In breve:

Se anche l’abito fa il monaco

Abito

di Augusta Cabras.
Habitus/abito, habere/avere, abitudine, abitare. Nell’origine etimologica della parola abito il riferimento è al soggetto che possiede una determinata cosa, all’essere del soggetto in un determinato modo, all’abitare una situazione. E se il proverbio dice che l’abito non fa il monaco è anche vero che l’abito da sempre racconta qualcosa della persona e delle persone che lo indossano. Come segno di appartenenza o come espressione del proprio ruolo, pensiamo ad esempio alla toga del giudice o al paramento del sacerdote. Anche la storia delle nostre comunità è una prova di come l’abito non sia solo mezzo per nascondere la nudità del corpo o per proteggere, ma sia segno, espressione, linguaggio. Grazie agli abiti tradizionali indossati soprattutto dalle donne, ancora oggi, possiamo riconoscerne, ad esempio, la provenienza. La differenza del ricamo sul fazzoletto che copre il capo, la diversa lunghezza de sa fardetta, la plissettatura delle camicie, per un occhio mediamente esperto sono segni che distinguono un abito, tipico di un luogo, dall’altro. E se ancora resiste l’uso de sa fardetta, de sa camisa o blusa per le donne, per gli uomini si è uniformato tutto in modo più veloce. In alcune zone dell’Ogliastra, ad esempio, gli uomini portano ancora un bottone nero sulla giacca elegante, quale segno di vedovanza, o indossano sa berritta sulla testa, ma quasi tutti gli elementi dell’abito maschile nel corso del tempo hanno perso le connotazioni più antiche conservandosi esclusivamente per uso folkloristico.
L’abito quindi che racconta, vela o disvela. L’abito oltre la funzione fondamentale di coprire e proteggere; l’abito che rappresenta il segno di appartenenza a un gruppo e a una comunità, declinato nelle diverse forme, funzioni e colori. Se guardiamo alla realtà ogliastrina di quasi un secolo fa, magistralmente fotografata dal filologo friulano Ugo Pellis – trasferito in Sardegna negli anni compresi dal 1932 al 1935 per la stesura del celebre Atlante Linguistico Italiano – vediamo qualcosa che si è conservato nel tempo, almeno tra le persone più anziane, e qualcosa che invece si è perso per sempre.
In quelli scatti in bianco e nero, le donne appaiono con gonne lunghe che lasciano scoperta solo la caviglia, gonne sporche e impolverate dal lavoro quotidiano nei campi, dall’impegno con i tanti figli nel focolare domestico. L’abito per i giorni normali trascorsi in casa o nella campagna era generalmente composto oltre che dalla gonna, da una maglia raccolta dentro la gonna e da un fazzoletto che incorniciava il viso. Da questo si differenziava ovviamente quello delle feste, in particolare quello utilizzato per l’evento del fidanzamento e del matrimonio, confezionato su misura scegliendo tessuti di valore e colori speciali. Per un evento importante infatti, anche l’abito doveva acquistare importanza e doveva raccontare la stra-ordinarietà del momento, legato non solo a vicende personali ma comunitarie. È evidente come l’abito, nella sua forma e nel colore, così come i monili o altri segni, diventano importante veicolo d’espressione personale su cui la psicologia potrebbe veramente aver molto da spiegare.
Da bambina ricordo che negli armadi c’era sempre il vestito della domenica. L’abito che, forse per fattura, si differenziava dall’abito di tutti i giorni. Era anche quello un segno che distingueva l’ordinario dal festivo, segnava la differenza tra l’attività scolastica e di gioco all’aperto dalla partecipazione comunitaria alla messa dove davvero tutti indossavano il vestito della domenica. Mettersi addosso quell’abito diventava vestire un segno di festa, segnare la pausa dalla routine, predisporsi a un tempo breve ma gioioso. Ora anche questo aspetto si è quasi perso. Oggi la quantità di abiti prodotti e indossati, acquistati e buttati è enorme. Dal possedere il solo vestito per tutti i giorni e un vestito della domenica si è passati ad avere cataste di pantaloni, maglie, scarpe che raccontano di un consumismo senza regole, di omologazione, di un sistema che detta la moda del momento, impone il colore dell’anno, determinando in molti l’esigenza di abbandonare tutto l’abbigliamento dell’anno precedente perché dominato da un colore che sta all’opposto rispetto al colore del momento. La trasformazione del modo di vestire, di consumare gli oggetti, di acquistare anche in modo compulsivo cose obiettivamente inutili e inutilizzate è segno della trasformazione sociale e dello scorrere del tempo che tutto muta. Ma si sa, quello che chiamiamo progresso non porta con sé solo il buono.

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