Lo capiremo, forse
di Claudia Carta.
È una sensazione che ho provato così forte e intensa solo in altre due occasioni nella mia vita. Il 30 gennaio 1994, quando nel buio della mia stanza qualcuno mi ha sussurrato: «È morto papà». L’11 settembre 2001, mentre cammino per Verona un amico mi telefona dicendomi: «È scoppiata la terza guerra mondiale». Una parola. Smarrimento. E la percezione, costante, che il mondo là fuori fosse cambiato, che nulla sarebbe più stato come prima e che, qualunque cosa io avessi fatto o pensato, non potevo far finta di niente.
Oggi come allora. La paura non è una gran bella sensazione. È tremendamente capace di non farti vedere i colori, ma solo il grigio e il nero. La penombra. Qualcuno ha detto – e mai come in questi giorni lunghissimi c’è stato chi abbia dovuto, voluto, preteso, imposto di dire qualcosa – che stiamo riscrivendo la storia o, meglio, qualcuno la sta riscrivendo per noi e con noi (nonostante noi, mi verrebbe da dire).
Sta di fatto che, qualunque cosa sia, forse lo capiremo.
Già. Lo capiremo che pur immersi nell’infinitamente grande, connesso, tecnologico e globale, siamo incredibilmente piccoli e fragili.
Lo capiremo che non possiamo ripetutamente assurgere al rango di tuttologi, presuntuosi e convinti di avere sempre in mano, in tasca, in bocca ciò che è giusto, vero, opportuno e che gli altri ma dove vogliono andare.
Lo capiremo che la tutela e la salvaguardia della vita, la sua cura e la sua assistenza sono un patrimonio unico che non può essere sacrificato per la legge dei numeri, piccoli o grandi che siano, o per il peso dei soldi, sprecati, perduti, buttati da tutt’altra parte, o addirittura non impiegati, ignorando necessità, professionalità, qualità e benessere reale di un territorio e della sua gente.
Lo capiremo che è proprio in momenti come questi che ciascuno ha a cuore la vita dell’altro se, con responsabilità e maturità, fa la propria parte invece di puntare il dito. Dopo, semmai, ci sarà spazio anche per comprendere gli errori e imparare la lezione.
Lo capiremo. Perché piccoli e fragili, sì, ma meravigliosamente umani. Capaci sempre di accendere spirito nel buio.
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