In breve:

Custodire la memoria

Simonetta Delussu

di Fabiana Carta.

Come un’eterna ricerca di quel piccolo mondo antico, dove il primitivo e l’arcaico fanno da sfondo a racconti, leggende, visioni e riti. Come per voler rivivere la suggestione del barbarico, del religioso, del superstizioso, le opere di Simonetta Delussu sono un omaggio alla nostra terra e alle nostre radici. Un’infanzia passata ad ascoltare le storie affascinanti e misteriose dei nonni e il desiderio che non andassero perdute. Questi racconti sono il filo conduttore di tutte le sue opere, «i racconti dei bidemortos (persone che avevano il dono di vedere lo spirito dei defunti) – mi spiega – che sono soprattutto donne. Storie incredibili che la fantasia non eguagliava e così mi son detta: ma perché perderle?». Ricorda la carissima nonna Rosina che aveva delle doti particolari, fonte primaria di ispirazione dei suoi libri, la ritroviamo nel personaggio di Rosa in Spiriti nella notte. Simonetta nasce a Tertenia e il legame con questo luogo è stato di fondamentale importanza per la sua formazione umana e professionale: «Il legame con la Sardegna, che ha accolto il mio primo respiro, è di simbiosi. Vivendo in una terra gelosa, devo dire che non ho mai spezzato il cordone che mi legava a lei. Così come un bambino non può stare lontano dalla mamma, io sento la stessa struggente nostalgia ogni volta che mi devo allontanare. Ha influito molto il mio essere sarda con la formazione che mi ha modellato».
Una laurea in Lettere e Filosofia all’università La Sapienza di Roma e un dottorato in Usi e Costumi sardi conseguito in Germania, che ricorda con piacere: «I tedeschi mi hanno fatto vedere il lato più magico della mia terra che loro studiano e amano tantissimo». Per scrivere i suoi saggi, sempre con grande desiderio di conoscenza, unisce la ricerca storica in archivio alla ricostruzione delle storie tassello per tassello, ascoltando gli anziani, i mannos, e corredando il tutto con le fotografie. «Alla fine c’era la storia lì davanti, quella che nessun libro avrebbe raccontato. C’era un personaggio che viveva davanti ai miei occhi, srotolava la sua vita e raccontava una Sardegna che non c’era più e così vivevo cento, mille vite», mi spiega.
Simonetta Delussu scrive da quando era una ragazzina: fa le sue prime esperienze nel giornalino locale, pubblicando per lo più racconti e poesie. All’età di vent’anni pubblica il suo primo libro di poesie, dal titolo Gabbiani. Da quel momento non si è più fermata: «Per me scrivere è come mangiare o respirare». Le domando, per soddisfare una grande curiosità, che tipo di scrittrice è: «Nella scrittura sono maniacale, l’editore deve strapparmi il libro dalle mani perché non finisco mai di correggerlo e rivederlo, parola per parola. Prima butto giù lo scheletro poi vado a rimpolpare, ed è un lavoro abbastanza lungo. Scrivo a braccio, mi faccio portare dalle sensazioni che il personaggio mi detta, come se avesse vita propria. Alla fine rileggo a voce alta tutto, meglio se ho davanti il libro in cartaceo. Ultimamente ho preso l’abitudine di inviarlo alla mia cara amica Marilena Cardia, prima ancora che all’editore: è una critica spietata e meravigliosa. I miei libri le devono molto. In genere amo scrivere vicino al camino o seduta sotto un albero, un posto tranquillo senza rumori circondata da libri o da alberi. Esisto solo io e il foglio bianco».
Parliamo di progetti futuri e mi racconta che sta per uscire con Parallelo 45 il suo nuovo libro, dal titolo L’eternità dura un’ora – la storia vera di Maria Pitzettu rapita dai pirati, portata in Algeria dove diventa la tata del figlio del Dey e finisce nell’harem – e sta lavorando in contemporanea a un nuovo romanzo che racconta di sette donne arse vive nell’autodafé del 1789 a Sassari.
Le donne, personaggi complessi e interessanti, coraggiose, forti e misteriose, sono le protagoniste indiscusse delle sue opere. Non solo scrittrice, Simonetta è anche una professoressa di lettere alle scuole superiori, ha quindi a che fare con una generazione che tende a leggere e scrivere poco. E meno si legge più il vocabolario si impoverisce. «È vero – conferma – la lingua è destrutturata, depauperata e così anche il loro mondo, la fantasia, e l’abitudine di mischiare termini inglesi quando abbiamo le corrispettive parole in italiano, fa sì che si perda anche la poca identità che eravamo riusciti a mantenere. Così quando leggono scelgono testi poveri, elementari, perché hanno perso di vista le parole più complesse. Bisogna educarli alla lettura, alla comprensione del testo. Ecco perché io faccio leggere in classe, a voce alta, Amore e psiche con fronte in latino, oppure Seneca, e pace e bene se devo spiegare parola per parola! Butti i semi, qualcosa attecchisce». Simonetta, battagliera e tenace come gli alberi che sopravvivono piegandosi al vento o crescono avviluppando le radici nella roccia, si fa custode del passato e portatrice di una memoria storica che sfida il tempo.

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