“Come ho fatto io, fate anche voi …”
di Piergiorgio Pisu
“Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv. 13,12-15)
Rispetto a tutti gli altri passi evangelici questo è uno dei pochi che la liturgia ci presenta in tutto l’anno solo una volta e precisamente nella solenne messa cosiddetta in Coena Domini, il giovedì santo. E ciò non è certamente un caso.
Nel vivere il giovedì santo, e in particolare quella Messa da me presieduta, tutti gli anni provo una emozione grandissima perché si arriva a quella celebrazione dopo il bellissimo cammino della Quaresima. Questo tempo forte infatti vuole prenderci per mano già dal primo giorno con il rito altrettanto toccante del mercoledì delle ceneri proponendoci un cammino fatto di propositi di preghiera, digiuno e carità.
Mi chiedo: perché tutto questo? A cosa serve?
Perché pregare, digiunare, compiere opere di carità?
La risposta possiamo proprio trovarla in questo brano giovanneo. Grande, infatti, è la portata del gesto compiuto da Cristo che “non è venuto per essere servito ma per servire” e ciò ce lo ha dimostrato non con le parole ma con il gesto del lavare i piedi ai suoi amici; non solo a Giovanni che non lo abbandonerà neppure sotto la croce, ma anche a Pietro che lo rinnegherà e a Giuda che lo tradirà.
Con questo gesto Gesù sta anticipando la sua donazione per tutta l’umanità.
Al gesto Gesù accompagna la spiegazione.
Dice San Tommaso d’Aquino: “Dopo che il Signore ebbe spiegato che il suo gesto di umiltà era necessario, prese ad esortarli all’imitazione di esso”; per poi soggiungere: “Ora, il buon ordine dell’esortazione è questo: che chi esorta prima eserciti l’opera, e poi insegni con la parola”.
Tra il gesto e la spiegazione c’è da parte di Gesù il riprendere le vesti che aveva deposto prima di lavare i piedi ai dodici.
Il togliersi le vesti vuol dire dimenticare se stessi, dimenticarsi del ruolo e delle eventuali cariche che abbiamo all’interno della comunità cristiana e nella società civile, qualunque esse siano, perché l’altro possa vederci non dal basso verso l’alto ma almeno alla pari.
Solo se siamo capaci di spogliarci del titolo che abbiamo davanti agli altri (Gesù viene chiamato maestro e Signore …) saremo capaci di venire incontro all’altro (… eppure Gesù si abbassa a lavare i piedi agli apostoli).
Per arrivare a vivere la nostra fede a questi livelli ecco il digiuno, l’elemosina e la preghiera.
La realtà del digiuno è solo il segno esterno di una realtà interiore che consiste nel nutrirsi della parola di Dio per desiderare che non la nostra volontà ( il nostro io) ma quella del Padre si realizzi.
L’elemosina, frutto del digiuno e delle privazioni ad esso connesse, che cos’è se non dare del proprio per la persona bisognosa impegnandosi così per una giustizia di cui hanno diritto anche gli altri e non solo io?
Infine la preghiera: deve avere un orizzonte a largo raggio per vedere le necessità di tutti; e perché eviti il rischio di mettere al centro sempre se stessi, deve acquistare maggiore importanza quella fatta in comune.
Piergiorgio Pisu
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