Quando i conti non tornano
di Fabiana Carta.
“O natura, o natura perché non rendi poi quel che prometti allor? Perché di tanto inganni i figli tuoi?”.
Per dirla con Leopardi, contro la forza distruttrice della natura l’uomo non può nulla. Gelate, alluvioni, grandinate, incendi e interminabili periodi di siccità hanno disegnato un quadro di crisi disperata per l’agricoltura in Sardegna, coinvolgendo proprio tutti: allevatori, cerealicoltori, ortofrutticoltori, nessuno escluso. Danni ingenti, produzioni dimezzate e costi di gestione raddoppiati per aziende e singoli imprenditori.
«Dopo un’annata pessima, caratterizzata dalle bizze del clima che hanno portato gelate in primavera e caldo in autunno, stiamo assistendo a un inizio del 2018 ancora peggiore: le temperature sono ben oltre la media stagionale e i livelli d’acqua presenti nei bacini di tutta l’Isola sono sempre più preoccupanti, anche alla luce della carenza di precipitazioni», come afferma il presidente della Coldiretti Nord Sardegna, Battista Cualbu.
Una visione tragica e scoraggiante, dove non si può dare la colpa solo alla natura. Oggi un agricoltore è senza prospettive, tra burocrazia incomprensibile e una politica quasi assente, le campagne sono in totale abbandono, non ci sono incrementi nelle vigne, né negli erbai e neanche nei frutteti. Per quale motivo dovrebbero spendere dei soldi per acquistare il seme, il concime, il gasolio a prezzo pieno, se non si ottiene un guadagno nel raccolto? Per continuare su questa linea, è inutile che un agricoltore decida di coltivare il grano se poi arrivano le navi cariche di farina dal Manitoba, così come è inutile che si coltivino i pomodori sardi se poi quelli cinesi invadono il mercato, o se poi arrivano le arance dalla Spagna a costi irrisori.
Queste politiche scorrette hanno portato ad una situazione di impoverimento generale, come mi confida un imprenditore agricolo ogliastrino: «È veramente scoraggiante per chi fa questo mestiere. Non ci sono abbastanza controlli e non si rispettano le regole, qualunque cosa si decida di fare ci stai perdendo perché la maggior parte dei prodotti arriva dall’estero: Turchia, Israele, Siria, Spagna, ecc. È impossibile fare concorrenza! Sono amareggiato, le piccole realtà stanno anche peggio delle grandi aziende, siamo carichi di vincoli».
Per esempio basta ricordarci che nell’oristanese è stato riscontrato un calo del 40 % nella produzione degli agrumi, settore fortemente in crisi più di altri. Per gli agrumicoltori, oltre al calo di produzione, è in caduta libera il prezzo pagato dai grossisti, un chilo di agrumi viene venduto a circa 40 centesimi. Poniamo il caso che un agricoltore decida di vendere il foraggio: chi lo acquista dovrebbe rifarsi delle spese vendendo la carne o il latte, ma sappiamo che i prezzi sono al ribasso dal 2016 col crollo fino al 50 %; nel frattempo però sono aumentate le spese del gasolio, dei concimi e dei medicinali. È il cane che si morde la coda.
Proviamo a pensare anche a quanti imprenditori hanno investito nell’acquisto di mezzi che poi hanno dovuto lasciare dentro un garage, come mi raccontano: «Era il 1984, quando decisi di comprarmi la mietitrebbia nuova: 100 milioni tondi tondi. Quei soldi avrei potuto investirli in un appartamento in paese, invece della mietitrebbia non mi è rimasto niente. Ho fatto in tempo a pagare l’ultima cambiale. Dall’89 non ho più seminato un chicco di grano».
Ricapitolando, tra calamità naturali, prezzo del latte basso, assenza di foraggio, ritardo nei vaccini, premi comunitari bloccati o forse no, proteste, riunioni e assemblee, nel settore agricolo regna il caos più totale e un malessere diffuso.
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