In breve:

La dignità possibile

anziana-lotzorai

di Ugo Serra.
Fino a cinquanta anni fa, a Lotzorai, c’era tanta povertà. Le case erano antiche e anguste, il lavoro contadino produceva solo redditi di sussistenza. Lo ricorda bene zia Rosina Piroddi, che racconta con serenità la sua storia allo stesso tempo normale e eccezionale: «Sono rimasta orfana piccolissima, senza casa e senza nessun bene per vivere. Un parente ci aveva messo a disposizione una stanzetta dove abitare. In quella piccola stanza c’era tutto: la cucina e il letto, eppure lì sono cresciuta fino alla prima giovinezza quando mi sono sposata». Quando si raccontano queste storie, i ragazzi di oggi non riescono a capire, sentono ma non ascoltano, per loro è più facile credere che i marziani siano sbarcati sulla terra piuttosto che accettare le storie della nostra povertà.
«Il matrimonio è stato poverissimo. Il corredo era composto da 12 strofinacci di tela di sacco (quelli della polenta americana del Piano Marshall), quattro lenzuola, e il copriletto di seta finta. Ma ci volevamo bene e ci adattavamo a vivere come si poteva, senza pretese e con tanto lavoro».
Il matrimonio racconta un’altra testimone, zia Assunta Concas, era un’altra cosa rispetto a quello di oggi: «Quando mi sono sposata il pranzo di nozze venne allestito in camera di mia madre, perché non c’era altra possibilità, gli invitati non erano molti, solo fratelli e sorelle, ma queste erano le possibilità e nessuno si scandalizzava».
Il lavoro dei campi era faticosissimo, e durava dall’alba al tramonto, eppure la gente non era triste: mentre camminava verso i campi si raccontava la vita del paese e si ripetevano i muttettus, che i giovani innamorati avevano cantato sotto la finestra della ragazza scelta. Oppure si cantava con ironia il disappunto per il diniego ricevuto dalla famiglia. Una vena poetica che oggi facciamo fatica a vedere, una vita del villaggio che aveva personalità e si distingueva da quella degli altri paesi vicini.
Ma questa fatica che dava appena la possibilità di mangiare e di pagare qualche tassa, non aveva alcuna prospettive di futuro, per questo motivo cominciò il triste esodo delle migrazioni: la Svizzera, la Germania, la Francia, il Belgio, l’Olanda furono le mete di questo viaggio della speranza. Continua il racconto di zia Rosina: «Dopo alcuni anni di matrimonio mio marito ha deciso di partire immigrato in Francia, come tanti suoi compagni. Ma io non volevo rimanere a lungo sola per cui lo raggiunsi dopo due anni. Vivere in Francia non è stato facile, non capire la lingua era per me molto difficile. Per guadagnare qualche soldo in più, abbiamo deciso di preparare da mangiare per altri e di provvedere alla pulizia della loro biancheria. Così, ogni giorno, la casa, al momento dei pasti era piena di operai».
Questa testimonianza ricorda la storia di zia Bonaria Ghisu. Stufa di restare sola, decise autonomamente di partire per Parigi, coi suoi due bambini, e ricongiungersi con suo marito. Quando lui se la vide improvvisamente dinanzi, si sentì preso dalla disperazione: «E adesso dove ti metto?», riuscì solo a mormorare. Lui viveva nelle baracche degli operai e lì non c’era posto per donne e bambini. Si adattarono a vivere in un vecchio carro ferroviario, che per alcuni anni divenne la loro casa, fino a che non poterono permettersi un affitto e una casa vera.
Dopo una quindicina d’anni zia Rosina e la sua famiglia fecero ritorno a Lotzorai. Con l’apertura della cartiera la situazione era cambiata e il boom degli anni 70 stava trasformando il paese. Si costruivano nuove case e anche loro, con i soldi risparmiati all’estero poterono acquistare il terreno, fabbricarsi una casa vera e dare dignità alla loro vita e a quella dei loro figli.
Sono storie di povertà, di gente normale che ha lottato per la sopravvivenza. Storie di sofferenza ma anche di speranza. Storie che oggi dovremmo guardare con molta attenzione. Nel tempo della lamentazione continua, ricordare queste persone povere di soldi e di conoscenze, ma ricche di un cuore grande e di una volontà decisa, hanno saputo affrontare le loro difficoltà e vincere la lotta più importante quella della vita. Loro ci lasciano un grande messaggio: vivere è sempre bello anche se ci sono tante cose che non vanno, e tutti possono riuscire a superare gli ostacoli e i problemi della vita. Basta avere un cuore grande che sa amare per vivere pienamente la propria dignità.

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