Mare monstrum: emergenza inquinamento intorno alla Sardegna
di Fabiana Carta.
Ogni anno produciamo 300 milioni di tonnellate di plastica e 12 milioni vanno a finire in mare. Si parla di microplastica, costituita da piccoli frammenti che misurano meno di due millimetri, non visibili all’occhio umano ma di cui è strapieno il Mediterraneo, con concentrazioni tra le più alte al mondo. Il livello di plastica più alto viene raggiunto nel tratto compreso tra la Corsica e la Toscana, dove è stata rilevata la presenza di 10 chilogrammi per chilometro quadrato, dato quattro volte superiore a quello registrato nel Pacifico.
Bene, noi sardi non dobbiamo storcere il naso, non dobbiamo crederci immuni. I dati, pubblicati su “Nature/ScientificReports”, da uno studio condotto dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (Ismar- Cnr), in collaborazione con le Università di Ancona e Algalita Foundation (California), confermano la presenza di 2 chilogrammi di plastica per chilometro quadrato tra la Sardegna, la Sicilia e le coste pugliesi. Una parte della nostra vita quotidiana finisce in mare, spesso negli stomaci dei pesci, anziché finire negli appositi cassonetti: “si tratta soprattutto di polietilene e polipropilene, ma anche di frammenti più pesanti come poliammidi e vernici, oltre a policaprolactone, un polimero considerato biodegradabile” – come spiega Stefano Aliani, uno dei coordinatori della ricerca.
La chiamano la zuppa di plastica, “sacchetti e bottiglie vengono degradati dalla luce. Nel giro di anni o perfino secoli, a seconda del tipo di plastica e dell’ambiente in cui finiscono, questi rifiuti si riducono in poltiglia” – continua Aliani – “Non sappiamo dove sia oggi tutta la plastica che abbiamo prodotto, quella che ritroviamo nelle nostre spedizioni non si avvicina neanche lontanamente all’ammontare che secondo i nostri calcoli dovrebbe essere finito in mare. Può darsi che molta si perda in fondo agli oceani, dove non abbiamo la possibilità di osservarla”. Vogliamo riflettere sul fatto che questi numeri tengono conto solo di una parte della realtà? Questo significa che i dati reali potrebbero essere ancora più catastrofici per l’ambiente e l’ecosistema marino.
Se le aziende producessero più scatole e involucri riciclabili il problema avrebbe un impatto minore. La gravità della situazione non pare abbia stupito i ricercatori, perché il mar Mediterraneo è un mare sostanzialmente chiuso, che può mantenere tra le sue braccia i residui anche per mille anni. Dalla ricerca è emerso che la plastica è distribuita in modo e in quantità non omogenei: “Le ragioni della disomogeneità distributiva dipendono dalle diverse sorgenti di rifiuti, che possono essere le aree densamente abitate lungo la costa, i fiumi e i processi di trasporto marino tipici di un bacino.” Dal quadro che emerge non abbiamo tanto di cui vantarci; chi l’avrebbe mai detto che oltre le nostre splendide coste si naviga in un mare di plastica invisibile?
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