Emanuele Canu, tra vibrazioni e risonanze
di Augusta Cabras.
È certo che l’esperienza lavorativa (e quindi anche umana) di Emanuele Canu non possa essere racchiusa solo nella definizione che Treccani dà di “tecnico del suono”. Scrive infatti la rinomata enciclopedia: il tecnico del suono è colui che sovrintende agli apparecchi per la captazione, la registrazione e la riproduzione dei suoni.
Una definizione asciutta, tecnica, limitata. Forse troppo. Perché dentro la vita e il lavoro che Emanuele Canu ha fatto finora – e ancora continua a fare come tecnico del suono – c’è: l’emozione di “prestare le orecchie” al pubblico scegliendo il suono migliore; la bellezza dei teatri, quella che lascia senza fiato; la potenza degli stadi gremiti di persone che cantano all’unisono; gli scenari naturali in cui l’incanto diventa esso stesso un canto meraviglioso. Ci sono poi i chilometri percorsi per raggiungere le città di tutta l’Italia, la valigia sempre in mano per le lunghe tournée fuori casa. E ancora gli incontri con artisti straordinari, insieme alla leggerezza di sentirsi comunque sempre un po’ allievo, con la voglia di sperimentare e di imparare continuamente, costantemente.
Una vita nella musica, quella di Emanuele, che fin da piccolino desiderava suonare la chitarra. Una vita nel suono, la sua, tra le vibrazioni e le risonanze.
Classe 1977, fino al diploma Emanuele vive a Tortolì, poi si trasferisce in Emilia Romagna, a Bologna, dove frequenta il DAMS che lascia dopo due anni di frequenza. A questo segue l’interesse e lo studio per la cinematografia, poi un corso come fonico. Da lì in poi è un crescendo di esperienze. «Credo di aver fatto di tutto dentro questo mestiere, dal facchino alla mansione che richiede più competenza e precisione». Emanuele non ama elencare gli artisti con cui ha lavorato, lo fa per riserbo (forse) e per umiltà (certamente). Dopo qualche insistenza riesco a farmene dire solo alcuni: sono Zarrillo, Noemi, Mannarino, Battiato, e ancora eventi in presenza del Papa o del presidente americano Bush, come nel 2006 al G6 di Venezia, in mondovisione.
Vent’anni di eventi, spettacoli e concerti. Vent’anni di lavoro intenso e appassionante. Gli chiedo se da quella posizione, che non è solo fisica ma di responsabilità, ci si può godere lo spettacolo oppure no. Emanuele un po’ mi spiazza dicendo: «Se non mi godessi lo spettacolo, non starei facendo bene il mio lavoro». Ci penso un po’ su e capisco che in effetti ciò che lui vorrebbe sentire (il suono migliore possibile) o sente, è quello che arriva alle orecchie (e al cuore) delle persone che hanno scelto quel concerto o quell’evento.
Emanuele spiega che più il livello di un concerto è alto (cantante di fama, mega produzioni, ecc.) più il ruolo del fonico si fa specifico, per cui può esserci il fonico di palco «che diventa un altro elemento della band», il fonico di sala e il fonico di messa in onda; in eventi di piccole dimensioni spesso le figure coincidono in un unico professionista che microfona, verifica, mixa e prepara gli ascolti dei musicisti. Gran bella responsabilità!
Dopo questo continuo andare di città in città, di teatro in teatro, con base stabile nelle Marche, Emanuele qualche anno fa matura il desiderio di tornare in Ogliastra, con la sua compagna e la sua terza figlia di 12 anni, Cecilia. «Dopo tanti anni avevo bisogno del ritmo di questi luoghi, di questa calma – dice –. Sono una persona che si annoia facilmente, ho bisogno di fare, di creare, di progettare e stare ad Arbatax mi fa bene. In questo momento è la dimensione giusta per me e per la mia famiglia. Mi piace l’idea che nostra figlia possa passare qui gli anni dell’adolescenza. Ci piace che possa andare a scuola a piedi, è bello che ci sia ancora questa possibilità mentre altrove, anche in paesi molto piccoli, non esiste più. Può sembrare un dettaglio da poco, ma in realtà non lo è». Emanuele mi accoglie nella sua casa. In una grande sala c’è uno studio di registrazione: mixer, microfoni, strumenti musicali, Pc. Un regno di suoni, echi, riverberi, note, dissonanze e assonanze. Un luogo di progettazione, sperimentazione, scambio, dialogo. «In Ogliastra c’è un potenziale creativo altissimo – spiega il fonico –. Serve scoprirlo, dare spazio e farlo emergere. Banalmente bisogna “fare cose”, offrire opportunità perché solitamente a una cosa ne segue sempre un’altra». Oltre al potenziale creativo, in Ogliastra c’è una natura così straordinaria che ha suggerito a Emanuele e ad alcuni suoi collaboratori di ideare un format dal titolo The Sardigna Trip, presente ancora sul canale Youtube. «Partendo da alcuni pilastri fondamentali radicati in discipline e conoscenze apparentemente distanti tra loro, come la musica, la fisica, la storia, le arti grafiche, la meccanica quantistica, lo studio dei testi sacri e delle tradizioni orali, l’astronomia e la geologia, raccontiamo come una produzione artistica possa essere influenzata e amplificata proprio dal luogo fisico e naturale in cui viene creata, grazie alla relazione vibrazionale esistente in determinati luoghi che risuonano (entrano in risonanza) con le onde e con le vibrazioni del cosmo».
Un modo nobile di intendere la musica e di fare musica. Fuori da certi schemi convenzionali e commerciali, fuori dal tempo breve di una canzone, fuori dai cliché e dai grandi cachet (come canta Dario Brunori, per essere in tema).
Pur avendo scelto Arbatax come luogo in cui vivere, Emanuele continua a fare tournée in giro per l’Italia e non solo, collaborando stabilmente con la compagnia teatrale Rosso Levante. «La dimensione del teatro mi piace moltissimo e sono felice di questa collaborazione».
Siamo certi che altri progetti artistici potranno nascere in Ogliastra anche grazie alla passione e alla bravura di un tecnico del suono che sovrintende agli apparecchi per la captazione, la registrazione e la riproduzione dei suoni. Ma non solo.
[Foto Pietro Basoccu]
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