Il modo giusto
di Claudia Carta.
«Abbracciami».
Se c’è una parola che legherò per sempre alla figura piccola ma immensa di Simona Atzori, ai suoi ricci lunghi e ribelli, alle sue “mani in basso”, è proprio questa.
I suoi occhi nei miei. Un saluto che, sotto il cielo d’agosto, sapeva di infinito. Una voce, la sua, a chiedermi un gesto disarmante nella sua naturalezza, ma che, solo, riesce a esprimere l’emozione, l’intensità, il trasporto, la gratitudine, la fisicità.
La cosa più bella che potesse chiedermi. Le mie braccia hanno incontrato le sue.
No, non è un errore. Non sto sbagliando. Le sue braccia mi hanno accolto sul palco quando si è avvicinata a salutarmi con un bacio. Mi hanno accompagnato durante la nostra chiacchierata, fra riflessioni e curiosità, nell’autenticità del racconto di una vita vissuta in pienezza, disegnata così da quel Dio che così ha disegnato Simona. Mi hanno sbalordita con la verità di un sorriso che nasce dal profondo e che dice quanto «non importa se hai le braccia o non le hai, se sei lunghissimo o alto un metro e un tappo, se sei bianco, nero, giallo o verde, se ci vedi o sei cieco o hai gli occhiali spessi così, se sei fragile o una roccia, se sei biondo o hai i capelli viola o il naso storto, se sei immobilizzato a terra o guardi il mondo dalle profondità più inesplorate del cielo». Già, non importa. Perché «non c’è nulla che non possa essere fatto, basta trovare il modo giusto per farlo. E sta a noi trovare il modo giusto per noi».
Ride. Si prende in giro. Gesticola. Si commuove.
Eccole, le braccia di Simona: sorriso, forza, determinazione, sacrificio, motivazione, sogno, coraggio. Le abbiamo sentite tutti, in un Anfiteatro Caritas che trasudava pathos. E tutti ci siamo lasciati abbracciare da questa donna, che vola leggera accompagnata dalla musica e che dipinge le sue tele con i colori dell’esperienza.
È proprio vero: «La vita è un viaggio: le fermate migliori sono le persone speciali». Dopo che le incontri non sei più la stessa persona che eri prima.
«Abbracciami». Le parole non servono. Sono tutte là dentro e le tengo con me.
Me le porto appresso in questo nuovo anno che inizia e chissà come sarà. Chissà come lo costruiremo, come lo vivremo, come lo racconteremo. Una cosa è certa: troveremo il modo di farlo, sospesi fra la bellezza e la luminosità di quella speranza che non muore mai e il grigio e la pesantezza di difficoltà, disagi, povertà e male che urlano al mondo quotidianamente.
Senza paura: «Se avessi avuto paura – ha detto Simona – sarei andata indietro, invece che avanti. Se mi fossi preoccupata, mi sarei bloccata. Adesso sono felice, smodatamente, spudoratamente felice. Ed è una gioia raccontarla, questa mia felicità».
Troviamo anche noi il nostro modo giusto.
[Ph by Fabrizio e Anna Piroddi]
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