Maestra Speranza. Cent’anni di giovinezza
di Paolo Pillonca
Lieve come una brezza di primavera, Speranza Aresu spalanca affettuosamente la porta della sua casa cagliaritana al numero 3 della via Pietro Leo, a Monte Urpinu, dove abita con la più giovane dei suoi cinque figli, Loredana, classe 1951, docente di lettere in pensione Come sua mamma, una stirpe di longevi fiorita a Seui in chissà quali lontane stagioni, come i lecci secolari della montagna (ce n’è uno enorme nel bosco di “Canali”, proclamato monumento vegetale, che nel 1265 – anno di nascita di Dante Alighieri – era già un albero adulto e ancora offre ghiande bellissime a beneficio dei branchi di cinghiali di cui abbonda l’intero territorio). A Seui Speranza Aresu, del resto, non ha mai smesso di pensare in cinquanta e più anni di lontananza. Un volo nostalgico tanto intenso e ricorrente da averla convinta a restaurare la casa paterna del rione Funtaniossu, un panorama mozzafiato. “Mio padre, ricordo benissimo, aveva rinunciato a vivere in un palazzo della via principale proprio perché non voleva perdersi la gioia quotidiana della bellezza del panorama, un regalo irrinunciabile”, rievoca la maestra Speranza. “Ma per il restauro della casa paesana dall’ampio cortile interno il merito maggiore non è mio ma di mia figlia Loredana. A ciascuno il suo”.
Nessuno le darebbe l’età veneranda conquistata senza intoppi di salute: l’anno scorso la signora ha superato con un sorriso il traguardo del secolo. Ora di anni ne ha cento e uno, portati alla grande. Oggi le consentono di uscire ogni giorno per la passeggiata verso la chiesa, consueta ormai da diversi decenni. Non solo, ma le garantiscono tuttora alla perfezione un’autonomia integrale nei movimenti domestici. Al telefono risponde sempre lei, come padrona di casa abituata a governare tutto con l’armonica sapienza tipica di ogni regista impeccabile.
E ricorda con un velo di tristezza temperata dalla lontananza del tempo un fratellino morto, Armando. “Non posso dimenticare le sue manine bianche e fredde. Mia madre ha avuto dodici figli, alcuni dei quali volati via prima che io nascessi, tranne uno morto di tifo a ventidue anni, Orazio”. Agli inizi del secolo scorso la mortalità infantile toccava percentuali alte anche nei paesi montani, come dicono le statistiche e racconta nelle sue memorie un altro grande personaggio di Seui: Demetrio Ballicu, il medico “storico” del centro minerario della Barbagia meridionale affidato alle sue cure per oltre quarant’anni. Una rimembranza diversa scolpita per sempre nel cuore della maestra supercentenaria di Seui riguarda la sorella maggiore, Elvira. “Mi rimproverava spesso per un nonnulla”, sorride nella narrazione, come avviene non di rado quando si evocano i ricordi poco piacevoli dei tempi lontani. “Fortunatamente, però, un’altra sorella, Peppina, aveva un carattere diverso e mi proteggeva”.
Le scuole elementari di Seui erano ospitate allora nel grande palazzo costruito alla fine dell’Ottocento con lastroni granitici estratti dalla cava di Fundu ’e corongiu, nelle vicinanze della miniera di antracite chiusa nei primi anni Sessanta. “La prima cosa che mi si ritorna alla memoria quando penso alla scuola di Seui è la campana annunciatrice dell’inizio delle lezioni: ci metteva in cuore una grande paura perché non era consentito il minimo ritardo e da casa mia al palazzone la strada era quasi tutta in salita ripida”. Per lei la scuola era una passione già da allora, in famiglia pensavano di farle proseguire gli studi a Cagliari. Una volta in città, però, le cose le apparvero subito molto differenti. “Il regime fascista si era impossessato del potere politico e lo esercitava brutalmente. Quello è stato anche per me un periodo nero, bruttissimo e doloroso. La scuola? Un ambiente classista. Con me c’era la figlia di un generale famoso. Non faccio nomi però quella mia compagna di scuola veniva trattata in modo del tutto diverso da noi comuni mortali. Ma io studiavo molto, facevo puntualmente i compiti e non mi presentavo mai impreparata alle interrogazioni. Dei miei insegnanti di quegli anni remoti ricordo con piacere soprattutto il professor Biddau, insegnante di matematica, la mia materia preferita. Era piuttosto trasandato nel vestiario ma come docente si distingueva su tutti. Lui era forse l’unico a non fare mai parzialità, si comportava sempre da uomo giusto. Proprio per questo lo ricordo ancora con grande affetto”. Dopo il diploma brillante, Speranza Aresu trova subito il posto di lavoro, una cattedra nella scuola elementare di Villagrande Strisàili. “Il paese era bellissimo e ospitale come la maggior parte dei centri ogliastrini”, premette. “Ma soffriva di un grave disagio, la mancanza di servizi igienici adeguati. Ho insegnato a Villagrande per due anni, poi ho studiato per il concorso magistrale”.
Uno scoglio assai difficile da superare, quello del concorso per un incarico a tempo indeterminato nella scuola, ma la maestra Speranza lo affronta con coraggio, sicura di essersi preparata a dovere. “Avevo studiato con due colleghi di Seui, Augusto Murgia e Totoni Piga. Il secondo sarebbe poi diventato mio marito, ma allora non eravamo nemmeno fidanzati”. Vinto il concorso, la maestrina ottiene il trasferimento a Seui. Qui la musica cambia e inevitabilmente i ricordi si affollano. “Conoscevo tutte le famiglie dei miei alunni e il mio lavoro era facilitato di molto, rispetto a Villagrande. Ma prima ancora, alla base di tutto, stava la mia grande passione per quel lavoro, componente primaria dell’attività di ogni insegnante. Se rinascessi rifarei la maestra, senza dubbio alcuno”.
Pian piano l’amicizia e la colleganza con Totoni Piga si trasformano in amore. Un sentimento contrastato, però. “Quando dissi a mio babbo che avrei sposato Totoni lui mi rispose: fai come vuoi ma se lo farai io smetterò di essere tuo padre. Il rifiuto aveva origine in una vecchia lite di babbo con il mio futuro suocero”. Il proclama paterno apparentemente ferreo, però, svanì prestissimo. “Il giorno dopo le nozze mio babbo ci invitò a casa sua a prendere il caffè”. A scuola le cose andavano benissimo. “Le mamme dei miei alunni si erano molto affezionate a me”. E anche nel paese le simpatie crescevano senza sosta: “Mi cercavano spesso come madrina di battesimo o cresima. Nel tempo lungo, tutte le mie figliocce quando mi annunciavano il loro fidanzamento ricevevano da me un asciugamani come buon auspicio per il corredo e per una felice vita di coppia. Il mio augurio era uguale per tutte: cantu tramas portat custu trabbagliu, tanti puntus de bona sorti tengias tui in sa vida (quante trame ha questo lavoro tanti momenti di buona fortuna possa avere tu nella vita)”. Il cucito e il ricamo sono altri due saperi della maestra Speranza Aresu Piga. “Mio padre sapeva fare due mestieri, il falegname e il muratore”, racconta. “Li esercitava entrambi con la stessa perizia. La casa di Seui oggi restaurata in modo eccellente da due muratori seuesi, Salvatore Meloni e Antonio Mura, era stata costruita da lui. Forse la buona manualità mi deriva dal ramo paterno”.
Speranza Aresu ha cinque figli, quattro femmine e un maschio: Paola, Laura, Ornella, Loredana e Sandro. Dice per tutti Loredana: “Con noi mamma è stata ed è sempre disponibile. La sua virtù di base mi sembra questa: in lei la capacità di dare è molto più forte di quella del ricevere. Inoltre mamma è un’ottima consigliera, propensa alla pace e all’armonia del vivere, nemica della guerra in tutte le sue manifestazioni, con armi e senz’armi. Altra dote di mamma: è molto caritatevole, la sua porta è stata sempre aperta a tutti i bisognosi di aiuto”. Lei ringrazia con un sorriso e il suo pensiero va al marito morto anzitempo, quel maestro Totoni inizialmente rifiutato dal suocero: “Mio marito era nato nel 1910 e quando è morto aveva soltanto 54 anni. La sua assenza ha pesato e pesa ancora molto in me”.
Fuori la giornata cagliaritana si avvia verso il tramonto del sole, i primi giorni del mese di ottobre non è stato prodigo di luce e forse non sarebbe piaciuto a Francesco Alziator, né ad Antonio Romagnino. A chi ha appena finito di ascoltare la maestra Speranza viene in mente una domanda non fatta alla signora: “Quante lunghe nevicate ha affrontato lei negli anni di insegnamento a Seui quando sotto la neve non sempre c’era il pane dell’antico detto proverbiale”?
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