L’arte? Un eterno gioco di segni
di Claudia Carta.
Tutto ciò che non hai mai visto. Meglio, tutto ciò che credevi di vedere, per poi scoprire che la realtà (presunta, pensata, immaginata, vista) è cosa altra rispetto a quella che i tuoi occhi ti rimandano. Chiaro? Se la risposta è no, allora la strada è quella giusta e possiamo provare ad avvicinarci al Casula-pensiero per godere della meraviglia che ci regala a ogni click di mouse.
Geniale è riduttivo. Eclettico e poliedrico? Ci può stare. Ma la definizione migliore dell’artista seulese, classe 1931, ce la regala lui stesso: «Sperimentatore». Perché? «Mi piace controllare cosa succede se faccio il contrario di ciò che sembra normale». Non male come inizio.
Niente pennelli o tele – quelli li ha lasciati da parte almeno trent’anni fa – niente di appeso al muro – avete presente i quadri? –, ma solo tastiera e monitor. Attenti bene, il computer crea l’opera d’arte. Dunque, la tecnologia intesa come strumento e linguaggio utilizzato liberamente e in modo non banale. L’artista si interfaccia con esso e via via che l’opera prende forma, la mente umana ne acquista consapevolezza. Non è poco. È tutto. Il resto lo fanno i software, i programmi che possono essere bidimensionali o tridimensionali. Nascono da qui i cortronici 2D e 3D, molto più di semplici video. Che nomi! Eppure ogni cosa, anche i neologismi coniati da Casula, hanno un senso.
È stato il poeta visivo Gianni Toti a definirlo un “pittronico”, un pittore elettronico. E l’artista ogliastrino è abilissimo a giocare con immagini, colori e suoni, figuriamoci con le parole.
Il punto di partenza di questo viaggio costante fra reale e virtuale risponde a un altro nome particolare: le diafanie. «Sono immagini realizzate al computer – spiega – fotografate come appaiono sul monitor e proiettate alternativamente, in forma di diapositive, da due proiettori che le sovrappongono nello stesso spazio, separandole una dall’altra, attraverso dissolvenze incrociate. I proiettori sono governati da una centralina elettronica che decide la sostituzione delle diapositive e la lunghezza delle dissolvenze, oltre che lo scorrere della musica. Si tratta di una tecnologia ormai obsoleta, essendo sparite sia le diapositive che i proiettori».
Con i cortronici, i cortometraggi elettronici, il passo avanti è grande: la direzione è quella che va verso il cinema astratto, dal momento che di video astratti si parla. Da vedere e da ascoltare.
E le nostre certezze? I nostri punti di riferimento? «L’arte è meglio che tolga le certezze o, meglio, che le metta in dubbio. Quanto ai punti di riferimento, si tratta di valori importanti della vita, anche quando ritenuti stabili e inalienabili. Anche nei loro confronti, è bene che l’arte inserisca dei dubbi. Anche se non sempre l’arte può dirsene responsabile, le radici dei grandi sommovimenti sociali della storia affondavano nell’humus del dubbio».
E cosa sia l’arte, il pittronico ogliastrino prova a farcelo capire: «L’arte è un gioco che si esegue con l’uso libero dei segni (parole, immagini, suoni, gesti…). I segni sono qualcosa che sta al posto di qualcos’altro, ma non sono la cosa di cui stanno al posto: la parola “penna”, che è un segno verbale, sta al posto della cosa “penna”. Con la parola “penna”, non posso tracciare segni sulla carta, mentre posso farlo con la cosa “penna”, Infatti, Cose e Segni sono governate da regole diverse. Per dirne un’altra: se prendo un ferro da stiro (cosa) e lo immergo in una vasca da bagno piena d’acqua, esso affonda (regola della gravità); se dipingo un ferro da stiro (segno) immerso in una vasca da bagno piena d’acqua, nessuno mi vieta di farlo galleggiare. Estendendo l’esempio al vasto mondo delle idee, questo significa uso libero dei segni».
“Il libro dei segni”; “Tra vedere e non vedere”; “Una festa per gli occhi. L’avventura di un artista che guardava nel buio”, alcuni dei suoi libri. Un modo, il suo, di guardare/vedere l’arte influenzato indubbiamente dal complesso problema alla vista, risolto a 33 anni: «Quando il mio visus era tanto scarso che solo portando gli oggetti a portata di naso ero in grado di vederli nitidamente – racconta – ero in grado di cogliere ogni dettaglio nelle fotografie che mio padre scattava nei luoghi e alle persone della Barbagia. Questo mi permetteva di proiettare mentalmente le immagini di quei luoghi, nei luoghi che mio padre aveva fissato nelle sue fotografie e di vedere quei luoghi, quando li avevo davanti, come se fossero quei luoghi veri, anche se non li vedevo realmente, essendo proiezioni mentali. Diciamo che le immagini nascono dalle immagini come le parole nascono dalle parole. Per questo motivo, anche quando guardavo nel buio, riuscivo a dipingere. Va da sé che, dopo i due interventi chirurgici agli occhi, il mio apprendistato di neo vedente, unito agli studi della psicologia della percezione, hanno affinato i processi semiotici del mio lavoro d’artista».
26 anni di scuola elementare. Il maestro Tonino vive interamente nell’artista Casula: «Sì, è cosi: quando imparo qualcosa, non vedo l’ora di raccontarlo a tutti, anche se non sono più bambini e anche se non hanno voglia di ascoltarmi». L’arte dell’ottantasettenne seulese affascina i nativi digitali: «Purtroppo, non sempre sono in grado di rispondere alle loro domande su problemi tecnici, essendo i nativi più scaltri di me».
Arte e scienza, musica e pittura, percezione visiva e sperimentazioni. L’universo di Tonino Casula è in continuo divenire. Anche il futuro è arte.
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