Dal pane alla terra. Una nuova via da tracciare
di Claudia Carta.
Pensare. Programmare. Avviare. Non parole a caso. Piuttosto l’esatta sequenza che determina la nascita di un progetto. «Io ho passione quando devo seguire questi passaggi fondamentali. Il mio percorso, paradossalmente, si è completato quando sono riuscito a realizzare tutto ciò che avevo in mente».
È sufficiente ascoltarlo pochi minuti, Vincenzo Ferreli, per capire la reale portata della sua carica motivazionale. Forte la determinazione. Tagliente il realismo. Sfrontata l’ambizione.
Dalla valigia dei suoi 38 anni, salta fuori una laurea in Economia e gestione dei servizi turistici. Oristano e Rimini non lo ispiravano. «Firenze mi è piaciuta da subito – racconta – e più studiavo, più mi convincevo di ciò che avrei potuto fare qui. L’idea è sempre stata quella di realizzare un progetto di lavoro tutto mio: non potrei lavorare alle dipendenze di altri». Lo ha fatto, intendiamoci. Ma «sempre finalizzato a imparare qualcosa da riproporre a Lotzorai».
Vulcanico. «Quello che ho fatto fino a oggi è un’attività imprenditoriale collegata al contesto nel quale sono nato e mi sono ritrovato». Un contesto che sa di buono: il panificio Ferreli, aperto dal 1964. Il dottore lascia, dunque, le rive dell’Arno nel 2007 e fa ritorno a quelle del rio Pramaera. Lavora due anni nell’azienda di casa. Nel 2009 la svolta, dopo una breve parentesi nel market di famiglia accanto al panificio, che «non ha mai riscosso la mia simpatia», ammette.
Apre il suo piccolo-grande mondo: la panetteria, caffetteria e paninoteca sulla centralissima via Roma. Ha pensato, programmato e avviato. Dieci anni fa o giù di lì. «Quando ho aperto – racconta – il mio concetto di ristorazione era completamente diverso, più semplice e immediato. Una volta ripresa in mano l’attività dall’ultima gestione, ho sentito che c’era bisogno di dare una nuova impronta. Così, ho deciso di aprire il servizio cucina, anche perché a Lotzorai non c’era un locale dove poter mangiare. Ho avuto ragione a metà. Alcune cose funzionano bene, altre meno, poi ti adegui. E quando arrivi ad adeguarti, vuol dire che il ciclo si è concluso».
Grandi occhi scuri. Sorriso timido ma genuino. Non ha paura di guardare in faccia una realtà come quella di oggi, complessa e avversa. Più che mai incerta. La serrata generale targata Covid-19 non ha risparmiato la sua attività. Riadattare il locale, gestire la sanificazione e reggere i suoi costi, dipendenti in cassa integrazione, improbabili protocolli di sicurezza: «Non so se ci sono i margini di guadagno per poter tenere aperto. Se dovessi riaprire, sicuramente lo farei in modo diverso e con servizi differenti».
Quarantena. Silenzio. E ancora quella irrefrenabile voglia di nuovo. Di ideare, di studiare, di dare forma a quell’istinto imprenditoriale che gli scorre nelle vene da sempre.
Birdesu – verdeggiante località in agro di Girasole – diventa la sua casa. In realtà lo è sempre stata, da quando era bambino. Un’area totale di 30 ettari. 7 per sognare in grande. Ma Vincenzo è uno che i cassetti li lascia ad altri. Lui, i sogni li vuole realizzare. O comunque ci prova caparbiamente. Si ricorda di avere nella valigia anche una partita Iva da imprenditore agricolo. Ma in fondo non se n’è mai dimenticato. «Ho finalmente voglia di mettere in pratica ciò per cui ho studiato». Ed eccolo, l’agri camping. Un’area di campeggio, prevalentemente rivolta agli arrampicatori e agli appassionati di trekking, ma in realtà un’oasi all’interno della quale trovino posto diverse attività: dalla fattoria didattica al frutteto, al punto vendita dei prodotti tipici; dalle aree comuni pic-nic con barbecue all’area giochi per bambini, passando per l’oliveto, il mandorleto e una piccola vigna, già presenti, così come la palestra per l’arrampicata.
Il fiore all’occhiello del suo progetto: l’acquaponica, una forma sinergica di allevamento dei pesci e coltivazione delle piante. Tramite il ciclo dell’azoto trasforma ammonio e ammoniaca prodotta dai pesci – trote, carpe, gamberi d’acqua dolce, anguille, collocati in appositi acquari – in nitriti e nitrati, principale nutrimento delle piante. I microrganismi, oltre a rendere queste ultime più vigorose, accelerano la loro maturità difendendole come se fossero un vero e proprio un sistema immunitario. Una volta utilizzata l’acqua necessaria, quella in eccesso, ormai filtrata, fa ritorno agli acquari portando ulteriori sostanze nutritive per i pesci stessi. «È ormai da quattro anni che studio e osservo questo sistema – spiega –. Mi piacerebbe far capire ai bambini il discorso legato alla scarsità idrica e all’utilizzo sapiente dell’acqua. Non solo è possibile recuperare quella piovana, ma un sistema efficiente consente di risparmiare fino all’80% di acqua rispetto alla classica irrigazione. Quello che si perde è legato solo all’evaporazione e all’assorbimento da parte delle piante».
Un progetto ambizioso. «Infatti, bisogna iniziare per gradi – sorride –. Vista l’estensione del terreno, ho provveduto a dividerlo in vari lotti. Abbiamo iniziato a pulirlo e sistemarlo. L’elettricità è già presente e ho effettuato un ordine con varie tipologie di alberi per realizzare i viali di siepi».
Sostenibile. A chilometro zero. Sinergico. «Non si può prescindere dalla collaborazione sul territorio e con il territorio – sottolinea –: più aziende ci sono e sono coinvolte, più hai voglia di fare qualcosa e creare sinergia, diversamente non si va da nessuna parte».
Un visionario? No. È solo uno che «si è messo in testa che qui esiste ancora la possibilità di realizzare qualcosa a partire da quanto abbiamo a disposizione, sotto gli occhi, tra le mani, tutti i giorni o addirittura da sempre – sostiene –. Ci sono tanti potenziali, occorre vederli o serve qualcuno che indichi come fare. Ci sono luoghi, anche in Sardegna, dove le idee imprenditoriali realizzate non mancano. Nella mia realtà, questa mentalità è assente, leggo più un continuo voler essere assistiti. Devi iniziare per lo meno a informarti – ribadisce –: è vero che spesso non si trova niente, e da oggi forse ancora di più, però forse la fortuna sta proprio qui: non c’è nulla, ma se hai l’idea giusta, o la follia giusta, potrebbe esserci tutto e, per di più, non c’è concorrenza. Devi essere sveglio, ti devi documentare, ti devi formare. Non puoi restare fermo e immobile, lamentandoti di ciò che non c’è».
Fantasia e follia. Rabbia, quella giusta. Quanto basta. Gira il mondo – «non quanto vorrei», precisa – per trovare nuovi spunti da realizzare. Cuore e muscoli all’obiettivo, Vincenzo, lui che a tracciare nuove vie su pareti difficili è abituato, da climber appassionato quale è. Stress positivo, dinamico, ricco di adrenalina e stimoli: «Devi arrivare a un punto di non ritorno se vuoi davvero fare qualcosa, comprometterti con te stesso». E aggiunge: «Sono un impulsivo di ritorno: mi viene in mente una cosa, ci penso anche un anno, poi torno alla prima cosa che ho pensato. Certo, poi prendi anche le decisioni, a volte sono giuste, a volte ci si lecca le ferite». Ma sempre e solo una convinzione: «Non mi vedo altrove. Voglio stare qui».
A Birdesu, dove il verde della terra abbraccia l’azzurro del cielo e del mare.
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