Quando rovinarsi è solo un gioco
Ludopatia, un problema di cui ultimamente si sente parlare spesso. Basta leggere i giornali o digitare la parola sul web per trovare articoli dedicati alla dipendenza patologica dal gioco d’azzardo o ritrovarsi una marea di link che rimandano a quella che viene definita una vera e propria emergenza del XXI secolo.
Stiamo parlando dell’uso ossessivo, patologico appunto, delle slot machine ma anche di altri apparecchi da divertimento e intrattenimento, giochi numerici a totalizzatore come superenalotto, win for life e via giocando. L’offerta è vasta come sa bene l’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Stato che nel suo sito elenca tutte le tipologie di giochi. Inutile soffermarsi su questo aspetto visto che il tema in questione è un altro. Ciò su cui vogliamo riflettere è la presenza di un fenomeno sociale allarmante che ha conseguenze personali e familiari nefaste e che colpisce anche l’Ogliastra. Nessuna pretesa di addentrarsi sull’argomento in termini terapeutici o anche solo descrittivi. Questo è compito dei centri che direttamente si occupano del problema in termini di cura,assistenza, riabilitazione e prevenzione. Per prevenire si sono mossi numerosi Comuni sardi e anche l’Ogliastra sta facendo la sua parte accogliendo le diverse campagne di sensibilizzazione incentrate sullo slot free: niente slot.
In che modo? Attraverso sgravi fiscali promossi dalle Amministrazioni comunali per i proprietari che scelgono di non ospitare le macchinette nei loro locali. Qualcuno dirà (e ha già detto) che non è così che si previene il fenomeno. Sospendiamo il giudizio. Qui entrano in gioco gli specialisti.
Certo è che l’iniziativa suona lodevole e controcorrente in tempi di crisi in cui per qualcuno diventare concessionario di questi apparecchi è un’ opportunità di lavoro. Ma sentire raccontare di una mamma che va a giocare alle macchinette in un locale, in uno dei nostri piccoli paesi, insieme alla bambina di pochi mesi dimenticandosi di lei, lasciando inascoltate le sue richieste di attenzione, il suo pianto e i suoi strilli perché la febbre da gioco è più forte, fa venire un crampo al cuore. Non allo stomaco, al cuore.
Il proprietario del locale che ha assistito alla scena inerme non se l’è sentita di continuare ad offrire ai suoi clienti la possibilità di distruggere sé stessi e la propria famiglia in questo modo, gettone dopo gettone. Avrà pensato che sì, il logo dell’Agenzia dello Stato è quello di “Gioco leale e responsabile” ma vale solo per chi un equilibrio comportamentale ce l’ha già, per chi è responsabile e quindi affronta il gioco correttamente. Ma chi è debole quella scritta non la legge. Quelle poche parole che si allungano sotto un timone a metà, nulla dicono a chi è fragile. Allora la responsabilità se l’è presa il proprietario di quel locale scegliendo un logo che viene dalla sua coscienza, scegliendo di non far più posto alle slot machine nel suo locale. Non è un caso isolato.
Le amministrazioni comunali in alcuni casi ci hanno messo del loro garantendo sgravi fiscali a chi ha messo alla porta le slot ma chi ha intrapreso la strada delle no slot garantisce che la ragione ultima è un’altra e va ricercata in considerazioni personali che nulla hanno a che fare con i soldi ma con la voglia di fare la propria la parte di fronte a situazioni di clienti che scialacquano lo stipendio davanti agli schermi colorati dei giochi.
Le campagne di sensibilizzazione hanno sicuramente efficacia e devono partire dai giovani. Anni fa il Liceo Leonardo da Vinci di Lanusei e il Liceo Businco di Jerzu avevano partecipato al progetto GAP, gioco d’azzardo patologico, rovinarsi è un gioco accogliendo la pièce teatrale
del regista Stefano Ledda, prodotta dal Teatro del Segno.“Uno spettacolo che – si legge nella presentazione online presente sul sito www.teatrodelsegno.com – nasce dall’intenzione di mettere una lente di ingrandimento sul fenomeno del gioco d’azzardo tecnologico, mostrando come il “passatempo innocuo”del videopoker può diventare con facilità dipendenza patologica “sulla pelle della percentuale difettosa”. Uno spettacolo che racconta storie vere, storie di un’emergenza nascosta e senza volto da cui si può uscire con il supporto adeguato, con la voglia di ricominciare, di rialzarsi e non arrendersi. “Perché ciascuno - come ha detto efficacemente Monsignor Antonello Mura nel giorno del suo insediamento incontrando i carcerati del carcere San Daniele di Lanusei – è più forte dei propri errori”.
M. Franca Campus
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