Uno stile grazioso per stupire gli abitudinari e i “lontani”
di Mons. Antonello Mura.
La Chiesa esiste per evangelizzare, e nello stesso tempo essa stessa – oltre che responsabile – è frutto di questa evangelizzazione. Per questo non deve sorprendere che la Chiesa – come è avvenuto fin dai primi tempi– s’interroghi spesso sulle modalità da mettere in atto per annunciare il Vangelo. Oggi, la grazia di avviare una nuova tappa dell’annuncio della fede, è tanto più necessaria quanto più evidenti si rivelano le situazioni che l’accompagnano.
In particolare nella catechesi dell’iniziazione ai sacramenti del battesimo, dell’eucaristia e della cresima – senza dimenticare la preparazione al matrimonio cristiano – si constata la “fine” di un certo tipo di cristianesimo. Attorno a noi le persone – gli adulti! – oltre ad essere lontana dalle pratiche religiose, sono diventate spesso anche indifferenti alla fede. Il nostro linguaggio risulta loro incomprensibile, e non manca chi intende eliminare perfino le impronte che la religione ha lasciato nella cultura.
Ma vi è anche un “nuovo” cristianesimo che avanza, e che bisogna incoraggiare. Le opportunità che il nostro tempo offre all’annuncio del Vangelo sono numerose, e possono contribuire a generare uno stile pastorale che si presenta come una vera e propria conversione. Come ho scritto nella Lettera pastorale siamo sempre più chiamati a passare da una scontata «catechesi per la maturazione della fede» a una catechesi «di proposta della fede».
I nostri credenti infatti, dopo “un primo annuncio” che li ha coinvolti in maniera saltuaria in qualche passaggio veloce della loro vita (battesimi, prime comunioni, cresi¬me, matrimoni e funerali) danno la fede per scon¬tata, oppure ne hanno una rappresentazione parziale, confusa, se non addirittura distorta. Molti cristiani vivono una fede di abitudini; altri si limitano a qualche gesto e rito. Molti si sono allontanati e si tengono a prudente distanza. Si tratta ora di far loro riscoprire la novità profonda del Vangelo, quasi un ritorno al «primo amore», al «pri¬mo stupore». Chi cioè si è allontanato dalla comunità per varie ragioni: per dimenticanza, per trascuratezza, per ostilità, per distacco fisiologico, per esperienze negative con la Chiesa e i suoi rappresentanti, per vari influssi culturali e sociali ha bisogno di un “secondo annuncio”, che lo ri-avvii alla fede.
Si tratta di accostare le persone sapendo che non sono una tabula rasa, ma che hanno un vissuto di fede che va ripreso, lasciato esprimere e rielaborato. Questo è il compito del cosiddetto secondo annuncio.
Un compito che va portato avanti con uno stile che un autore come Fossion definisce lo stile grazioso dell’evangelizzazione (A. Fossion, «Annuncio e proposta della fede oggi», in ScCatt 140 (2012), pag. 301), precisando che la modalità di enunciazione e trasmissione della fede deve essere «graziosa», nel senso che «la testimonianza resa alla grazia di Dio tocca anche il modo di enunciarla».
Per questo la Chiesa deve riflettere sul suo stile di azione pastorale, perché la proposta del Vangelo va fatta con delicatezza e umiltà, gratuitamente e disinteressatamente, secondo lo stile di Gesù: umile, compassionevole, dialogico, relazionale.
Come scrivevano i Vescovi italiani negli Orientamenti Pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (nn. 118-119), con uno stile di prossimità, del prendersi cura dell’altro nella gratuità, del farsi uno col l’altro, fino a «farsi l’altro». Lo stile di Filippo, che sale sul carro dell’etiope (At 8,26-40).
+ Antonello Mura
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