In breve:

Giovani. Il dovere di sognare

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 di Tonino Loddo

Confesso di non aver paura per il futuro dei giovani, quelli che si danno da fare, nonostante tutto. Nonostante le lauree a pieni voti e le attese deluse, nonostante si adattino a sbarcare il lunario in ogni modo, nonostante l’incedere in bilico su un’esistenza precaria eppure in movimento: perché il segreto è continuare a camminare.  Sempre.

No, non temo per il futuro di questi giovani perché se non qui, in Ogliastra (eppure sarebbe bello se fosse così!), troveranno sicuramente nel mondo una strada che li realizzi.

Temo, e molto, invece, per quelli che aspettano che qualcosa accada, che dall’alto o dall’esterno qualcuno

riscatti le loro esistenze; che sognano la via breve dell’accozzo e intanto popolano numerosi, dalla mattina alla sera, i tanti bar dei nostri paesi. Un’attesa amorfa, caratterizzata da un presente inesistente e dalla totale assenza di una qualsiasi idea di futuro. Temo per questi giovani.

Ma, se possibile, temo ancora di più per la nostra generazione di adulti che li ha cresciuti, quella stessa generazione che oggi dipinge per loro un futuro a tinte fosche. Non sopporto molti di questi coetanei che si lamentano e dicono: «non c’è speranza per mio figlio»; e pensano che ogni problema si possa risolvere solo mendicando amicizie che contano. Perché è stata proprio la nostra generazione a contribuire a creare le condizioni di oggi, assistendo inerme al degenerare di un Paese che andava alla deriva in un mare di clientelismi e corruzione, non arginando una politica che si è dimenticata di che cos’è il bene comune, in una società che ha continuato a sprecare e a tutelare diritti acquisiti, senza preoccuparsi di cosa avrebbe tolto a chi sarebbe venuto dopo. Gente che oggi si arrabbia perché i figli non trovano un’occupazione adeguata, perché in Italia non vince il merito, perché a forza di lavori precari i ragazzi non possono permettersi uno straccio di domani.

Tutta gente che ai figli avrebbe portato lo zaino fin dentro la classe se avesse potuto, che andava ad imprecare dai professori se il ragazzo prendeva un voto che considerava non adeguato, che li riempiva di regali prima ancora che cominciassero a coltivare un desiderio, senza preoccuparsi dell’importanza di educarli a coltivare un sogno. E di allenarli alla fatica per conquistarlo. Temo anche per i figli di quei genitori da sempre avvelenati contro il sistema, impegnati costantemente non a pensare come costruire, ma a  protestare contro qualcosa o qualcuno, come se questo li potesse sollevare dalle responsabilità di offrire ai figli le ragioni per avere speranza.

Ecco: i figli di oggi sono il prodotto dei genitori di ieri, del modo in cui noi stessi abbiamo affrontato la vita e del Paese che abbiamo contribuito a costruire. La colpa non è degli altri; è di un’intera generazione che ha permesso che le condizioni di oggi si realizzassero. E oggi, dire loro che non c’è più speranza ha il sapore di una beffa.

E allora urliamo con Francesco: «Non lasciatevi rubare la speranza». C’è speranza, ragazzi, c’è sempre se ci aggiungete l’azione. Perché voi avete molte più ragioni di altre generazioni per avere speranza: perché avete avuto un’istruzione e mezzi di comunicazione straordinari, e anche perché siete cresciuti in un tempo senza guerre, né fame. Per essere nati qui piuttosto che altrove. Ma la speranza si realizza nel fare. E nel saper accarezzare i sogni. Stringete patti con il buono che c’è (e ce n’è!) nei vostri padri e nelle vostre madri, che vi sono accanto per allenarvi al futuro astenendosi dal commiserarvi.

Abbiate fiducia, non mollate. E, secondo un celebre aforisma attribuito a Goethe, ricordate che «nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la Provvidenza si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti mai sarebbero avvenute… Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di poter fare, incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere, magia. Incominciala adesso».

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