In breve:

Mons. Romero, esempio luminoso di Chiesa

Sacedoti Romero

a cura di Augusta Cabras.

Padre Josè Mauricio Quijada e Padre Edoardo Antonio Maldonado Flores sono sacerdoti della diocesi di Chalatenango, a El Salvador, terra natale dell’Arcivescovo Oscar Romero, assassinato nel 1980 mentre celebrava la Messa, proclamato Santo il 14 ottobre del 2018 da Papa Francesco. Abbiamo raccolto la loro riflessione

Chi era Mons. Oscar Romero? Perché è martire? La sua testimonianza di operatore di pace è ancora attuale dopo 45 anni dalla sua uccisione?

Padre Mauricio. Mons. Romero è un martire della giustizia sociale e dell’amore. Qui sta tutta l’azione pastorale del Vangelo, perché un Vangelo che non tocca la realtà non può essere credibile, un vangelo che non libera, svanisce. Il suo sogno era che El Salvador vivesse nella pace, nella giustizia, che ci fosse uno sviluppo umano integrale, a partire dai diversi organismi nazionali, per poter costruire un El Salvador secondo il cuore di Dio.

Se vogliamo essere veramente operatori di pace, dobbiamo vedere la configurazione di Mons. Romero con Gesù Cristo, quella fedeltà a Dio per liberare il suo popolo dalla morte, dall’ingiustizia, dall’oppressione. Con Romero si realizza ciò che Gesù ha detto: «Potranno uccidere il corpo, ma non toglieranno la vita. C’è una frase che si dice di Mons. Romero: «Mi uccideranno, ma io risorgerò tra la mia gente, e il sangue sia un seme di vita, di speranza e di pace»».

Padre Edoardo.Romero fu un uomo di Dio, un uomo di Chiesa e un pastore con l’odore delle pecore. Possiamo dire che questa figura, impiegata da Papa Francesco in Evangeli Gaudium, si applica molto bene a San Oscar Romero. Fu martire perché capace di difendere i poveri fino alla morte. Perché predicò la giustizia e la pace, perché fu capace di dire: «Niente mi interessa di più che la vita umana».

Mons. Romero fu amico dei poveri in un paese dilaniato dalla violenza della guerra civile. Cercava la pace a mani nude, con la sola forza delle parole del Vangelo. Era uno che dava fastidio. Persino da morto.

Padre Edoardo. San Oscar Romero amava i poveri perché lui stesso si considerava un povero tra i poveri. Diceva: «Fratelli, volete sapere se il vostro cristianesimo è autentico? Qui c’è la pietra di paragone. Con chi state bene? Chi sono quelli che vi criticano? Chi non vi accetta? Chi vi lusinga? Saprai allora che Cristo un giorno disse: “Non sono venuto a portare la pace, ma la divisione e vi sarà divisione persino nella stessa famiglia”, perché alcuni vogliono vivere più comodamente, secondo i principi del mondo, del potere e del denaro e altri, al contrario, hanno compreso la chiamata di Cristo e devono rifiutare tutto ciò che non può essere giusto nel mondo. La Chiesa appoggia e benedice gli sforzi per trasformare le strutture di ingiustizia e mette soltanto una condizione: che le trasformazioni sociali, economiche e politiche ridondino in autentico beneficio per i poveri. Cristo ci invita a non temere la persecuzione, perché, credetelo fratelli, chi si impegna con i poveri deve seguire lo stesso destino dei poveri».

Aveva paura di morire, ma aveva ancora più paura di tradire il Vangelo, di non amare la sua gente. Rimangono indelebili le ultime parole che ha pronunciato nell’omelia proclamata nel giorno prima del suo assassinio.

Padre Mauricio. Penso che ogni persona sperimenti la paura di morire, ma ciò che ha portato Romero a testimoniare la vita cristiana è stato identificarsi con un popolo sofferente, sfruttato, represso e vedere il dolore e la sofferenza di tante vittime. Quando si vive veramente quell’esperienza con le persone, non si può essere insensibili e i loro dolori fanno parte della vita del pastore, anche le loro gioie rallegrano il cuore del pastore. Nella sua ultima omelia della quinta domenica di Quaresima ha detto: «Nessuno è sconfitto, anche se viene messo sotto lo stivale dell’oppressione e della repressione, chi crede in Cristo sa di essere un vincitore». Ha anche detto: «Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine contrario alla legge di Dio. Una legge immorale che nessuno deve rispettare. E di fronte all’ordine di uccidere prevale la legge di Dio: non uccidere».

Durante i 10 anni di guerra civile, conclusasi nel 1992, il popolo di El Salvador è stato vittima di oppressione e violenza. I numeri sono drammatici. Cosa lascia al paese la testimonianza del martirio di Mons. Romero e il ricordo di quegli anni tragici?

Padre Edoardo. Mons. Romero era cosciente della sua debolezza davanti al martirio, aveva molta paura, ma la Parola di Dio era più forte.

Diceva: «Spesso hanno minacciato di uccidermi. Come cristiano devo dire che non credo nella morte senza resurrezione: se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno. Lo dico senza superbia, con la più grande umiltà. In quanto pastore ho l’obbligo, per divina disposizione, di dare la mia vita per coloro che amo, ossia per tutti i salvadoregni, anche per coloro che potrebbero assassinarmi. Se le minacce giungessero a compimento, fin d’ora offrirei a Dio il mio sangue come seme di libertà e segno di speranza per la redenzione del Salvador.

Padre Mauricio. Romero testimonia che se non impariamo a vivere come fratelli e secondo la verità, in cui la società può basarsi sulla fiducia, sulla razionalità, sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace, sarà difficile per El Salvador uscire dalla spirale della violenza.

Cosa significa per voi essere sacerdoti oggi, in un paese che ha sperimentato tutto questo? A cosa è chiamata oggi la Chiesa di El Salvador?

Padre Mauricio. Come sacerdote diocesano, in questi tempi, in cui l’ingiustizia sociale continua a essere la radice di tanti mali, e dove le politiche hanno così poco impatto sulla trasformazione della vita sociale, è una sfida, perché tanto dolore e sofferenza avrebbero potuto essere evitate o si sarebbero potute creare condizioni di vita migliori. A livello di vita cristiana, la figura di monsignor Oscar Arnulfo Romero è una sfida, perché ci sono inviti molto concreti: la vita di fede, nella preghiera personale e comunitaria, la vita ecclesiale, nell’azione sociale, l’insegnamento della Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa.

Come ho detto, per me è una sfida, e la sfida più grande è la fedeltà alla chiamata di Cristo in una vocazione concreta, di servizio alla comunità, con una tensione preferenziale ai poveri. Questa non è concepita solo a livello di discorso o di materia, vivendo in una realtà concreta, dove si può vedere con gli occhi della fede, giudicare con amore e agire con speranza ed entusiasmo.

Padre Edoardo. Significa avere il coraggio di andare all’origine del Vangelo, per incontrarci con il paradigma del nostro sacerdozio, cioè, l’incontro con Gesù Buon Pastore che trasformò la vita di San Oscar Romero per essere un pastore secondo il cuore di Dio.

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