Morire in solitudine
di Elisabetta Piras.
Nei mesi duri del lockdown lo sconforto maggiore è stato quello di non poter accompagnare, insieme alla comunità, i propri cari che venivano a mancare e non poter prendere parte alla Messa delle esequie. La solitudine della morte ha acuito il dolore del distacco. È capitato anche per Francesca Maria Vittoria Piroddi, lanuseina, ma residente da tempo ad Alghero, deceduta il 24 aprile 2020. Lettrice storica e affezionatissima del nostro giornale diocesano, innamorata del suo paese e dell’Ogliastra. Il ricordo è di sua nipote, Elisabetta, che ci scrisse in quei terribili giorni
Francesca nasce nell’agosto del 1936 a Lanusei, in via Gialeto, la più grande di tre figli.
Da piccolina odiava il suo nome: il primo giorno di scuola non sapeva scriverlo bene e nel dubbio ci mise pure la H. Tornò a casa e disse alla madre: «Ma perché non mi hai chiamato Anna? Francesca è troppo lungo!».
Il suo sogno più grande? Fare la maestra, ma contesto storico e dinamiche di quel periodo non lo permisero. Frequentò i primi anni di scuola e poi aiutò il padre in campagna, a Su Accu. Non smise mai di scrivere, leggere e ascoltare. Aveva una bella calligrafia, così uno zio avvocato spesso la chiamava per la trascrizione di alcuni documenti.
Negli anni ‘70 aprì il primo centro di telefonia della Sip, il Posto di Telefonico Pubblico (PTP) a Lanusei: al tempo non tutti avevano il telefono in casa e ci si recava lì per contattare amici, parenti e uffici. Allo stesso tempo, gestiva anche una maglieria. Madre di 5 figli, era sposata con Mario che all’epoca lavorava in Germania in fabbrica.
Una volta in pensione, non le mancarono di certo gli interessi: lavorava a maglia, leggeva, cucinava e viaggiava con suo marito, innamorata di lui come il primo giorno, andarono insieme persino a Medjugorje.
La sua fede è sempre stata forte, come lo sono sempre stati i suoi gesti di amore concreto verso il prossimo. Francesca pregava così tanto, ma così tanto, che ogni suo rosario si rompeva vicino alla croce, talmente veniva consumato. Pregava per tutti, ogni giorno. Diceva addirittura che se avesse sentito la chiamata, si sarebbe subito fatta suora.
Nel 2009 Francesca diventò vedova. Uno status che specificava sempre, quasi a indicare un’appartenenza eterna: ved. Pisano. Per un periodo provò un forte senso di colpa a indossare abiti colorati: il lutto è sempre un percorso lungo e tortuoso. Ma si fece subito coraggio e si trasferì ad Alghero, accanto a una delle sue figlie, prendendosi cura dei suoi primi nipoti. Qui frequentò la Chiesa del Santissimo Nome e iniziò una nuova vita nella città del corallo.
A 73 anni è difficile ricreare una rete di amicizie in un luogo sconosciuto, mantenendo forti i propri interessi senza impigrirsi: lei ci riuscì. Riuscì a essere quella donna combattente per se stessa e per la sua famiglia, senza mai demordere e senza mai farsi trovare impreparata.
Amava tenere un vasetto di menta e basilico sul davanzale, viziare i propri nipoti, passeggiare in riva al mare, cucinare culurgiones e anguledda. Amava raccontare i sogni che faceva durante la notte, giocare a dama, proporre indovinelli e leggende sui banditi ogliastrini o personaggi del paese.
Per contro, odiava mettere gli altri in disparte, non voleva lasciare nessuno in solitudine. Teneva, infatti, una lista di tutte le telefonate giornaliere per non dimenticarsi mai di contattare amici e parenti. Francesca, insomma, ha vissuto tante epoche diverse, tenendosi sempre aggiornata, rendendosi partecipe, attiva nel suo essere cittadina, generando amore per l’altro. Una donna rivoluzionaria, in questo senso.
La notte prima di morire, in quella che doveva essere la solita chiacchierata dopo cena, mi disse: «Ho anche chiesto scusa a San Francesco, prima mi facevo chiamare Franca, non mi piaceva proprio il mio nome. Ora, invece, mi piace, suona bene Francesca, vero?».
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