In breve:

Settant’anni a raccontare Cristo

misericordia

di Tonino Loddo

Le sembra ancora ieri, eppure sono passati oltre settant’anni. Era un giorno d’autunno, quando l’autunno era autunno e cominciava presto a far freddo. Don Barca l’aveva fermata alla fine della messa, mentre si attardava in piazza insieme alle sue amiche. “Devi prendere i bambini di terza elementare per il catechismo”. Così. Senza giraci molto intorno. Si era stretta nella spalle, Vittoria. Aveva appena quindici anni. “Ma io non so come fare …”, tentò. “Tu fai quello che sai fare. Al resto ci penserà il Signore”. E di punto in bianco, si era ritrovata in mano due guide grosse così, mentre il parroco se ne tornava in canonica. “Quelle parole non le ho mai dimenticate! E sono state il mio faro in tutti questi anni”. Erano tutti maschietti (“Allora si faceva così”). Oggi ha una terza media: bambini e bambine (“i tempi sono cambiati”), che si porta dietro dalla prima elementare. Per quanto tempo intende continuare?, le chiedo. “Per adesso li porto alla Cresima, poi chissà”. Ma il sorriso lieve che le si dipinge sulle labbra tradisce una voglia sorprendente di continuare. “Fino a quando mi vorranno”, sussurra, appena socchiudendo gli occhi.
Comincia a leggere quei libroni e a parlare di Dio a quei mocciosi. E comincia anche a frequentare una scuola forte che sarà la sua palestra di cultura religiosa e di spiritualità. È la Gieffe, la Gioventù Femminile di Azione Cattolica che allora, in quel primissimo dopoguerra, risorgeva impetuosa dopo le purghe fasciste. Nel 1948 è a Roma con Ninì Mossa, la delegata diocesana, in occasione del Trentennale dell’Associazione. Un viaggio povero (“dormivamo in brandine per terra”) ma entusiasmante, giacché può vedere Pio XII a un palmo di distanza, “perché a noi che eravamo in costume ci avevano fatto mettere nella prima fila”. Poi arriva don Melis che le cambia incarico. Si dovrà occupare delle Giovanissime dell’ACI. E per sei anni è solo Azione Cattolica. Quasi non c’è ragazza in paese che non aderisca. E lei lì, a insegnare cos’è la Chiesa e ad annunciare una morte che si fa gioia di risurrezione. Settimana dopo settimana. Senza perdere un colpo. Frequenta i corsi di formazione a Lanusei, con mons. Lorenzo Basoli, Carmela Murgia, Maria Gregorio… Con loro organizza perfino una tregiorni a Villagrande. E ogni estate via a Bau Mela. “Un anno portai con me settanta ragazze al campo scuola diocesano”. Si ferma, come per riassaporare la fragranza di quelle giornate trascorse nei poveri capannoni che i minatori avevano da poco dismesso. Poi comincia a contare. Una, due, tre … Francesca, Sebastiana, Michela, Lalla, Pietrina … “Sa quante di quelle ragazze hanno scelto la strada della consacrazione nella vita religiosa … Tantissime”. E lei sempre lì, mai monotona, continuamente entusiasta, ad insegnare le verità della fede, a parlare dell’Eucarestia. “Una volta sono andata a Lanusei per un corso che è durato una settimana. Mi ricordo un sacerdote: datemi una catechista che sa il catechismo – disse – e vi do una catechista che frequenta l’Eucarestia. Aveva ragione. Perché il segreto è quello. Il tabernacolo”.
Una vita ordinaria, la sua. Per giunta, con una sorella partita suora, molte delle faccende domestiche ricadono su di lei. E così, dopo la messa al mattino, eccola andare al fiume a lavare i panni, o in campagna a lavorare la terra (“Eh!, certo che la usavo la zappa …!”), o a sfaccendare in casa, a fare il pane, ad esempio… Come sono i ragazzi di oggi? “Hanno troppi impegni! Corrono sempre. Calcio, calcetto, danza, piscina, pianoforte … Non si fermano mai. Temo che siano i genitori a caricarli di così tanti impegni … Solo, mi sembra che non trovino mai il tempo per seguirne la formazione umana. Il rispetto, la cortesia, la gentilezza …, o s’imparano a casa o non s’imparano mai”.
Ma com’è una lezione di catechismo, oggi? “La prima intenzione del catechista deve essere quella di suscitare nel bambino curiosità, interesse e ammirazione verso Gesù e il suo messaggio. Senza questa curiosità, il catechismo non serve a niente”. Così, di getto: interesse e ammirazione … Ma una volta il catechismo era solo la meccanica riproposizione di alcune formulette!, la provoco. “A me è sempre piaciuto parlare con i ragazzi, spiegare. Le formule erano la conclusione di un discorso, un modo per mandare a mente il messaggio. Nulla di più”. Però!
Ma dopo la Cresima spariscono dalla Chiesa! Perché? “Manca la comunità. Manca il gusto di fermarsi a parlare con gli altri, la voglia di partecipare, di sentirsi responsabili di ciò che accade intorno. Il telefonino è diventato un regalo di Battesimo! No, così non si costruisce comunità ma solo egoismo. Una società in cui c’è benessere dovrebbe essere più attenta alle esigenze dello spirito perché ha meno esigenze materiali da soddisfare”. E allora cosa dice a questi ragazzi? “Amate la vita! Perché solo amando veramente la vita potranno amare Colui che l’ha creata!”. Ecco perché, quando la incontrano per strada, i ragazzi di una volta che oggi sono professionisti affermati, mamme in carriera o semplici casalinghe, le fanno festa. E ancora le chiedono consigli. “Anche se io sono solo una povera ignorante …”, si schermisce.
Uscendo dalla casa catechistica incontriamo alcune giovani signore. Sono catechiste. La salutano con affetto. “Vittoria è sempre sulla breccia. Quando manca qualche catechista lei è sempre disponibile a sostituire …”. Non risponde, Vittoria. Ha ottantasei anni. Ha fretta. Ha già la corona in mano. In Chiesa è appena iniziato il rosario. Non vuol fare tardi. S’inginocchia nel primo banco libero. Ave Maria, piena di grazia …, prega don Ernest dal microfono. Santa Maria …, prega piano Vittoria. Ormai è già altrove.

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