Sorella Morte
di Marco Mustaro.
Pochi giorni prima di subire l’esecuzione a morte, dalla Torre di Londra in cui era stato rinchiuso per alto tradimento, Tommaso Moro poté assistere alla decapitazione di alcuni monaci certosini: come Moro, anche loro si erano rifiutati di giurare fedeltà a Enrico VIII, il sovrano inglese che nel 1536 avrebbe imposto alla Chiesa d’Inghilterra di uscire definitivamente dalla comunione con la Chiesa di Roma (scisma anglicano). La scena cui Moro assistette fu però (diversamente da quanto umanamente ci si sarebbe potuti aspettare) quella di una festa: avvolti in candide vesti, i certosini avanzarono sereni verso il patibolo, levando canti di lode al Dio della vita e annunciando al mondo e al cielo la gioia con cui accoglievano la morte ed entravano nella comunione eterna col Padre celeste e con tutti i santi. Da dove provenivano loro la forza e la pace con cui accettavano la sorte che veniva loro imposta e che a tutta prima negava loro dignità e libertà? Chi dava loro tanta serenità?
«Per me il vivere è Cristo e il morire è un guadagno» (Fil 1,21). Così l’apostolo Paolo sintetizza ciò che succede a quanti si conformano a Cristo e imparano giorno per giorno a sedere nei cieli (Ef 2,6), là dove la morte non fa più paura e la lode di Dio esclude ogni lacrima.
«A tutti annunzio che morrò volentieri per Dio. […] Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. […] Un’acqua viva mormora dentro di me e dice: Vieni al Padre». Queste le parole con cui sant’Ignazio di Antiochia, a pochi giorni dal martirio, chiedeva a Dio di poter dare l’ultima e salvifica testimonianza finendo i suoi giorni divorato, davanti agli occhi dei suoi confratelli, dalle belve del Colosseo.
La storia della salvezza mostra come la resurrezione di Gesù Cristo, trionfando sulla paura della morte, abbia di necessità annientato ogni altra paura. Da duemila anni i santi proclamano a voce spiegata non solo che non c’è motivo di temere la morte, ma che essa è addirittura desiderabile (sorella morte), poiché, per chi ama, essa costituisce la porta di accesso alla festa eterna degli amici di Dio. Da duemila anni i cristiani desiderano contemplare almeno una volta alla settimana, nel sacrificio dell’altare, la morte del loro Signore, riconoscendola come via maestra per chi desideri la vita nuova della risurrezione. Da duemila anni, in una parola, il cielo si apre benevolo alle preghiere dei fedeli, per mostrare a tutti la vita beata di coloro che hanno acconsentito all’amore di Dio e per permettere ai suoi figli di anticipare per quanto possibile già su questa terra la felicità del cielo e di portare così al mondo la luce dell’eterno amore.
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