Tra i bimbi afghani che non conoscono compleanni
di Mauro Annarumma.
È un attimo. Mentre ci fermiamo, la strada si riempie di bambini con la mano protesa alla ricerca di bottiglie d’acqua, di gulì (pastiglie), dolci o penne. Il loro vociare è per lo più incomprensibile, tanto è varia la lingua da una parte all’altra dell’Afghanistan. Ma, ovunque, sono loro, i bambini, a correre per primi e a reinventarsi provetti mimi per sostituire alle parole i gesti più esplicativi.
Dietro di loro, quasi sempre già con il velo a nascondere i capelli, ci sono le bambine. Imparano da subito il loro ruolo nella gerarchia patriarcale della famiglia afghana.
Il matrimonio arriva all’improvviso, alla tenera età di 11-12 anni, ma anche prima, insieme al sesso.
Un atto di violenza dell’adulto, generalmente; un atto dovuto per la moglie bambina. È infatti l’uomo a scegliere la giovane sposa, facendosi carico anche del sostentamento della sua famiglia.
Ecco perché, nonostante siano permesse più mogli, la poligamia non è diffusa: non per scelta, ma per ristrettezze economiche.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Unicef, oltre 600 bambini sotto i cinque anni muoiono nelle terre afghane ogni giorno per polmonite, poliomielite, tetano, tifo, tubercolosi, dissenteria, malattie esantematiche, e il 16% non supera nemmeno il primo anno di vita. Non sanno cosa sia il compleanno: i bambini non festeggiano il compimento degli anni, forse per la mancanza di orologi e calendari nelle case di fango, forse per il valore relativo dato al tempo che scorre, misurato con il sudore che cade lento sulla fronte. Oppure, e più semplicemente, perché ogni giorno che sopravvivono meriterebbe di per sé una festa!
Nelle province più lontane dai grossi centri urbani si registrano tassi di mortalità infantile tra i più alti al mondo, e il secondo (dopo la Sierra Leone) di mortalità delle gestanti.
Decenni di guerra, abusi sessuali, violenze domestiche, assenza di scuole e spazi ricreativi, feriscono la mente dei piccoli tanto quella degli adulti. Dati dell’Organizzazione Health Net disegnano un quadro drammatico: i bambini dell’Afghanistan sono secondi solo a quelli del Nepal per disturbi mentali, soprattutto nelle regioni sotto il controllo dei Talebani, dove musica, cinema, ballo ed arte erano e sono banditi.
Ma non sono solo le malattie a minacciare la vita dei piccoli afgani: dalle varie specie di insetti, aracnidi e serpenti velenosi alle mine e agli ordigni inesplosi ma ancora letali, tutto l’Afghanistan è disseminato di trappole mortali per i più deboli. Un terreno florido anche per i mercanti di organi e di schiavi venduti nei paesi arabi.
Il lavoro minorile è ampiamente diffuso, sia per necessità sia per motivi culturali. Nelle aree più povere, dove non è possibile l’attività di compravendita tipica dei bazar, anche improvvisati, che si incrociano invece l’uno dietro l’altro nei centri abitati più grandi, i bambini aiutano il padre nei campi o nella pastorizia, generalmente nomade. Lunghe distese di oppio e grano si stagliano nelle province sul finire dell’inverno, mentre si avvicina la stagione del raccolto. Non è inusuale vedere quindi, lungo i bordi delle strade, pesanti sacchi di grano verde trasportati dai più piccoli.
Le guerre e le malattie che esse trascinano negli anni, rubano l’infanzia agli afghani.
Eppure, sono ancora tanti i bambini che hanno il coraggio di sorridere.
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