Una serata comunitaria in Ogliastra
di Giorgio Zanchini.
Anzitutto la sorpresa. La sorpresa di trovare centinaia di persone in una bella serata di agosto, all’ora di cena, in uno degli angoli più celebrati della Sardegna.
Sorpresa perché spesso tendiamo a sottovalutare la resistenza delle reti, delle comunità, delle aggregazioni del nostro Paese, del nostro territorio, distratti come siamo dalla connessione perenne all’altra Rete, quella che ormai – anche portando progresso e partecipazione, figuriamoci, non lo negherò di certo – ha colonizzato il nostro presente, e presi da impegni quotidiani che non aiutano i momenti collettivi.
E invece continuano per fortuna a muoversi tanti altri attori, continuano a vivere altri tipi di legami, altri modi di stare assieme, di agire, di costruire.
Il nostro è un Paese antico, la nostra è una terra antica, la Sardegna è una terra antichissima. Significa, credo, che certe strutture e valori e progetti vengono da lontano, sono state e sono gli architravi di corsi durevoli, di identità che ci definiscono e che vengono solo sfiorate da fenomeni e mode spesso passeggeri.
La Chiesa è ancora nel cuore, forse il cuore, di questi processi di lunghissimo periodo, dell’identità che tiene assieme il Paese. Non è semplice continuare ad esserlo in un contesto storico di forte secolarizzazione, in cui a definire ciò che siamo contribuiscono culture diverse, mondi diversi, portatori di valori, visioni, progetti spesso molto distanti l’uno dall’altro.
Siamo una società plurale e aperta, e questo è oggettivamente un bene. Nel benvenuto pluralismo credo però sia altrettanto positivo che ci sia chi costruisca, investa, progetti, nei legami, nello stare assieme, nel partecipare, nel coinvolgere e condividere. E nel pensare – e quindi progettare e laddove possibile costruire – a una società migliore, più equa, più fraterna.
Ecco, questa è la prima impressione che ho avuto a Tortolì. La capacità della Chiesa di continuare a parlare alla propria comunità, a costruire legami, a far incontrare fisicamente le persone per ragionare, ascoltare, o anche semplicemente distendersi.
Sarà l’energia, l’empatia, l’acutezza del vescovo Antonello, sarà la carica di sacerdoti come don Giorgio o don Pietro, o la passione, non saprei come altro definirla, dei tanti volontari, fatto sta che mi è sembrato di avere di fronte partecipazione, fratellanza, confronto, attenzione all’altro.
In un contesto, l’anfiteatro Caritas di Tortolì, che mi è sembrato esso stesso un luogo fisicamente aperto, solidale, dal volto ospitale.
Poi, certo, c’è stata la serata in sé. Introdotta e chiusa dalle parole del Vescovo, guidata dall’intelligenza e dalla simpatia di un amico e grande giornalista come Giacomo Mameli. E ruotata attorno alle risposte – pacate, ragionevoli, costruttive – di Carlo Cottarelli sulle grandi questioni economiche del presente, o a quelle del sottoscritto, senz’altro meno esperto e lucido di Giacomo, sulle difficoltà dell’informazione di essere all’altezza delle sfide del presente.
Ma quei contenuti, pur – spero – utili, importanti, mi sono sembrati quasi passare in secondo piano rispetto al contesto in cui si calavano, come se appunto fossero contenuti aggiuntivi a un capitale umano, sociale, cristiano già di suo molto forte.
Non è un caso, ovviamente, che il titolo della manifestazione di quest’anno sia stata: Quanto corri! Dove vai?! Che mi sembra in linea con quanto provavo a scrivere poco fa: interrogarsi sul senso delle proprie azioni, del proprio progetto di vita in un’epoca affollata di stimoli che lasciano pochissimo tempo per fermarsi a riflettere sulle domande di senso.
In fondo anche il dibattito di quella sera, apparentemente su un altro piano e su altri temi, è stato uno stimolo a riflettere sulla direzione del nostro mondo, sulle fragilità economiche del nostro presente, sulle chiavi per una crescita e uno sviluppo più equo, meno diseguale. Cottarelli ci ha aiutato a capire la genesi e l’evoluzione del fenomeno globalizzazione, a leggerne il portato positivo e i limiti, a definire come e dove intervenire per costruire una società più giusta. Così come la discussione sull’informazione – partita come ovvio da un’analisi della situazione in Afghanistan – ha cercato di essere un confronto sui limiti e le potenzialità del giornalismo italiano, sui rischi e benefici di un’informazione dominata dalla grandi piattaforme della Rete, sugli strumenti migliori per acquisire consapevolezza, coscienza critica.
L’orizzonte è quello dei valori, del sistema valoriale, della crescita comune, e il fatto di riuscire in un contesto vacanziero d’agosto a mettere assieme così tanta gente, dapprima in silenzio e poi a ragionare sulle cose dette, credo sia uno dei tanti frutti dell’impegno della diocesi e di chi lavora per costruire comunità.
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