In breve:

Per parlare di vocazione più coraggio e fiducia nei giovani

011210-702

di mons. Antonello Mura

Domenica 24 gennaio le comunità della diocesi celebrano la Giornata del Seminario. Con quali scopi, tenendo conto della scarsità attuale dei numeri? I dati sono immediati: due seminaristi al Seminario regionale di Cagliari (Federico e Daniel), un giovane (Evangelista) che ha completato il VI anno, più un diacono (Giuliano) in cammino verso il presbiterato. Numeri poveri, perfino scoraggianti per qualcuno. Parlando di vocazioni in senso ampio, anche un distratto osservatore ecclesiale riconosce che oggi non mancano per annunciare la chiamata di Dio, né le parole, né i documenti del Magistero e neppure i convegni o gli incontri organizzati. C’è infatti, sia tra i sacerdoti come anche tra le religiose e i religiosi, un’attenzione, un’ansia pastorale nuova e creativa verso le vocazioni di speciale consacrazione. Ma quanto più forte e pressante sembra farsi l’annuncio, tanto meno entusiasta appare la risposta. In altri tempi, si dice, pur mancando questa mobilitazione ecclesiale le vocazioni non solo non scarseggiavano ma erano anche numerose e consolanti.
É necessario far emergere qualche considerazione su questi dati. La prima arriva dalla nostra visione di fede, spesso inquinata da un criterio efficientista. Nel campo vocazionale – come anche più in generale in quello pastorale – non vale che ad ogni azione debba corrispondere una reazione, ad ogni annuncio una risposta, ad ogni invito un’adesione. Non è così. Anche la migliore animazione vocazionale non può produrre automaticamente dei frutti, perché – non dobbiamo scordarlo! – ci troviamo davanti non a un automatismo ma a un mistero. Il mistero di una persona umana. Insondabile e unico, misterioso e per niente catalogabile con criteri umani. Un sì è sempre un risultato sorprendente e misterioso, che invita allo stupore per quanto Dio compie nella vita di un giovane.
L’altra considerazione prende in esame alcune caratteristiche dello scenario culturale nel quale opera chiunque annunci il Vangelo della vocazione. Esso è fortemente segnato non solo dall’indifferenza, ma anche dall’insicurezza e dalla fragilità, con la conseguenza di avere giovani paurosi di sbagliare progetti e scelte, soggetti a veri e propri “attacchi di panico” (cfr Cencini) perché figli dell’attuale “società dell’indecisione”.
Cosa fare? Quale ruolo spetta alla comunità cristiana, in particolare ai presbiteri e agli educatori? Oggi “la fatica di continuare ad avere fiducia” coinvolge tutti, compresi i genitori, e provoca ad avere il coraggio di parole nuove e forti, evangelicamente ispirate, alternative all’invadenza di espressioni culturali e sociali che la fanno da padrone, e nelle quali entra tutto e il contrario di tutto. Non bisogna aver paura di annunciare il Vangelo della chiamata! E non bisogna addomesticarlo con intenti giovanilistici, riducendone l’impatto nel cuore dei giovani, magari per avere un consenso passeggero o legato alle emozioni del momento.
É necessario, anche per parlare di vocazione, dare fiducia ai giovani, ai nostri giovani. Accompagnarli nelle strade difficili ma affascinanti di una spiritualità che valorizza l’incontro con la Parola e la preghiera. Offrire loro più spiritualità biblica e liturgica, formandoli a vivere il gruppo e la comunità come luoghi d’incontro fraternamente e affettivamente liberanti. Invitandoli a non ritirare dalla comunità i doni e le risorse che accompagnano la loro crescita e la loro maturazione. Dobbiamo, insomma, entrare nel loro mistero sentendoci seminatori di futuro e collaboratori della vocazione che hanno ricevuto. Con fiducia e coraggio, e senza paura.

+ Antonello Mura

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