Nel nome della madre, con cuore di padre
di Claudia Carta.
In tutte le lingue del mondo, mamma ha lo stesso, identico suono. Non tanto perché simile è il lessema, ma perché, da un capo all’altro della terra, le madri parlano la stessa lingua, utilizzano le stesse parole, spendono gli stessi silenzi. Madre-figlio è il vocabolario più internazionale che ci sia, quello che ha il maggior numero di sinonimi, le cui pagine riportano innumerevoli esempi, modi di dire, di fare, di pensare, di agire. Un dialogo esclusivo, l’unico che non mette mai, alla fine, un punto. L’unico chelascia sempre la porta aperta. Il solo che sappia attendere.
Nell’orrore e nella brutalità del Calvario, la parola più bella è stata Madre. Sotto il peso della croce, con la carne dilaniata da spine, sferzate, cadute e chiodi, il rosso scarlatto del sangue è lavato dalle lacrime di una mamma che ama. Perché le madri fanno così. Non hanno misura. Amano. In modo totale. Anche il più cattivo e disgraziato dei figli ha – e sa di avere – una mamma che lo ama oltre. Oltre il suo male, oltre la sua cattiveria, oltre la sua miseria e solitudine. Perché è figlio, carne della sua carne e sangue del suo sangue. È vita. La sua vita. Sempre e comunque. E più è grande l’amore, più forte il dolore. Perché tutto è assoluto nella parola madre.
Qualcuno ha storto il naso alle parole di Bergoglio che ha invitato, in questo mese di maggio, a pregare Maria in quella che è stata definita una maratona di supplica per la fine della pandemia. Scetticismo, critica, imbarazzo «come se un Dio onnipotente non lo potesse realizzare, se solo volesse, con un solo pensiero». Mi chiedo: cosa c’è di più naturale che rivolgersi a una mamma? La paura, il dubbio, la tristezza, l’angoscia, la rabbia, la forza… Mamma. Qui tutto trova un senso. Se non la soluzione, la fiducia: «Donna, se’ tanto grande e tanto vali che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz’ali».
Con cuore di padre. Anche in latino ha un suono dolce: Patris corde. Nell’anno dedicato a San
Giuseppe – che è infinitamente di più del padre putativo che ci hanno insegnato al catechismo fin da piccoli – scopriamo e impariamo come egli non sia «un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contradditoria, inaspettata, deludente dell’esistenza».
Eccoli, dunque, i papà di oggi: a confronto con i loro padri; nel dolore straziante per la perdita di un figlio; nel dramma di una separazione; nella complessità di una vita in una famiglia allargata; nella gioia per la condivisione di una passione con i figli; nella bellezza assoluta di una paternità spirituale. Padri per sempre.
Madre e padre. Un unico nome: amore.
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