Come a un padre
di Claudia Carta.
Carissimo vescovo,
scrivo a lei come a un padre. Perché padre, papà, babbo, reca in sé quello sguardo amorevole e sincero di chi ha a cuore gli occhi dei figli che ha davanti. Stiamo preparando il vestito buono, ripulendo la nostra casa, sistemando ogni più piccolo dettaglio per accogliere la sua venuta tra di noi, perché quando lo sposo arriva, tutto deve essere pronto. Anche il cuore.
Venga nelle nostre strade, sempre più deserte, dove abbiamo imparato ad andare di fretta e correre via, senza nemmeno più il tempo di un saluto e di un “come stai?”.
Venga nelle nostre case, dove abbiamo imparato a chiuderci dentro, per paura, per solitudine, per egoismo, per comodità, annacquando il senso di comunità e condivisione. Dove si vive distanti, separati, divorziati, disoccupati, vecchi, malati. Dove non si possono vedere più i figli. Dove i figli chi li riesce più a gestire.
Venga nelle nostre scuole, dove i ragazzi aspettano soltanto che qualcuno capisca la meraviglia di cui sono capaci e sappia trarla fuori, accompagnandoli, specie in tempo di scelte.
Venga nei nostri comuni, dove gli amministratori hanno sulle loro spalle disagio e criticità dei territori, dove mancano i soldi e riuscire a gestire l’ordinario è ormai impresa straordinaria, dove le scritte sui muri, i volantini anonimi, le intimidazioni sembrano essere l’unico linguaggio per comunicare dissenso e vomitare odio.
Venga nelle nostre chiese, sempre più vuote, dove spesso quel formalismo, quell’intellettualismo e quell’immobilismo da cui mette in guardia Bergoglio sono non solo rischi, ma già realtà. Dove il «parlarci addosso, staccandoci dalla vita concreta delle comunità» e il «si è sempre fatto così, adottando soluzioni vecchie per problemi nuovi», accrescono l’idea di una chiesa lontana, chiusa, che non unisce e non accarezza.
Come Zaccheo, siamo piccoli di statura, bassi nelle nostre basse convinzioni, nelle nostre lamentele sterili, nell’apatia che spesso ci avvolge e pare voglia stritolarci. O semplicemente siamo piccoli davanti a un momento di tristezza, di disorientamento, di vuoto e non senso, che ci toglie certezza e forza e non disegna un domani sereno. Come la folla intorno a noi che non ci fa vedere.
Venga tra di noi, dunque, caro vescovo! Noi correremo in avanti per vederla, troveremo quel sicomoro che ci fa salire in alto, ancora una volta. Lei, però, alzi lo sguardo su di noi, ci trovi e ci chiami: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». E noi, scenderemo in fretta e la accoglieremo pieni di gioia.
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