In principio furono 80 ore in reparto
di Alessandra Secci.
Un incubo chiamato Coronavirus e l’isolamento sociale.
Abbiamo incontrato Graziella e Federica, le due infermiere di Loceri che nel marzo 2020 hanno contratto il virus sul luogo di lavoro, l’ospedale di Sassari. Con loro ripercorriamo quei drammatici momenti
Febbraio 2020. Il nuovo Coronavirus comincia a propagarsi sul suolo italiano e già a fine mese le vittime sono centinaia. In Sardegna, Sassari è il nucleo del contagio e l’ospedale Ss. Annunziata il focolaio principale. Graziella e Federica, entrambe loceresi, lavorano come Oss e infermiera presso il reparto di Cardiologia del presidio sassarese: la prima è sposata e ha due bambini, Federica ha due nipotini per i quali stravede.
Marzo. Dopo alcuni sintomi sospetti, la sera di sabato 14 in Cardiologia sono processati i tamponi ai pazienti e a tutto il personale, comprese Graziella e Federica. Il responso arriva la mattina seguente: come per quasi tutti i loro colleghi: positivo. Per un’assurda concatenazione di eventi, le ragazze sono quindi le prime due ogliastrine ad aver contratto il Covid-19.
Dopo gli accertamenti, parte immediatamente un inverosimile rimpallo di responsabilità tra i vari enti, che in breve si trovano a gestire una situazione rognosissima; le malcapitate, già distanti da casa, chiedono a gran voce di poter effettuare l’isolamento in Ogliastra, in un alloggio apposito, ma il loro appello cade inspiegabilmente nel vuoto. Graziella riesce a rientrare al suo domicilio in città, mentre Federica, assieme ad altri colleghi, rimane rinchiusa all’interno del reparto, senza possibilità di lavarsi, cambiarsi, ma continuando stoicamente a fornire meglio che può assistenza ai degenti. Martedì 17. L’unica novità consiste nello spostamento del personale al 4° piano: la frustrazione è immensa e il riposo una chimera. Su Facebook scrive: «80 ore in reparto. Il titolo di un film? No, l’inizio di un incubo».
Il mattino dopo viene finalmente dato il via libera al loro rientro: l’ambulanza, scortata dai carabinieri, arriva a Loceri nel tardo pomeriggio.
Giovedì 19. Tra le testate online che raccontano del loro ritorno, si legge: «Si è discusso dell’operazione, che ha suscitato grandi perplessità nella popolazione di Loceri, comprensibilmente allarmata».
Già, comprensibilmente: i contorni assurdi della vicenda sono racchiusi proprio in questo avverbio. Nelle ragazze, già provate dall’attesa snervante e dalla malattia, a prevalere è però la sensazione di smarrimento: nessuna vasca in centro, nottate in discoteca o precauzioni ignorate, il contagio non è avvenuto di certo così! Per loro il lavoro è una missione, loro sono soldati e quelle riportate sono ferite inferte sul campo di battaglia, non per una mascherina sotto il naso. Non vogliono medaglie, né riconoscimenti.
Eppure a Loceri pare non sia tanto atteso, il loro rientro. Anzi.
In paese vige un clima quasi manzoniano: l’isolamento a cui entrambe sono sottoposte non è solo quello necessario al decorso, ma soprattutto (e purtroppo) quello sociale. Per fortuna, però, le comunicazioni non sono quelle seicentesche e i due soldati, pur provati, tengono ancora botta grazie all’incessante sostegno telefonico delle loro famiglie e dei tantissimi amici. A Federica mancano soprattutto le risate dei nipotini, a Graziella la presenza dei suoi bimbi, ma dopo 34 lunghissimi giorni di positività la prima e 48 la seconda, i tamponi sono finalmente negativi.
Federica, da bravo soldato, rientra subito in trincea, a Lanusei, già da maggio, ed è tuttora impegnata tra screening e campagna vaccinale; Graziella è invece in forze al CSM di Tortolì: per entrambe quindi un 2020 duro, spietato, ma al contempo foriero di speranze e di nuove sfide.
Dinanzi a esse un vero soldato non si tira indietro. Anche senza medaglie.
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