Presunzione di intelligenza
di Claudia Carta.
“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Parole da supereroi.
Potere. Responsabilità. Ognuno di questi termini reca in sé una forza dirompente. Oserei dire che nei due lemmi è racchiusa un’azione e una reazioneuguale e contraria. Roba da terza legge della dinamica, certo, ma se qualcuno ne volesse indagare il pragmatismo è sufficiente ripercorrere per un attimo la galleria fotografica che il 6 gennaio scorso ha contraddistinto l’Epifania di Capitol Hill, a Washinton, cuore della democrazia a stelle e strisce.
Potere. Preso nella sua accezione di verbo, come facoltà di fare, secondo la propria volontà, mi suggerisce l’idea di riuscire a fare qualcosa perché ne ho la capacità, perché ne ho la ferma intenzione, perché – per quanto arduo e complesso sia l’obiettivo da raggiungere – posso fare ciò che mi sono prefissato. Se ci affianco l’articolo, trasformandolo in sostantivo, il potere, la questione diventa sottilmente più complessa.
È qui che entra in ballo la responsabilità. Ma anche l’aggettivo grande. Lungi da me l’intenzione di demonizzare il potere, è come sempre l’uso che se ne fa a renderne buono o meno buono il suo effetto. Straordinario o devastante. Costruttivo o distruttivo. Fecondo o sterile.
Che potere è quello che nasconde la verità, scomoda, eclatante, ma pur sempre verità? Che potere è quello che disconosce discriminazioni e violenze? Che potere è quello che semina diffidenza, odio e vendetta, istigando al sopruso e all’arroganza, alla caparbia ed egoistica presunzione di mantenerlo, quel potere, a ogni prezzo, in barba al principio infinitamente più grande e prezioso della democrazia e della libertà che da essa deriva? Che potere è quello che rende l’uomo più potente del mondo – nell’intricatissimo e delicatissimo (a tratti profondamente fragile) groviglio di equilibri economici e politici mondiali – infinitamente solo davanti al mondo?
È un potere che spaventa. Un grande potere che riesce – è questo il pericolo e la responsabilità maggiore – a fare breccia nelle teste e negli animi di chi lo recepisce, di chi lo idealizza, di chi ne fa una bandiera e, galvanizzato, riesce persino a sedersi sullo scranno più sacro dell’assise istituzionale mascherato da sciamano (il fatto che sia italo americano non è incoraggiante!).
Diceva bene il giornalista e autore satirico austriaco, Karl Kraus, quando asseriva: «Il potere dell’agitatore è di rendersi stupido quanto i suoi ascoltatori, in modo che questi credano di essere intelligenti come lui». Gli stupidi non sono solo oltre oceano. Diffidiamo da chi urla di più, da chi è affetto da sindrome del dito puntato. Serve responsabilità. Serve lungimiranza. Serve umiltà. A iniziare da noi.
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