Tecnologie digitali tra opportunità e rischi
di Augusta Cabras.
Un incontro di teologia, quello di fine gennaio nel seminario vescovile di Lanusei, più che mai attuale ha visto come relatore Marco Deriu, docente dell’Università Cattolica. Significativo il tema della serata: “Gli educatori e nuovi media. Opportunità e rischi delle tecnologie digitali”.
Lo ha sentito, per la redazione, Augusta Cabras.
Prof. Deriu, in ambito educativo la tecnologia ha più opportunità o più rischi?
Opportunità. Senza dubbio. Come in tutte le cose, il rischio è collegato all’abuso o al cattivo uso. La tecnologia, che è pur sempre un insieme di strumenti creati dall’uomo per l’uomo, di per sé ha potenzialità positive. In ambito educativo ancora di più. Io sono padre di due figli di 18 e 16 anni che sono spesso attaccati ai nuovi mezzi tecnologici. Educarli a non usarli è impossibile. Bisogna educare a usarli bene, in maniera intelligente.
Tra le varie opportunità a cui fa riferimento, quale riconosce tra le più importanti?
La più importante, secondo me, è quella legata alla possibilità di costruire e mantenere delle relazioni. I mezzi di comunicazione, finché sono dei mezzi appunto e non dei fini, ci aiutano in questo. Il rischio, in questi casi, è che si entri in contatto solo attraverso il telefonino. Ma se questo aiuta a mantenere le relazioni che la distanza sfavorisce o non facilita è positivo. Facebook stesso nasce come una sorta di annuario scolastico che aiuta i vecchi compagni che si sono persi di vista a ritrovarsi. Un altro elemento è sicuramente l’immediatezza della disponibilità di contenuti, che soprattutto per i ragazzi è una ricchezza. Uno dei rischi, rispetto a queste opportunità può essere il fatto che, poiché la rete è un mare in cui si trova di tutto, bisogna imparare a discernere i contenuti. Se prima eravamo abituati al libro come fonte primaria di conoscenza o al giornale, che ha un ordine, ora nella rete non c’è un ordine, c’è l’ipertesto. La difficoltà, l’impegno e la sfida è quello di imparare a orientarsi dentro questo mare magnum.
Chi ci aiuta in questo?
Intanto la nostra coscienza con i punti saldi valoriali: giusto/sbagliato, utile/inutile, necessario/superfluo e, se parliamo di educazione, sicuramente l’esempio.
La sfida è educativa. Quali sono i modi per poter educare all’uso corretto e consapevole della tecnologia?
Il punto di partenza è quello di ricordare a noi adulti, prima ancora che ai ragazzi, che gli strumenti della tecnologia sono strumenti e non fini o obiettivi. Posto questo, io penso che si debba avere il coraggio di disciplinare questo uso. Ad esempio dare ai ragazzi dei tempi per il loro utilizzo. Faccio un paragone con il cibo. Il cibo buono fa bene, il cibo cattivo fa male, ma se abuso del cibo buono non mi fa bene, quindi bisogna educarci ed educare a utilizzare questi strumenti in maniera consapevole e responsabile. Io penso che se in famiglia, nel gruppo degli amici, in parrocchia, ecc., c’è una tenuta sociale, una relazionalità già buona, la comunicazione attraverso i media digitali non va a intaccarla ma la arricchisce. L’educazione è sul versante della integrazione di questi mezzi in relazioni già esistenti. Questi strumenti vanno usati non per isolarci, ma per connetterci.
I genitori e gli educatori sono pronti ad affrontare questa sfida?
Sì e no. A volte si tende a polarizzare per estremi: genitori che pensano che non ci sia bisogno di porsi questo problema e genitori che invece hanno molta paura di quanto male questi strumenti possano fare ai ragazzi. Secondo me, per noi adulti serve un po’ più di competenza; prima di dire a mio figlio: «Sei tante ore su Facebook, ora basta!», vediamo cosa è Facebook, conosciamo, cerchiamo di capire. La conoscenza maggiore ci rassicura e ci aiuta a interagire con i ragazzi.
C’è un limite di età sotto il quale è meglio non affidare la tecnologia?
Da genitore e da persona che si interessa a questo mondo dico ciò che io ho fatto con i miei figli. Loro hanno avuto il telefonino per la prima volta al primo anno del liceo. Ma non è raro che ce lo abbiamo anche i ragazzini delle medie o addirittura alle elementari, ma è decisamente troppo presto. Il telefonino può diventare un guinzaglio elettronico che serve a genitori ansiosi per tenere buoni i figli o per poterli meglio controllare o proteggere («qualsiasi cosa succeda chiamami!»). Questo è un grande rischio.
Quali sono le opportunità nell’ambito della scuola?
Ora tutte le scuole hanno la lavagna interattiva, multimediale, hanno una serie di contenuti digitali interessanti e importanti, così come pure la possibilità di visualizzare immagini, che possono arricchire la conoscenza. La conoscenza è certamente più immediata e i ragazzi possono attingere da una quantità enorme di contenuti.
C’è il rischio che questa immediatezza, unita alla mancata fatica della ricerca e dell’apprendimento renda la nostra memoria troppo breve?
Quello di cui noi fruiamo con la tecnologia passa molto velocemente. Per esempio, noi a scuola studiavamo tantissime poesie a memoria, ora non più. Si studiavano le tabelline mentre ora è consentito l’uso della calcolatrice; per muoverci in città usavamo le mappe ma poi ci ricordavamo il tragitto, mentre ora senza il navigatore ci perdiamo. Tanto più facilmente io trovo il contenuto che mi serve e posso tenerlo in memoria su un dispositivo tanto meno faccio la fatica di ricordarmelo. Però questo vale per la nostra generazione, meno per i nativi digitali, che penso riescano meglio a mettere insieme le due cose. È però chiaro che la memoria vada esercitata.
È reale il rischio che tra qualche secolo di noi non si sappia nulla, se usiamo solo la tecnologia?
Io sono convinto che la scrittura tradizionale sia ancora la forma migliore di conservazione e trasmissione della parola e del testo. Le memorie elettroniche e digitali dopo un po’ cambiano; pensiamo alle musicassette che ormai non si leggono più. Il digitale cambia continuamente; tra un po’ anche i Cd non si leggeranno più, mentre un libro si leggerà sempre.
Dove ci porterà la tecnologia?
C’è chi dice che a un certo punto il sistema collasserà e si tornerà indietro, ma io non credo che avverrà questo. Secondo me saremo sempre più interconnessi.
Scheda biografica.
Marco Deriu, originario della Sardegna, è sposato e padre di due figli.
Laureato in Lettere con indirizzo specialistico in Comunicazioni di massa, giornalista, si occupa professionalmente di informazione, comunicazione, relazioni istituzionali e Media Education.
Docente di Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa e di Etica e deontologia dell’informazione all’Università Cattolica, collabora con varie testate e tiene incontri e seminari sul proficuo utilizzo dei media, vecchi e nuovi, a cui ha dedicato numerosi saggi e pubblicazioni.
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