L’arte è un atto di coraggio
di Fabiana Carta.
Per entrare nel suo mondo dovete togliervi le scarpe. Metaforicamente. Lasciate fuori i fardelli, i pensieri pesanti, per fare spazio alla magia, alla creatività più istintiva.
Intanto che lei prepara il caffè io posso curiosare nel suo laboratorio, una casetta in legno posta al centro del giardino. La vita è una storia cortissima, la frase scritta sul muro con un pennarello mi dà il benvenuto. Poco più avanti un’altra frase, Ci sarà un modo più pratico…Sì, Alt + F4, mi fa sorridere.
Opere addossate alla parete, scaffali carichi di oggetti, barattoli di pittura, fogli. In un angolo noto la Bibbia, consumata, senza copertina, con tante frasi appuntate sopra. È una delle prima cose che le chiedo: «Sì, sono cattolica, anche se Gesù fosse un mito è il mito più figo che esista, perché è un disobbediente. Mi piace l’idea che ci sia Dio dentro di noi».
Questa è Rosa Todde, una ragazza nata in una calda giornata di luglio del 1981. Gioiosa, piena di energia. Vive ad Arbatax con suo figlio di 8 anni, Samuele, il suo maestro: «Come tutti i bambini è sincero, pratico, spontaneo, ha sempre la soluzione per ogni mio dubbio».
Dopo un periodo di incertezza, in cui ha provato a frequentare la facoltà di Architettura, poi quella di Sociologia, è partita a Bologna per prendere una laurea all’Accademia di Belle Arti con indirizzo Scultura. Oggi si divide fra il lavoro part-time alle Poste e la sua arte. Prima la compostezza del lavoro d’ufficio, poi l’esplosione di creatività.
Un animo artistico fin da bambina. Ricorda un piccolo momento di quando aveva solo qualche anno, mentre disegnava su di un banale rotolo di carta bianca da calcolatrice e lo riavvolgeva soddisfatta: «Mio padre mi notò e disse a mio fratello Andrea: “Guarda, tua sorella è creativa e ingegnosa, che brava!”». Quella frase, come un’approvazione, fu un grande input per lei. Allora torna sempre il dubbio amletico, artisti si nasce? «Un po’artisti si nasce, ma è più complicato di così. Magari si nasce disobbedienti, anche verso sé stessi, poi si incanalano queste energie in un qualcosa che è divertente fare. Ma soprattutto fare arte è un atto di coraggio, perché fai parlare e agire il tuo Io».
Gli anni in cui vive e studia a Bologna sono anni di passaggio a livello tecnologico, i vecchi televisori con il tubo catodico lasciavano lo spazio allo schermo piatto. Le strade erano invase di vecchie Tv abbandonate vicino ai cassonetti, c’era chi le smontava in due per rubare i fili di rame e le lasciava così, come spogliate. Per molti queste povere televisioni abbandonate erano solo oggetti superati, da buttare. Agli occhi di Rosa no. «A me è capitato di scorgerne la bellezza. Quando ho intravisto quei televisori rotti, con la scheda scoperta, per me quella scheda è diventata un paesaggio. Tutto può essere traslato».
Da quel momento nasce la passione per gli oggetti in disuso, che chiamerà Rotod. Torniamo all’interno del laboratorio dove mi mostra vari componenti di macchinari antichi. Li chiama per nome con entusiasmo e ognuno di loro, nella sua funzione, può essere interpretato metaforicamente: «Prendi una memoria, appena loro vedono la luce si dimenticano tutto. I condensatori, che possono essere di vari tipi, accumulano energia per poi rilasciarla al momento giusto. Poi ci sono i dioli, quelli un po’più dispettosi, perché si lasciano attraversare dalla corrente solo in un senso, invece le resistenze si lasciano attraversare solo fino a che vogliono loro».
Non avrei mai pensato che elementi così apparentemente freddi e insignificanti potessero avere una chiave di lettura così poetica. I Rotod sono componenti elettronici che riprendono vita, il loro assemblamento è come un mosaico armonico, «una di quelle migliaia di componenti che formano le mie sculture potrebbe essere anche il singolo individuo che insieme agli altri si aggrega in virtù di qualcosa di comune», mi spiega.
Rosa è d’ispirazione dadaista, da cui trae l’aspetto divertente, l’uso di oggetti comuni nascosti dietro l’apparente perfezione dell’opera. «L’arte è disobbedienza – spiega – stai creando qualcosa che non è scontata, uno strappo, e poi finisci come Fontana che strappa la tela, per vedere com’è la realtà dietro, per capire». Gli artisti sono così, adeguano la realtà ai loro sogni, «è un destino bellissimo», mi confessa.
Fa arte per un motivo molto semplice: la fa stare bene. «I miei quadri sono pop, è dare all’arte il suo significato, ovvero decorativo, quello di farci stare bene, di invitarci a fare delle riflessioni mentre osserviamo. Noi artisti siamo delle anime sofferenti, ma credo che siamo venuti al mondo per vedere il bello, per capire che il bello può nascere anche dalle cose brutte».
Cosa vuol dire davvero fare arte? «Per me è saper rubare le storie nell’invisibile e riproporle nel presente. Fare arte è come avere un equipaggiamento in più per affrontare la vita, serve per fare luce dove luce non c’è, e fare luce significa però anche creare un’ombra». E secondo voi chi se la becca quell’ombra?
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