Olga Corrias. Quando il merito è opportunità
di Fabiana Carta
Olga Corrias è una di quelle laureate che sono dovute partire. Ogliastrina di nascita, oggi la separano circa sette mila chilometri dalla sua famiglia che vive a Triei. Questa è la storia di un cervello in fuga un po’diversa dal solito. Una storia cui si mescolano impegno, coraggio, un grande amore e bravura: scelte e coincidenze che hanno portato Olga a trovare un lavoro in una delle più prestigiose Università del mondo, la Princeton University (New Jersey, USA), dove si dedica a qualcosa che in Italia potrebbe sembrare fantascienza. Gestisce una squadra che si occupa delle relazioni con i datori di lavoro e i laureati, che ha come obiettivo quello di creare percorsi per l’occupazione degli studenti dell’università. E il suo primo giorno di lavoro ha coinciso con il primo giorno dell’ottavo mese di gravidanza (altra fantascienza). «Probabilmente in Italia non sarebbe mai successo e chiunque mi avrebbe sconsigliato di farlo», aggiunge.
La scelta di andare via dalla Sardegna risale al 1997. «Sono cresciuta in un piccolo paese come Triei, da padre prima operaio in Germania poi pastore, e da mamma casalinga. Ho lasciato l’isola con giusto i soldi guadagnati durante la stagione estiva, per trasferirmi a Bologna e studiare Scienze Statistiche». Primo grande passo: lasciare il porto sicuro mollando gli ormeggi, la piccola realtà rassicurante, per andare a vivere in quella che era una delle città più costose d’Italia.
A onor del vero Olga non aveva il sogno americano e subito dopo la laurea è anche riuscita ad ottenere un lavoro, a tempo determinato, non illudiamoci. Ma un bel lavoro. «La Sanpaolo Imi mi ha assunta per due anni. Stavano cercando dei laureati con un certo tipo di profilo ed io sono stata fortunata ad essere nel posto giusto al momento giusto». Ecco che a questo punto, se la storia di Olga fosse un romanzo, avviene il colpo di scena, l’incontro che non ti aspetti, la storia d’amore che sconvolge la vita e i programmi. «In quel periodo ho incontrato quello che sarebbe diventato mio marito, Matt, americano. Lui era arrivato a Bologna per iniziare un Master. Al termine del mio lavoro, quando la Sanpaolo era pronta a darmi un contratto a tempo indeterminato, mio marito ha ricevuto un’offerta da parte di un’organizzazione non-profit negli Stati Uniti, dal suo vecchio datore di lavoro. Considerando che in Italia non avrebbe mai avuto un’opportunità simile e che io un lavoro in un istituto finanziario lo avrei sempre potuto trovare, abbiamo deciso di trasferirci a Chicago». Era il 2005, fine dicembre. Olga si ritrova nella città del vento, com’è soprannominata, ad affrontare il rigido inverno del clima tipicamente continentale e a pensare che la prima cosa da fare è iscriversi immediatamente ad un corso d’inglese. «M’iscrivo ad un corso di tre mesi alla University of Illinois at Chicago senza neppure dirlo a mio marito, mi vergognavo troppo a quei tempi dei miei rudimenti d’inglese scolastico!». Senza perdere tempo e senza temere il problema lingua si propone subito facendo domanda di lavoro presso il College di Architettura e delle Arti, nella stessa Università del corso. «Era un lavoro part-time nell’ufficio del preside e, con mio grande stupore, mi hanno assunta subito». Una ragazza appena arrivata dall’Italia, con una laurea; certo, ma con una conoscenza dell’inglese molto basilare, che viene assunta senza spintarelle o sotterfugi vari? Fantascienza numero tre. «A quel punto avevo fatto la domanda per la Green Card (un’autorizzazione che consente ad uno straniero di risiedere nel suolo americano per un periodo di tempo illimitato), e per legge non potevo più essere pagata per lavorare. Così ho deciso di propormi alla Loyola University, la più grande università gesuita degli USA, per un apprendistato durato tutta la stagione estiva, in un ufficio nel quale venivano gestite le relazioni con i laureati».
Gettato l’amo, secondo un concetto molto americano che si chiama meritocrazia (Ah, questa sconosciuta!), Olga viene assunta a tempo indeterminato, facendo letteralmente carriera. «Durante i primi sei anni ho lavorato in diversi ruoli grazie a delle promozioni interne, gestendo in prima persona uffici e Dipartimenti dell’università e cammin facendo ho anche conseguito un Master». All’inizio del 2015 suo marito Matt, che gestiva una scuola superiore a Chicago, ha accettato una proposta di lavoro a Phildelphia. Fa parte dello stile di vita americano spostarsi spesso per inseguire la carriera, così ecco un altro trasferimento per la famiglia: nuova città, nuova casa, nuovo lavoro anche per Olga, alla Princeton University. «Poi… chi lo sa!», aggiunge; la stabilità non è un’idea che amano. Riflettendo sulla sua esperienza di vita Olga mi confessa che non sa se avrebbe lasciato l’Italia se non avesse incontrato l’amore, quella forza che governa le nostre scelte, ma ammette che ora non sarebbe in grado di tornare indietro. «Sarei mai in grado di accettare le differenze di trattamento tra giovani e anziani? In quanti non riescono ad inserirsi in certi settori (avvocati, farmacisti, etc.) per via della presenza nel mercato di professionisti in età pensionabile che limitano le possibilità dei giovani? E’davvero cambiato il modo in cui la collega donna viene trattata dai colleghi maschi? Sarei disposta a tornare a livelli più formali di assunzione?». In Italia è tutto più complicato e i tempi sono lunghissimi, però c’è qualcosa che le manca. «Le persone, il rapporto caloroso. E il cibo! Ma da noi sarebbe stato difficile se non impossibile, sia da un punto di vista della tempistica della crescita che per il tipo di opportunità che ho trovato, avere questo tipo di carriera».
Concludendo ? «Ho capito cosa trova chi viene negli USA: opportunità».
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