In breve:

“Pensare globale, agire locale”. Anche come cattolici

Don Milani

di Mons. Antonello Mura.
In un mondo divenuto globale, anche grazie agli strumenti di comunicazione che collegano persone e luoghi dell’intero universo, fa talvolta fatica a emergere – sulle questioni più decisive – uno sguardo universale, quindi non localistico. Qualche esempio può aiutare. Economia, finanza, politica, lavoro, energia, casa, salute, istruzione, pace, ambiente, migrazioni sono temi che superano i confini della mia casae del mio paese, anzi si potrebbe dire che non hanno confini, perché riguardano la vita concreta di miliardi di persone, l’esistenza attuale e futura dell’umanità. Eppure, generalmente, siamo portati a restringerli in un ambito locale, parlando giustamente anche di diritti, ma non preoccupandoci della loro importanza universale, e quindi della ricerca di una soluzione globale. Altre problematiche, derivanti dalla fragilità di persone e delle strutture – ad esempio il tema delle guerre, delle pandemie, ma anche della droga e delle tante dipendenze che colpiscono intere popolazioni nel mondo – appaiono lontane”, almeno fino al momento nel quale ne siamo direttamente coinvolti.

“Pensare globale, agire locale” è uno slogan – divenuto tra l’altro anche una canzone – che ha animato gli studi di molti sociologi, in particolare Zygmunt Bauman, tutti convinti sostenitori dell’interdipendenza tra effetti del globale e le ricadute nel locale (e viceversa). Giusto ribadirlo, oggi, soprattutto nei luoghi di formazione delle nuove generazioni, così come è necessario affermarlo come principio universale, perché la cura del bene privato è anche pubblico (e viceversa), e rimanda a un corretto uso del territorio, ma anche delle relazioni.

Importante ricordare, su questa linea, Don Lorenzo Milani, la cui lezione universale si può riassumere in questa sua frase: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia». Il suo insegnamento ci aiuta a ricordare l’importanza di formare coscienze, non solo competenze, capaci di creare condizioni per costruire sguardi universali, leggendo l’interdipendenza come un valore solidale. Si tratta di portare alla luce tutte le relazioni che possono essere un modello per affrontare le questioni che riguardano l’umanità.

Se nel territorio in cui vivo c’è un fondamentale diritto da difendere, esso – certamente – è un diritto universale, che riguarda tutte le persone. Non c’è infatti un diritto individuale, che sia realmente tale, che non sia anche universale. Quando dico, ad esempio, che è giusto che ci sia «libertà di pensiero, che non deve mancare il diritto alla salute, allo studio…», dovrei chiedermi – per essere universale, pur agendo localmente – se questi diritti desidero veramente che appartengono a tutti, dovunque le persone vivano. E se sono disposto a difenderli.

Il Vangelo mi prepara costantemente a questo sguardo, e la Chiesa è chiamata continuamente ad educarlo. Anche per non svuotare l’aggettivo cattolico, che non a caso appartiene a chi si riconosce nella Chiesa. Camminare nella fede, e annunciare il Vangelo in ogni angolo della terra, non è un compito per guadagnare solamente la mia salvezza, quella dei miei cari o del mio territorio, ma per incoraggiare e sostenere quella del mondo intero. Dio, infatti, «vuole che tutti gli uomini siano salvati, e che arrivino alla conoscenza della verità» (cfr. 1Timoteo 2, 4).

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