Presente!
di Claudia Carta.
Ti accorgevi che era una giornata diversa perché, la mattina, l’aria uggiosa di novembre, la brezza di fine aprile o la luce piena di giugno riversavano, dentro le stanze, note popolari, melodie polifoniche, marce e canti che trasudavano storia. E non c’era bisogno di una app come Shazam, per riconoscere i motivi. Se il Piave mormorava calmo e placido, eri sicuro che lo straniero non sarebbe passato. Così come Sul cappello c’era sempre la penna nera degli Alpini ed “evviva evviva il Reggimento” tutta la vita! Va, pensiero, dunque, oggi un po’ meno sull’ali dorate, ma oh mia Patria, sì bella e perduta è una grande realtà.
Voglio dire che il 2 giugno, il 25 aprile, il 4 novembre erano giorni in cui tutto risuonava di “diverso”. Una diversità che faceva parte della quotidianità. Nella piazza principale del paese, una lapide. Nomi e cognomi. Prima e seconda guerra mondiale. Noi c’eravamo. Noi ragazzi, dico. Tutti presenti. Maestri e professori. Tanta gente. La corona d’alloro. La bandiera. Il tricolore. Il sindaco in fascia. Il parroco. Presenti.
Poi l’appello. Anzi, no. Poi due uomini. Immensi. Non certo per la statura. Berretto in mano, tirati a lucido, braccia lungo il corpo. Dritti, nonostante i quasi cento anni. Francesco Mura e Antonio Loi. Ricordo la loro fierezza elegante, il loro orgoglio silenzioso, il loro senso di appartenenza a una comunità chiamata Italia. E ricordo le lacrime che rigavano il loro viso, mentre quei nomi venivano scanditi, chiamati, cercati. «Presente!», rispondevano. Sempre più forte. Loro che la guerra sapevano bene cosa volesse dire. Loro che raccontavano, a chiunque avesse avuto voglia di ascoltare, che tirare di moschetto contro un altro uomo uccideva te, prima di uccidere lui. Loro che rientrare a casa in licenza significava fare 180 chilometri a piedi. Loro che insegnavano più storia ed educazione civica con un’ora della loro testimonianza che trenta mappe concettuali sull’Italia del Novecento. Presenti.
Perché è questo che importa davvero. Esserci. Partecipare. Conoscere. Condividere. Perché se ci siamo noi, domani ci saranno anche coloro che ci hanno visto. Perché se ci siamo noi, insieme a noi è presente anche chi non c’è più. E come noi ha creduto che valeva la pena spendersi fino alla fine per qualcosa di grande. Si chiamavano ideali.
Intendiamoci. Non si tratta di essere nostalgici del passato o del prima sì, che si apprezzavano le cose. Ma quando dici a un gruppo di adolescenti: «Andiamo insieme in piazza, oggi è il 4 novembre» e ti senti rispondere: «Che cos’è?», ti rendi conto che come genitore, come professore, come educatore, come amministratore, qualcosa di dannatamente importante la stai lasciando per strada. Non mi riguarda: è il cancro che mangia il nostro vivere civile.
Presenti, dunque. E attenti. Svegli. Pronti. Responsabili: di ciò che vediamo, di ciò che leggiamo, di ciò che sentiamo, di ciò che scegliamo. In un’epoca dove tutto o quasi è, o può essere fake, falso, occorre cercare, verificare, trovare la verità. «Che cos’è la verità?». È la domanda che Pilato rivolge a Cristo. È la verità che rende liberi. Non c’è libertà senza legalità. Che la nostra, dunque, sia una storia vera. Di persone vere. Di persone libere.
«Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi», sosteneva Aldo Moro.
«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà», scriveva Peppino Impastato.
«Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli», ripeteva Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Salvo D’Acquisto. Luigi Calabresi. Giovanni Falcone. Emanuela Loi. Vito Schifani. Paolo Borsellino. Pino Puglisi. Silvio Olla. Luca Tanzi…
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