bisogna cercare se in quel male esiste un angoletto di luce che è la strada di speranza, perché anche quel male non abbia a replicarsi, a duplicarsi, a crescere. Poi, secondo me, ci fa bene dare spazio, voce e visibilità anche a buone pratiche ed esperienze positive. Nei telegiornali vedo la cronaca nera sempre più nera e mi sembra ci sia una ripetitività e una banalità del male, che diventa sempre più profondo, terribile, buio. La speranza ci deve portare a guardare la realtà con un’altra prospettiva. Anche il racconto degli scandali in Vaticano o nella Chiesa deve essere sempre elaborato nel pieno rispetto della verità e delle persone protagoniste, nel bene o nel male della vicenda.
Il suo è uno sguardo privilegiato nel raccontare le vicende del Vaticano. Che idea ha dell’Istituzione dello Stato Pontificio?
Èqualche cosa che, nella forma e nelle personalità, è frutto di una tradizione. Ma è anche il risultato della novità delle persone che oggi incarnano quell’istituzione. A volte si dice: “Il Papa è una luce, un faro, però la Chiesa…”. Credo invece che ci siano tante persone che, dentro l’Istituzione, lavorano quotidianamente nell’ombra, a volte nel silenzio, con preziosi risultati.
Ma l’Istituzione è fatta da uomini e donne che trovano appagamento del loro ruolo, della loro funzione, del loro abito. Così come la vocazione è un fatto individuale, anche la tentazione è un fatto individuale. La vera chiave di volta in senso cristiano è un ritorno alla Parola, alla spiritualità e alla preghiera, ma non la preghiera delle formule, ma quella che ti cambia il cuore, ti mette in discussione, quella che ti cambia. Quella che ti fa riconoscere nei tuoi limiti e che libera le tue potenzialità, i tuoi talenti.
Nell’ obelisco che si trova al centro di Piazza San Pietro c’è quel versetto – Non praevalebunt, “le tenebre del male non prevarranno contro di lei” – che indica come, nella Chiesa ci sia una fortissima tentazione, ma ci sia anche la santità.
Come immagina il dopo Francesco?
Credo che non solo alcune riforme, ma anche alcune modifiche nello stile portate da Papa Francesco siano irreversibili, a iniziare dallo stile del pontificato. Immagino vivremo un Conclave inedito, perché non ci sono più le grandi figure di area conservativa e area progressista, ma c’è una maggioranza di Cardinali creati da Francesco che sono di sedi cardinalizie non tradizionali, che rappresentano la novità. E questa novità non è mai un salto nel vuoto, ma è una novità nella continuità. La Chiesa di Papa Francesco ha un’inquietudine interna positiva e credo che, ora più che mai, sia importante capire quale sia la volontà di Dio per una Chiesa che continui ad avere la preoccupazione del mondo, perché essa esiste per il mondo.
Vania De Luca: “Nella Chiesa la verità si comunica”
di Giuseppe Manunta (Dialogo).
Insignita del Premio Alghero Donna per la sezione Giornalismo, Vania De Luca è un volto storico della Rai, azienda nella quale racconta le vicissitudini dei Pontefici e la vita della Chiesa. CaporedattoreVaticanista Tg3, nel 2016 è stata eletta presidente dell’UCSI (Unione cattolica stampa italiana), prima donna in quasi 60 anni di storia dell’Unione.
Vania De Luca ha da sempre sognato di fare la vaticanista?
Assolutamente no. Avevo un blog sul sito di Rai News 24 dove mi presentavo giornalista per caso e vaticanista su richiesta. Questo perché ho cominciato a scrivere da giovanissima sul settimanale dell’Azione Cattolica, Segno sette, e attraverso questa collaborazione ero diventata pubblicista. Mi laureai in lettere, ma non pensavo che il percorso giornalistico potesse essere la mia strada futura.
La Rai bandì un concorso per il primo biennio della scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia che si apriva all’epoca e, riuscendo a entrare, mi fu riconosciuto il praticantato. Iniziai così la collaborazione con la Rai. In verità ero orientata verso l’insegnamento o la ricerca universitaria. Per quanto riguarda l’avvio dell’incarico di vaticanista, al periodo mi trovavo alla nascente Rai News 24 e si doveva individuare una persona, per ogni fascia oraria, responsabile della eventuale diretta della morte di Giovanni Paolo II. La collega “più anziana” fece il mio nome, e in quel contesto mi aiutò la formazione ricevuta in Azione Cattolica e la conoscenza del Papa sia da giovanissima che da giovane.
Mi trovai quindi a gestire una lunghissima diretta, il 2 Aprile 2005, e il Direttore decise di collocarmi in quell’ambito. All’epoca in Rai News non avevamo le specializzazioni tematiche, ma avevamo un’organizzazione per fasce orarie. Mi capitò di condurre quando c’erano notizie o servizi sul Pontificato, o l’Angelus domenicale, o nell’approfondimento con Giancarlo Zizola, il nostro vaticanista esperto. Successivamente mi venne chiesto di prendere l’accredito permanente in Sala stampa vaticana e di fare anche qualche viaggio con il Papa: il primo fu in Camerun con Benedetto XVI.
Un elemento positivo e uno critico della sua professione?
Positivo, portarmi sempre ad avere la testa in cose alte! Ogni giorno leggo i bollettini di sala stampa vaticana, i discorsi del Papa alle varie udienze… Tra l’altro sono diventata caporedattore di una redazione politica e avrei dovuto occuparmi del polo politico istituzionale in cui c’era dentro il Vaticano. Dopo un paio di mesi si dimise Benedetto e quindi ritornai a occuparmi delle dinamiche apostoliche con la testa nelle cose della Chiesa, con l’inquietudine che questo comporta, non essendo un percorso lineare. Basti pensare alle riforme avviate da Papa Francesco con questa Chiesa sinodale, che vorrebbe permanente, o la modifica della Curia.
Negativo c’è che, dopo tanti anni, pensi di avere uno sguardo disincantato sull’argomento, ma che in realtà diventa limitato. Il nostro sguardo giornalistico ci deve portare a vedere le cose sempre come una novità e con occhi trasparenti. Quando invece siamo condizionati dalla nostra forma mentis, e anche dalla storia che ci portiamo dietro, rischiamo di non avere un sano distacco rispetto alla materia che trattiamo.
Quanti Papi ha raccontato? E quali sono, dal suo punto di vista, i loro tratti identificativi?
Dalla fine del pontificato di Giovanni Paolo II, poi Benedetto e ora Francesco.
Li distinguono caratteristiche di personalità, di formazione e anche di Paese di provenienza. Di Giovanni Paolo II oggi rivaluto l’empatia fortissima con i giovani, maturata anche con l’idea delle Giornate mondiali della gioventù. Era un trascinatore, in qualche modo folle.
Di Benedetto XVI ricordo quando ci fu la sua rinuncia al pontificato e poi l’elicottero che lasciava San Pietro per andare a Castel Gandolfo, che commentai come «Un gigante che esce in punta di piedi». Se prendi un testo di Benedetto XVI ti allarga il cuore, scritto da un teologo conoscitore della società. Papa Francesco all’inizio mi spiazzava, perché mentre con Benedetto eravamo abituati a spiegare il Papa – leggerlo, comprenderlo, semplificarlo – con lui l’impressione era che bucasse il video. Commentai subito che Francesco non avesse bisogno del vaticanista, ma la mia direttrice Monica Maggioni, mi disse che questo Papa non andava spiegato, ma accompagnato. Come comunicatore, Francesco ha una capacità straordinaria, volendo stabilire un contatto diretto con i giovani e, adesso che è più anziano, con i bambini. C’è una volontà fortissima di guardare al mondo, alle periferie, con uno sguardo non europeo.
Siamo nell’anno del Giubileo. Dal suo punto di vista il giornalista è in grado di comunicare quella speranza di cui parla Papa Francesco?
Il meccanismo della notiziabilità prevede che dove c’è la scintilla di quello che non va, là c’è anche l’interesse e là c’è anche la notiziabilità delle cose. Quindi se va tutto bene non c’è notizia. Se invece qualcosa va male, lì c’è notizia. Io credo che però bisogna stare attenti, perché non tutta la realtà è negativa. Credo che, quando c’è questo male, bisogna cercare se in quel male esiste un angoletto di luce che è la strada di speranza, perché anche quel male non abbia a replicarsi, a duplicarsi, a crescere. Poi, secondo me, ci fa bene dare spazio, voce e visibilità anche a buone pratiche ed esperienze positive. Nei telegiornali vedo la cronaca nera sempre più nera e mi sembra ci sia una ripetitività e una banalità del male, che diventa sempre più profondo, terribile, buio. La speranza ci deve portare a guardare la realtà con un’altra prospettiva. Anche il racconto degli scandali in Vaticano o nella Chiesa deve essere sempre elaborato nel pieno rispetto della verità e delle persone protagoniste, nel bene o nel male della vicenda.
Il suo è uno sguardo privilegiato nel raccontare le vicende del Vaticano. Che idea ha dell’Istituzione dello Stato Pontificio?
Èqualche cosa che, nella forma e nelle personalità, è frutto di una tradizione. Ma è anche il risultato della novità delle persone che oggi incarnano quell’istituzione. A volte si dice: “Il Papa è una luce, un faro, però la Chiesa…”. Credo invece che ci siano tante persone che, dentro l’Istituzione, lavorano quotidianamente nell’ombra, a volte nel silenzio, con preziosi risultati.
Ma l’Istituzione è fatta da uomini e donne che trovano appagamento del loro ruolo, della loro funzione, del loro abito. Così come la vocazione è un fatto individuale, anche la tentazione è un fatto individuale. La vera chiave di volta in senso cristiano è un ritorno alla Parola, alla spiritualità e alla preghiera, ma non la preghiera delle formule, ma quella che ti cambia il cuore, ti mette in discussione, quella che ti cambia. Quella che ti fa riconoscere nei tuoi limiti e che libera le tue potenzialità, i tuoi talenti.
Nell’ obelisco che si trova al centro di Piazza San Pietro c’è quel versetto – Non praevalebunt, “le tenebre del male non prevarranno contro di lei” – che indica come, nella Chiesa ci sia una fortissima tentazione, ma ci sia anche la santità.
Come immagina il dopo Francesco?
Credo che non solo alcune riforme, ma anche alcune modifiche nello stile portate da Papa Francesco siano irreversibili, a iniziare dallo stile del pontificato. Immagino vivremo un Conclave inedito, perché non ci sono più le grandi figure di area conservativa e area progressista, ma c’è una maggioranza di Cardinali creati da Francesco che sono di sedi cardinalizie non tradizionali, che rappresentano la novità. E questa novità non è mai un salto nel vuoto, ma è una novità nella continuità. La Chiesa di Papa Francesco ha un’inquietudine interna positiva e credo che, ora più che mai, sia importante capire quale sia la volontà di Dio per una Chiesa che continui ad avere la preoccupazione del mondo, perché essa esiste per il mondo.