Musica, liturgia e cori liturgici
di Tonino Loddo.
Che canti la Chiesa! Che canti sempre! Che canti, però, avendo ben in mente la memoria che vive, la Parola che proclama, il mistero che celebra.
Sui cori liturgici se ne sentono ormai di ogni genere, e nonostante sia il Concilio Vaticano II sia l’Ordinamento Generale del Messale Romano ne definiscano chiaramente ambiti e funzioni, tuttavia si fatica ancora a cogliere il senso vero della loro presenza nella liturgia. Ancora oggi, infatti, è possibile scorgere intorno ad essi e alla loro opera una serie di atteggiamenti preoccupanti, del tutto lontani dallo spirito liturgico della riforma conciliare. Tra essi ne citiamo alcuni. Il primo e peggiore è l’atteggiamento dei cori liturgici solo di nome, che cantano brani del tutto a casaccio, incuranti del momento e della circostanza liturgica. Il secondo atteggiamento è quello di chi proclama con la massima saccenteria che bisogna far cantare l’assemblea e che il coro deve solo sostenerne il canto. C’è poi, e all’incontrario, chi tende a esaltare il ruolo del coro impadronendosi di ogni parte cantata e lasciando completamente muta l’assemblea. Proviamo a fare chiarezza.
Partiamo da un primo e fondamentale principio: la musica, nella liturgia, non è un semplice accompagnamento o un ornamento; la liturgia, infatti, non si limita a offrire spazi per il canto e per la musica, ma si esprime e si costituisce essa stessa anche mediante il canto e la musica. Perché la vera musica liturgica è preghiera di lode per eccellenza ed è, perciò, essa stessa liturgia: non distrae, non si limita a dare un piacere estetico, ma aiuta l’assemblea nel raccoglimento, meglio introducendola nel mistero di Dio e conducendola quasi per mano alla riflessione, alla preghiera, all’adorazione.
La musica liturgica si pone, infatti, a servizio della Parola e del Pane spezzato e – insieme alle parole, ai simboli e ai gesti – aiuta i fedeli a gioire della Pasqua che si rinnova sull’altare. Come Mosè e gli israeliti, la Chiesa canta «in onore del Signore, perché ha mirabilmente trionfato» (Es. 15,1), e insieme ai quattro viventi e ai ventiquattro vegliardi, «canta un canto nuovo» quando all’Agnello viene consegnato il Libro dei sette sigilli (Ap 5, 8-9). Il canto della Chiesa è canto di risurrezione ed espressione dell’attesa di nuove terre e cieli nuovi. La Chiesa ha bisogno di cantare perché il solo parlare non sarebbe sufficiente alla sua preghiera; di più, essa non può fare proprio a meno di cantare: sarebbe come inibire la propria esultanza della salvezza, di cui la preziosa tradizione musicale che ha accumulato nei secoli è originale e orgogliosa manifestazione.
Nei secoli, questo cantare si è stabilizzato intorno a tre pilastri: il canto gregoriano, la polifonia e la musica d´organo. Quanto tutto questo in molte (molte, purtroppo!) assemblee liturgiche si sia dimenticato e continui a trascurarsi è cosa nota. Tenere saldi quei tre pilastri costa fatica, esige competenza, richiede tempo. Più facile zappare su qualche chitarra o percuotere tamburi occasionali, cantando musichette dozzinali e testi talora non alieni da veri e propri errori dottrinali. L’importante è cantare, perché altrimenti la Messa è brutta! Ancora più facile chiamare un coretto a tutto avvezzo fuorché alla liturgia che canta quel che capita, come capita (non sarebbe male, per evitare qualche scempio di troppo, istituire – come s’è fatto per i fotografi e come si dovrebbe magari fare per i fioristi – un albo diocesano che ne certifichi la competenza a cantare nelle liturgie…). Ma non è raro neppure incontrare taluno che, pressato dalle troppe incombenze quotidiane, chiede di limitare il canto, …per non allungare troppo!
Che, dunque, canti la Chiesa! Che canti sempre! Che canti, però, avendo ben in mente la memoria che vive, la Parola che proclama, il mistero che celebra. In questa visione, la Schola può essere validamente di aiuto all’Assemblea, essendo suo «il compito di eseguire le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e [di] promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto» (Ordinamento, 103). Infatti, la Schola talvolta canta con l’Assemblea, talvolta in dialogo con l’Assemblea e talvolta per l’Assemblea, come esplicitamente è detto nella parte III del cap. secondo dello stesso Ordinamento (§§ 46-90), che indica analiticamente quando e come il canto vada eseguito: alternativamente dalla Schola e dall’Assemblea, o dal cantore e dall’Assemblea, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola Schola; paragrafi che bisognerebbe almeno rileggere (se non proprio leggere). Spesso si ignora che il canto della Schola è frutto di un lungo lavoro; e sarebbe assai bello se i responsabili della pastorale si rendessero conto del grande servizio che rende a tutta la comunità parrocchiale.
Il canto liturgico
“Un ruolo significativo nella liturgia è rivestito dal canto. A cosa esso sia finalizzato ce lo dice chiaramente il Concilio Vaticano II: «Il fine della Musica Sacra è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli» (Sacrosanctum Concilium, 112). E che essa serva a lodare Dio ci è molto naturale e istintivo capirlo, forse più difficile ci riesce di capire in che misura essa possa servire alla «santificazione dei fedeli». Ma anche questo ci risulterà più facile, se appena pensiamo che la musica che usiamo nella Liturgia non deve e non può essere casuale, ma deve partire dalla particolare Liturgia in cui è inserita. Essa, esattamente come la Parola e i Segni, deve essere coerente con quello che la Liturgia sta esprimendo in quel momento.
E questo concetto vale per ogni celebrazione, sia che si tratti di una Liturgia della Parola, di una Liturgia Penitenziale o di un momento di preghiera. E soprattutto vale per la Liturgia Eucaristica, in cui Dio si fa uomo in Cristo non per umanizzare se stesso, ma per divinizzare l’uomo. E la musica liturgica, di conseguenza, deve riuscire a far presente e vivo questo concetto. In definitiva, ora, è facile capire cosa sia la musica nella Liturgia: non è colonna sonora, non è riempimento, non è esibizione del singolo o del coro. È Parola fatta musica. Perciò, si abbia grande attenzione nella scelta dei canti che si eseguono, che devono sempre essere adatti al tempo e al momento liturgico che si sta vivendo. Sia sobria l’esecuzione e sia dato – ove le circostanze lo permettano – uno spazio significativo all’utilizzo dell’organo, strumento musicale per eccellenza della Chiesa, «il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti» (Sacrosanctum Concilium, 120)”.
(dalla Lettera Pastorale Sul carro con Filippo del vescovo Antonello)
Lascia un Commento