Il coraggio di gesti profetici
di Mons. Antonello Mura.
Ascolto, coraggio e profezia sono le parole chiave di questo numero. Singolare che le prime due, anche nel nostro convegno dell’ottobre scorso, trovino maggiore comprensione e attualizzazione, mentre la terza appaia più difficile comprenderla e applicarla alla realtà. Ritengo comunque positivo (e necessario) parlarne, rifletterci, nella prospettiva di coglierne le sonorità e gli effetti, che anche nel nostro territorio meritano analisi e scelte. Come Chiesa diocesana non dobbiamo avere reticenze nel parlare di profezia, proponendola alla riflessione, spiegandola nel suo senso originario, ma anche nella sua possibile attualizzazione in questo tempo. “Profezia” e “profeta” come sappiamo sono termini propriamente biblici. Il profeta nella Bibbia parla a nome di Dio, ma è immerso totalmente e profondamente nella storia, e con il suo impegno ne vive le tematiche, inclusi i problemi. Per questo e solo così, alla luce della sua esperienza di fede, può dare un giudizio esatto sul presente, annunciando e denunciando, con l’intento di riportare la storia umana nel disegno di Dio. Tra l’altro la profezia ha sempre bisogno di ascolto e di coraggio. Secondo la bella espressione di Isaia il profeta è un uomo di ascolto, che ogni mattina fa attento il suo orecchio (cf Is 50,3). Mostra quindi coraggio nell’ascoltare Dio, vivendo in prima persona le conseguenze di fedeltà e obbedienza che l’ascolto della sua parola comporta, ma resta vigilante in mezzo al popolo, interpretando coraggiosamente i segni dei tempi. “Sentinella, a che punto è la notte?” (Is 21,11), e il profeta risponde: “Viene il mattino, poi ancora la notte. Se volete domandare, convertitevi, fate ritorno al Signore!” (Is 21,12). Oggi come ieri abbiamo bisogno di donne e di uomini che comprendano il progetto di Dio, in-segnino (indichino segni) della sua presenza, colgano l’attualità in prospettiva, traccino orientamenti per il futuro. Il profeta è Il coraggio di gesti profetici l’opposto dell’indovino, perché non anticipa il futuro dimenticando il presente, piuttosto nel tempo attuale apre il futuro scorgendone un compimento. Il grido del salmo 74 deve continuare a scuoterci: “Non c’è più alcun profeta, e fra noi nessuno sa fino a quando”. Tradotto nel nostro contesto, non significa immaginare o aspettare chissà quali personalità o eventi che trasformino coscienze e territorio, quanto piuttosto di credere che la forza delle idee, degli sguardi alti e degli orizzonti non ristretti siano pensieri profetici. Meglio se illuminati dalla fede, che sa leggere il tempo che passa con gli occhi di Dio. La nostra Diocesi, più di altre (forse) è chiamata a porre gesti e atti profetici, che diano fiducia e speranza a un territorio spesso colpito dalla sindrome dell’appagamento o della sfiducia. Abbiamo bisogno di credenti che con un cuore appassionato intuiscono da che parte sorgerà il sole, anche se molti continuano a rimanere tristi o rammaricati perché vedono solo la luce della sera che si spegne. Abbiamo bisogno di un linguaggio nuovo, che la fede non rinuncerà mai a suggerirci, per mettere in atto anche letture critiche – perfino simboliche – e comunque trasformatrici, e per pronunciare anche in questo tempo parole alternative. Perché, come dice il primo libro del profeta Samuele, la lampada di Dio non si è ancora spenta.
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