In breve:

Una fede inutile?

Folla

di Mons. Antonello Mura.
Domenica 6 ottobre, nella parola del Vangelo è risuonato l’accorato appello degli apostoli a Gesù: «Accresci in noi la fede!»(Cf. Lc 17,5-10). E che la fede di chi stava vicino a Gesù fosse molto debole, lo testimonia la risposta, pungente e provocatoria: «Se aveste fede quanto un granello di senape…». La fede degli apostoli era quindi quasi insignificante, perché Gesù cita l’esempio del granello di senape, che appare talmente piccolo da essere praticamente inesistente.
Due considerazioni sembrano imporsi. La prima: se davvero, come spesso diciamo, che a crescere non dev’essere la “quantità” della fede, ma la sua “qualità”, allora un autentico rischio lo corrono quelli che pensano di non avere nulla da imparare, che si considerano arrivati e realizzati. Il rischio dell’inefficacia della propria fede, come l’esperienza della sua paralisi è dietro l’angolo, soprattutto pensando a quegli adulti che non hanno scelto, o non hanno ricevuto la proposta di una formazione permanente, l’unica – a pensarci bene – che eviti un infantilismo della fede consolidato o di ritorno, conseguenza di un’evangelizzazione finalizzata unicamente ai sacramenti dell’iniziazione cristiana.
La ragione della debolezza della nostra fede continua ad essere la smentita dei fatti, in particolare quando la vita risulta diversa da quello che il Vangelo proclama, contraddizione ancora più difficile da superare quando ci si è abituati a diluire la fede cristiana dentro una generica fede naturale. L’autenticità del credente passa dal rinunciare a seguire quei moti psicologici o anche solo devozionali di una fede che non ha nulla a che vedere con Gesù Cristo, credendo piuttosto nel Dio che ha scelto di prendere parte alla nostra storia. Si crede quindi guardando negli occhi questo mondo, per il quale Dio si è impegnato totalmente, non rimanendo scandalizzati di fronte ai fatti che sembrano smentirlo. La mia fede è la fede nel Dio che mi ha assicurato che questo mondo di violenze, di ingiustizia, di disumanità finirà e se la fine indugia devo attenderla perché verrà e non tarderà.
La fede è quindi chiamata a passare attraverso lo scandalo, che continuamente ci viene incontro.
Una fede inutile? La seconda considerazione, parte da una domanda: perché il Vangelo parla di «servi inutili»? Un cristiano diventa adulto quando nei confronti di Dio non accampa diritti e non ha pretese. E la fede è inutile perché non porta guadagni, è «senza utilità», gratuita, libera. Concretamente una fede adulta. L’inutilità del servizio non rende la nostra opera inefficace, ma ci rende consapevoli che essa non sarà mai tale da divenire compiuta totalmente. Ma questo non ci esenta dall’agire. Un detto ebraico afferma che chi salva una sola vita umana è come se salvasse il mondo intero. Interessante quel «come se», a significare che se è vero che la totalità non è salvata, quello che facciamo anche solo a un singolo è comunque un dovere assoluto.
«Dopo che avrete fatto tutto dite: siamo servi inutili». Dopo, quindi guai a chi lo dice prima! Peccato che molti, anche credenti, esortano a occuparsi di sé, piuttosto che attraversare il mondo investendo in esso le proprie energie di fede. Ma se diciamo che siamo inutili prima di aver fatto, non siamo né credenti né credibili.

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