In breve:

La mia “Cornelia”

Cornelia

di Ilaria Melis.

Mia figlia Maria ha una sindrome genetica rara, la Cornelia de Lange, che determina scarso accrescimento, ritardo mentale, problemi agli organi interni, disturbo del linguaggio e di comprensione linguistica

È la secondogenita di 4 figli, quando è nata era solo molto piccola. Mai avrei pensato che la mia famiglia sarebbe entrata con lei nel mondo della disabilità. Cresceva molto lentamente. Le domande sul “perché non crescesse” sono subito comparse. Intorno ai sei mesi è iniziato il percorso diagnostico: il primo ricovero, l’incontro con professor Antonio Cao, gli appuntamenti periodici al Microcitemico… Francamente non pensavamo alla disabilità, non ce n’era il tempo.
Ci eravamo da poco trasferiti in Ogliastra a causa del mio nuovo lavoro e avevo un altro bimbo piccolo. Già dai primi mesi ci siamo accorti che i problemi non si limitavano solo alla crescita, ma a tutta la sua persona, tutto era in ritardo. Era complicato capire cosa fare, eravamo concentrati sulla “non crescita” e un po’ per caso, intorno ai 14 mesi, abbiamo attivato gli interventi riabilitativi necessari. La prima diagnosi clinica, fatta a Milano, è avvenuta ai 2 anni, confermata poi geneticamente nel 2008.
Da subito abbiamo cercato informazioni su Internet e ci siamo messi in contatto con l’associazione nazionale Cornelia de Lange, che riunisce le famiglie con la “Cornelia”. Un incontro fondamentale! Nel 2007 andai al convegno mondiale sulla Sindrome: conobbi le prime famiglie e vidi con i miei occhi e sentii profondamente, come non mai, che non ero la sola in quella condizione! Tramite l’associazione abbiamo conosciuto il genetista Angelo Selicorni e la neuropsichiatra infantile Antonella Costantino, esperta di Comunicazione aumentativa (C.A.A.): con loro abbiamo sperimentato un approccio completamente nuovo tra medico e paziente, un modo di vedere la persona, non la Cornelia, che ci ha permesso di mettere in piedi tutti gli interventi fondamentali per Maria.
Non è stato per niente facile e non lo è tuttora. Ci si misura quotidianamente con il “cosa fare e dove andare”, con la paura dell’oggi e del futuro, il pregiudizio e la commiserazione delle persone, a volte anche con la mancanza di tutela da parte delle istituzioni. Perché la disabilità fa paura ed è scomoda, questa è la verità. Tante persone mi dicono: «Tu sei coraggiosa». Rispondo: «Non lo sono, scelgo solo di non avere paura!». Mi chiedo sempre come posso vivere questa condizione e cosa è utile per Maria. Posso vivere la sua disabilità a testa bassa, subirla, ma scelgo di viverla attivamente, a testa alta, mostrando quello che per paura, forse vergogna, si tende a nascondere, parlando liberamente della sua condizione e facendo tutto ciò che ritengo utile per lei. La mia fortuna è aver intorno a Maria una equipe di professionisti con cui ci si confronta e progetta continuamente.
Occorre mettersi in gioco. La vera sfida è considerare la disabilità “normale”, cioè includerla nel nostro modo di pensare e vivere, riguarda le persone e l’ambiente in cui si vive.
Le relazioni con le persone sono quelle che fanno la differenza nella vita di ciascuno: è così anche per Maria che da adolescente tenta con fatica di costruire relazioni coi suoi pari.
Occorre apertura e accoglienza, così l’ambiente può includere e favorire il cambiamento di ciascuno.
Il mio sogno? Pensare Maria “autonoma”, accolta, inclusa nella comunità di Jerzu che la protegge e cammina con lei. La realtà è una costruzione…

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>