In breve:

Le parole giuste per la realtà ecclesiale e sociale di oggi

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a cura di Augusta Cabras.
Il Cardinale Augusto Paolo Lo Judice, relatore del Convegno diocesano, approfondisce il tema della giornata
Qual è la parola giusta per la realtà ecclesiale e sociale di oggi?
La Parola di Dio, certamente.La Parola con P maiuscola. Possiamo cercare la parola giusta stando attenti a non cercare la parola magica, perché il rischio sarebbe quello di pensare che ci sia una parola, al di là della Parola, che possa in qualche modo aiutarci a risolvere tutto. La realtà che io ho sempre davanti agli occhi, davanti alla mente, davanti a quello che faccio, si presenta sempre nella sua complessità e per realtà penso innanzitutto alla persona umana, con le sue grandezze e le sue contraddizioni. La parola deve essere pensata, formulata e pronunciata, dobbiamo tentare di individuarla, trovarla e pronunciarla. E la ricerca della parola giusta, delle parole giuste, passa per le domande di senso, i dubbi e anche le “notti” della fede.

La Parola e le parole. C’è il rischio che la forza salvifica della Parola, il senso e la responsabilità nell’uso delle parole venga messa in discussione dall’invadenza di quella che viene definita “intelligenza artificiale”? La Chiesa si sta preparando a questo cambiamento, che con grande probabilità, sarà epocale?
Il cambiamento è già in atto ed è attuale tutto il tema delicato della comunicazione. Mi son chiesto spesso: se San Paolo fosse vissuto oggi che avrebbe fatto? Avrebbe aperto un canale su YouTube, sarebbe su Instagram o su qualche altro social? Probabilmente sì. Sull’intelligenza artificiale ci sono esperti che stanno studiando il fenomeno. La Chiesa forse è un po’ indietro. Credo che su questo dovremmo essere aiutati a orientarci. È vero anche che a volte si tratta di mode che esplodono improvvisamente con grande forza e che magari domani non ci sono più. Però certamente è necessario prepararsi: lo penso per i preti più giovani e per tutti i giovani che si mettono a servizio della Chiesa. Per me che ho quasi sessant’anni questo è certamente più complicato, ma mi rendo conto che sono ambiti, territori, argomenti che non possiamo assolutamente trascurare.

Nel suo intervento ha parlato della crisi educativa che attanaglia anche questo tempo.
Come si evita il rischio che la Chiesa abdichi alla sua funzione educativa? Serve più coraggio in questo?
Sentiamo di avere armi spuntate. Oggi stare con i bambini e i ragazzi è veramente difficile. Parlo dei preti, ma non solo. Serve avere un particolare carisma – non doti da supereroe, è chiaro! – ma si deve saper entrare nel loro mondo. Oggi con questa precocizzazione, noi, così come anche i genitori, rischiamo di non sapere (forse neanche pensare) e di non conoscere ciò che gli adolescenti, ad esempio, sanno e vivono. Ed è uno scotto, questo. Lo dico sempre ai genitori: è una partita, questa, e non si sa se si vince, ma che deve giocarsi molto presto, da subito! Serve parlare ai bambini, serve ascoltarli, serve anche entrare in temi che apparentemente non sembrerebbero alla loro portata. Perché se non lo fanno i genitori e gli educatori, troveranno altri interlocutori al di fuori, troveranno altre informazioni, e non sempre queste sono edificanti. La Chiesa deve osare di più, iniziando il dialogo da presto. Iniziare un percorso educativo e di fede a 12/13 anni, non dico che sia impossibile, ma certamente è più complicato. Serve studiare bene le modalità di approccio, serve fare squadra con i genitori e gli insegnanti, perché alla fine ci troviamo tutti nella stessa barca. Tutto il tema dell’ascolto, del dialogo, dell’affettività, della sessualità, delle dipendenze, dell’esoterismo, non può essere tralasciato o rimandato con la scusante del “sono troppo piccoli” o del “è troppo presto”, perché potrebbe essere invece troppo tardi. Serve tararsi su misure nuove, consapevoli che la realtà è cambiata rispetto al passato e non possiamo far finta che non sia così.

Ha parlato di carisma. Oltre il carisma può essere determinante, soprattutto per i sacerdoti, il percorso di formazione?
Ci sono degli errori educativi che si fanno anche all’interno dei seminari. E ci vuole coraggio anche a dir di no. Non certo perché si vuole il prete perfetto, ci mancherebbe, ma perché devono esserci delle caratteristiche. Più che di formazione bisogna parlare di discernimento. A un certo punto la formazione è data, devi capire soprattutto le caratteristiche umane e spirituali. Tutti devono essere portati per, in qualche modo. Per me, ad esempio, era inconcepibile un prete diocesano che non volesse una parrocchia. Poi ho capito, grazie anche a degli amici, che c’è qualcuno che è portato per un altro tipo di servizio. Serve anche essere guidati perché ciascun prete trovi la sua giusta dimensione.

Qual è la strada da seguire perché nelle parrocchie ci sia più partecipazione e meno l’atteggiamento di passività?
Bisogna partire dal fatto che la parrocchia è fatta di tante persone, tutte diverse, e molto dipende da come il parroco intende e prepara la vita parrocchiale. È chiaro che se il parroco è uno che vuole fare tutto da solo, decide da solo, porta sul tavolo degli incontri delle decisioni già prese, questo difficilmente indurrà e aiuterà le persone a sentirsi partecipi. Fermo restando che il parroco è il responsabile della parrocchia. È necessaria pertanto la corresponsabilità, non il comando, non il dominio, non l’esercizio del potere. Sarebbe auspicabile che ogni parrocchia avesse un momento simile al convegno diocesano, un momento assembleare di confronto e di dialogo con tutta la comunità, con i più vicini per fare le programmazioni e anche con chi vive raramente la vita della parrocchia. E quelli più lontani, quelli che io chiamo dell’ultimo cerchio, come si possono coinvolgere? Partendo da quelle occasioni che permettono di accogliere le persone: penso ai funerali e alle benedizioni delle famiglie che per me, sono state uno dei momenti più importanti per la conoscenza reciproca. Se motivi, animi e dai spazio – sperando che quello spazio non se la prendano i soliti due/tre che sanno sempre tutto loro – la parrocchia è viva. È importante che il parroco incontri le persone anche singolarmente, che faccia l’invito a chi, anche in modo nuovo, può intervenire in un incontro. È fondamentale allargare il giro delle persone, perché spesso chi è sempre impegnato rischia di tenere lontano gli altri. E poi serve riflettere sulle cose importanti, essenziali. Non incontriamoci per scegliere il colore delle tende dell’oratorio, ma occupiamoci di come possiamo promuovere sempre più e sempre meglio il Vangelo. Anche per questo serve tenere aperto il dialogo con tutte le istituzioni e le realtà presenti nel territorio.

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