di Tonino Loddo
La nostra storia comincia lontano, in quei favolosi Anni Sessanta, quando se avevi una chitarra in mano ti sentivi imperatore della Cina. La musica beat contagia tutti e arriva anche in periferia. A Lanusei nasce un complesso che vuole seguire la linea melodica dei vari Beatles, Rolling Stones, Rokes, Dik Dik, Giganti e Camaleonti.
Il nome è quasi elementare, The 004, con quell’articolo inglese iniziale che fa tanto nuovo. E quattro sono, di fatto, quelli che per le piazze in occasione di sagre paesane, o nelle discoteche più o meno improvvisate suonano una musica nuova le cui linee melodiche sono in grado di addolcire certe asprezze del rock and roll e del blues. Si chiamano Giulio Agus, Tonino Prunas, Fiorano Chelucci e lui, il protagonista della nostra storia, Giancarlo Loi. Maneggiano chitarre e batteria con quella destrezza che solo la passione sa generare. L’avventura si compie in poco più di un lustro. I The 004 (quante discussioni sulla pronuncia esatta di quel maledetto articolo inglese …!), siamo nei primi anni Settanta, si sciolgono. Ognuno per la sua strada. Non sono più ragazzini e occorre lavorare … Chi all’estero, chi in parruccheria. Giancarlo lascia l’attività commerciale di cui era dipendente e si mette in proprio. A Lanusei apre un negozio di vernici e ferramenta. In vetrina non ci sono solo martelli pneumatici e tenaglie, ma anche chitarre. Perché la chitarra non l’ha mai abbandonata e se la culla ogni giorno fra le braccia. Scrive musica. Pubblica. Il suo primo 45 giri (un disco in vinile, nero; lo dico per i più giovani che pensano che la musica si sia sempre ascoltata con i CD) s’intitola È lei. È già un successo l’essere riuscito a trovare una casa discografica per inciderlo … Poi la famiglia. La musica è roba per ragazzi. Bisogna lavorare per far crescere i figli (ne avrà tre). Ma la chitarra è sempre in agguato, pronta a saltargli in mano in ogni istante libero.
Poi cominciano le chiamate dalle parrocchie. Perché non vieni ad insegnare musica ai ragazzi? Come dire di no a quei giovani sacerdoti che lo invitano con tanto calore a mettere a disposizione dei loro ragazzi il suo amore per la musica? E via. Gairo, Villagrande, Arzana, Talana … Nei pomeriggi liberi. Nessuna remunerazione. Qualche soldo per pagare la benzina. E poi l’oratorio salesiano. Per lui, lanuseino doc, è un’attrattiva irrinunciabile. Bambini e ragazzi. A decine hanno imparato a fare Do, Sol, Do, Fa, Sol, Do cantando Il ragazzo della Via Gluck, primo banco di prova per tutti gli aspiranti chitarristi di una volta E che gioia nel vedere i loro visi brillare di commozione, quando gli accordi cominciano a farsi più netti …
Un giorno, un freddo giorno d’inverno del 1994, lo acchiappa don Luigi Ortu. È cappellano alle carceri. Perché non vieni a suonare anche in carcere? C’è qualcuno che vuole imparare a suonare. Almeno passa un’ora di tempo in maniera diversa che non a vegetare sulla brandina della cella … Il sì è immediato ed entusiasta. Si comincia subito. Due volte alla settimana, venerdì e domenica, prima in compagnia del cappellano, poi da solo (“Ormai mi conoscevano tutti!”). Esercitazioni di chitarra e piano. Gratis, s’intende. Suona e prepara i canti per la messa domenicale. Così per 17, diciassette, anni, senza mai mancare un appuntamento. E avrebbe continuato ancora se un ictus non l’avesse inchiodato a una sedia a rotelle.
Mi racconta tutto a cenni, dolcemente arrabbiandosi quando la moglie Claretta non riesce ad interpretare le sue parole che sembrano i suoni di una chitarra rauca. Mi mostra una lettera che conserva come una reliquia. È di Webey, un ragazzo marocchino che ha appena finito di scontare la pena e parte per la Spagna. «Ti auguro tutto il bene del mondo. So che hai una figlia molto malata. So cos’è la sofferenza, ma la mia sofferenza rispetto alla tua è poco». E poi mi narra di quel ragazzo cagliaritano che suonava come lui in un complesso e che è finito in carcere per una questione di droga. Si è fatto portare da casa una pianola. Quante suonate nel freddo opaco di quelle mura incalcinate! Quando finisce la pena, gli regala la pianola. Da amico ad amico. E il vecchietto che nessuno va a trovare, perché i parenti si vergognano del reato che ha commesso. All’inizio lo vede sempre solo, in un canto. Non risponde neppure quando gli rivolge la parola. Poi capisce. Soffre di una grave forma di ipoacusia. La sua bambina, Sara, ha una protesi che non usa più. Chiede se può portargliela. Ora, nonostante l’età, il vecchio signore solitario parla. Canta perfino, con la sua voce disabituata a parlare e ridiventata infantile. E quella volta che un giovane detenuto stringendogli la mano per salutarlo, alla fine della lezione, vi lascia un minuscolo oggetto. Inizialmente ha paura. Non può prendere nulla dai detenuti né consegnare loro alcunché. È un piccolo pezzetto di carta. Piegato e ripiegato con cura. Come le fisarmoniche che usavano a scuola gli alunni un po’ impreparati all’ora del compito in classe di latino. «Tu sei il Gesù che ha detto: “Chiedete e vi sarà dato”. Fa’ che Sara possa crescere serena e godere i suoi anni nella gioia». Era una preghiera per la sua bambina. Una preghiera per Sara. Scritta da un detenuto.
Gli occhi si inumidiscono. «Che fine ha fatto la tua chitarra elettrica?», gli chiedo, per spezzare l’emozione che lo sta avvolgendo. Mi fa cenno di seguirlo. Lui avanti, con la sedia a rotelle che governa con difficoltà. No!, fa col capo alla moglie che vuole aiutarlo ad entrare nella grande sala da pranzo. Vuol esser lui a mostrarmela. È racchiusa in una teca di legno, protetta da un vetro. Come lo scettro del re della Cina …
Le opere di misericordia – Visitare i carcerati
di Tonino Loddo
La nostra storia comincia lontano, in quei favolosi Anni Sessanta, quando se avevi una chitarra in mano ti sentivi imperatore della Cina. La musica beat contagia tutti e arriva anche in periferia. A Lanusei nasce un complesso che vuole seguire la linea melodica dei vari Beatles, Rolling Stones, Rokes, Dik Dik, Giganti e Camaleonti.
Il nome è quasi elementare, The 004, con quell’articolo inglese iniziale che fa tanto nuovo. E quattro sono, di fatto, quelli che per le piazze in occasione di sagre paesane, o nelle discoteche più o meno improvvisate suonano una musica nuova le cui linee melodiche sono in grado di addolcire certe asprezze del rock and roll e del blues. Si chiamano Giulio Agus, Tonino Prunas, Fiorano Chelucci e lui, il protagonista della nostra storia, Giancarlo Loi. Maneggiano chitarre e batteria con quella destrezza che solo la passione sa generare. L’avventura si compie in poco più di un lustro. I The 004 (quante discussioni sulla pronuncia esatta di quel maledetto articolo inglese …!), siamo nei primi anni Settanta, si sciolgono. Ognuno per la sua strada. Non sono più ragazzini e occorre lavorare … Chi all’estero, chi in parruccheria. Giancarlo lascia l’attività commerciale di cui era dipendente e si mette in proprio. A Lanusei apre un negozio di vernici e ferramenta. In vetrina non ci sono solo martelli pneumatici e tenaglie, ma anche chitarre. Perché la chitarra non l’ha mai abbandonata e se la culla ogni giorno fra le braccia. Scrive musica. Pubblica. Il suo primo 45 giri (un disco in vinile, nero; lo dico per i più giovani che pensano che la musica si sia sempre ascoltata con i CD) s’intitola È lei. È già un successo l’essere riuscito a trovare una casa discografica per inciderlo … Poi la famiglia. La musica è roba per ragazzi. Bisogna lavorare per far crescere i figli (ne avrà tre). Ma la chitarra è sempre in agguato, pronta a saltargli in mano in ogni istante libero.
Poi cominciano le chiamate dalle parrocchie. Perché non vieni ad insegnare musica ai ragazzi? Come dire di no a quei giovani sacerdoti che lo invitano con tanto calore a mettere a disposizione dei loro ragazzi il suo amore per la musica? E via. Gairo, Villagrande, Arzana, Talana … Nei pomeriggi liberi. Nessuna remunerazione. Qualche soldo per pagare la benzina. E poi l’oratorio salesiano. Per lui, lanuseino doc, è un’attrattiva irrinunciabile. Bambini e ragazzi. A decine hanno imparato a fare Do, Sol, Do, Fa, Sol, Do cantando Il ragazzo della Via Gluck, primo banco di prova per tutti gli aspiranti chitarristi di una volta E che gioia nel vedere i loro visi brillare di commozione, quando gli accordi cominciano a farsi più netti …
Un giorno, un freddo giorno d’inverno del 1994, lo acchiappa don Luigi Ortu. È cappellano alle carceri. Perché non vieni a suonare anche in carcere? C’è qualcuno che vuole imparare a suonare. Almeno passa un’ora di tempo in maniera diversa che non a vegetare sulla brandina della cella … Il sì è immediato ed entusiasta. Si comincia subito. Due volte alla settimana, venerdì e domenica, prima in compagnia del cappellano, poi da solo (“Ormai mi conoscevano tutti!”). Esercitazioni di chitarra e piano. Gratis, s’intende. Suona e prepara i canti per la messa domenicale. Così per 17, diciassette, anni, senza mai mancare un appuntamento. E avrebbe continuato ancora se un ictus non l’avesse inchiodato a una sedia a rotelle.
Mi racconta tutto a cenni, dolcemente arrabbiandosi quando la moglie Claretta non riesce ad interpretare le sue parole che sembrano i suoni di una chitarra rauca. Mi mostra una lettera che conserva come una reliquia. È di Webey, un ragazzo marocchino che ha appena finito di scontare la pena e parte per la Spagna. «Ti auguro tutto il bene del mondo. So che hai una figlia molto malata. So cos’è la sofferenza, ma la mia sofferenza rispetto alla tua è poco». E poi mi narra di quel ragazzo cagliaritano che suonava come lui in un complesso e che è finito in carcere per una questione di droga. Si è fatto portare da casa una pianola. Quante suonate nel freddo opaco di quelle mura incalcinate! Quando finisce la pena, gli regala la pianola. Da amico ad amico. E il vecchietto che nessuno va a trovare, perché i parenti si vergognano del reato che ha commesso. All’inizio lo vede sempre solo, in un canto. Non risponde neppure quando gli rivolge la parola. Poi capisce. Soffre di una grave forma di ipoacusia. La sua bambina, Sara, ha una protesi che non usa più. Chiede se può portargliela. Ora, nonostante l’età, il vecchio signore solitario parla. Canta perfino, con la sua voce disabituata a parlare e ridiventata infantile. E quella volta che un giovane detenuto stringendogli la mano per salutarlo, alla fine della lezione, vi lascia un minuscolo oggetto. Inizialmente ha paura. Non può prendere nulla dai detenuti né consegnare loro alcunché. È un piccolo pezzetto di carta. Piegato e ripiegato con cura. Come le fisarmoniche che usavano a scuola gli alunni un po’ impreparati all’ora del compito in classe di latino. «Tu sei il Gesù che ha detto: “Chiedete e vi sarà dato”. Fa’ che Sara possa crescere serena e godere i suoi anni nella gioia». Era una preghiera per la sua bambina. Una preghiera per Sara. Scritta da un detenuto.
Gli occhi si inumidiscono. «Che fine ha fatto la tua chitarra elettrica?», gli chiedo, per spezzare l’emozione che lo sta avvolgendo. Mi fa cenno di seguirlo. Lui avanti, con la sedia a rotelle che governa con difficoltà. No!, fa col capo alla moglie che vuole aiutarlo ad entrare nella grande sala da pranzo. Vuol esser lui a mostrarmela. È racchiusa in una teca di legno, protetta da un vetro. Come lo scettro del re della Cina …