Prof, genitori e alunni: se si rompe il patto educativo
di Tonino Loddo.
Seconda media di un paese d’Ogliastra. Ora di inglese. Compito in classe. Terza domanda: «Where are you from? (Da dove vieni?)». La risposta del ragazzino, rigorosamente in limba, per il suo volgare riferimento al ventre materno,non è ripetibile su questo giornale, e non perché è di ispirazione cattolica, ma semplicemente perché riteniamo che la decenza abbia un limite. La prof lì per lì non capisce: parla una limba non ogliastrina, anche se sarda essa pure. A casa ne chiacchiera col marito e cade dalle nuvole. Il giorno dopo chiede che il ragazzino venga a scuola accompagnato. Si presenta la madre sorridente: «Ma il bambino scherzava! Non vorrà prendersela per una barzelletta di questo genere! Via, prof…!».
Quando la docente mi ha raccontato questa storia (roba di poche settimane fa), mi è ripassato alla mente il film dei miei giorni di scuola. A partire dalle elementari, con un Maestro (la maiuscola non è casuale) del calibro di Ugo Deiana: un uomo probo e appassionato, colto, rigoroso e rispettabile, la cui tolleranza inizialmente abbastanza larga, vista la nostra età, si andò facendo sempre più intransigente col passare degli anni. Bastava un suo sguardo più intenso, per ricondurre tutta la classe all’ordine e al silenzio. Nessuno si sarebbe mai permesso di interrompere la lezione, men che meno di schiamazzare o di rispondere in modo scortese. Non che si sottraesse alle domande, tutt’altro! E sorrideva pure sotto quei suoi baffoni buffi, quando le domande gli sembravano ingenue o fuori luogo. Ci guardava giocare alla ricreazione e ci chiedeva il perché di alcune mosse avventate quando giocavamo con le biglie. Ma se diceva (senza urlare) «silenzio!», non occorreva mai che lo ripetesse. Un suo richiamo (ricordo ancora quello «0 in condotta» scritto in capo a una pagina del mio quaderno con grafia rotonda), mi era costato i rimproveri non solo dei miei genitori, ma di tutto il parentado (ed anche una piccola punizione).
Ed ogni volta che inizio a scrivere o apro un testo (anche in epoca digitale) io sono grato a lui (e a mia madre che con una piccola lavagnetta mi avviò alla scrittura prima ancora di andare a scuola), così come sono grato a tutti coloro che mi hanno insegnato ad impiegare le parole-segni che uso, o a intendere ciò che attraverso quelle parole-segni mi si vuol dire. È questo il miracolo della scrittura, della lettura, della comunicazione. Un miracolo semplice ma essenziale, che si ripete ogni giorno. Per questo sono così importanti coloro che ci hanno dato gli strumenti per esserne capaci, anzi – e mi scuso per l’enfasi – per esserne degni.
Oggi, a partire dalle elementari, nei confronti degli insegnanti si respira tutt’altro clima.
(Continua…)
Puoi leggere l’articolo integrale su L’Ogliastra, periodico in abbonamento della Diocesi di Lanusei.
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