Droga, alcol, armi e coltelli ci ammazzano

di Mons. Antonello Mura.
Parlo della violenza delle nostre strade. Quella violenza che riaffiora ogni tanto, prepotentemente. Con un’arma o un coltello, con aggressioni o attentati. Una violenza intermittente, anche nel nostro territorio: amareggiandoci e rattristandoci quando compare, rasserenandoci quando sembra scomparire.
A Bari Sardo, una serata di carnevale, diviene luogo di un delitto. La vittima, Marco, aveva solo 22 anni.Qualunque sia il motivo che ha generato l’atto omicida, è sempre un grande peccato uccidere la vita. E quando parlo di “peccato” mi riferisco a tutto quello che questa parola include: colpa, male, scandalo, tragedia. Cristianamente è un peccato tutto quello che toglie ossigeno alla vita: quella morale e quella fisica, oltre a quella spirituale e psicologica. Perché siamo felici solo quando siamo pieni di vita, e diventiamo invece smarriti e confusi quando la vita viene meno, in tutte le sue forme.
La morte che si manifesta con un omicidio, è ancora più insopportabile. E compare, insieme ad altri sentimenti, anche quello della vergogna. Mi vergogno che l’umanità abbia queste manifestazioni, e non posso che soffrirne. Anche non conoscendo Marco mi basta sapere che la sua vita è la stessa vita che io ho ricevuto in dono. Avergliela tolta, offende anche me, noi tutti. E me ne dolgo, perché questo è un peccato anche sociale, quindi comunitario.
Solo un individualismo esasperato e un menefreghismo autotutelato, può rimanere inerte di fronte a questa violenza. E sarebbe un altro modo per legittimarla. In gioco c’è la vita di tutti, il presente e il futuro delle nostre comunità, direi la solidarietà educativa.
A grandi passi stiamo perdendo la capacità di vigilare sulla vita. Perché non vada perduta. Ma anche la possibilità di incidere sul cammino dei nostri giovani. Droga, alcol, armi e coltelli non creano futuro, né danno futuro ai giovani. Riflettere allora sul tema educativo è sempre più urgente. Come anche avere, finalmente, un salutare sussulto di indignazione, che non si fermi però alla sorpresa – in verità un po’ ipocrita – che generalmente accompagna il manifestarsi di certi episodi. Chiediamoci invece se siamo genitori ed educatori distratti, senza midollo educativo, svuotati non solo di energie – pigri nell’educare – ma anche di ideali. Oppure siamo diventate comunità (civili ed ecclesiali) in costante soprappensiero, occupate a progettare di tutto e di più, ma senza passione educativa, prive di quella solidarietà collettiva che vede i problemi e ricerca soluzioni.
Quando la cronaca ci consegna episodi inquietanti, domandiamoci se abbiamo sottovalutato precedentemente gesti o situazioni di allarme, o magari li abbiamo catalogati con molta indulgenza e, successivamente, con troppa omertà. La disinvoltura educativa che accompagna molti passaggi sociali, come anche familiari e scolastici, è un chiaro sintomo dell’indulgente ridimensionamento di molte problematiche. Siamo diventati accondiscendenti verso tutto e tutti. Stiamo perdendo il gusto di educare e di correggere. Con facilità ci mettiamo un velo sugli occhi per non vedere; ci tappiamo le orecchie per non sentire; ci cuciamo la bocca per non parlare. Fino a quando?
✠Antonello Mura
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