In breve:

Iniziative Diocesane

Scuola Teo

Scuola di Teologia. La diplomazia nella Chiesa e i rapporti con gli USA

di Pietro Sabatini.

Domenica 16 febbraio si è svolto a Lanusei il secondo incontro della Scuola di teologia dal titolo: “La Chiesa nella storia. La diplomazia vaticana e i rapporti con gli Stati Uniti”. Relatore dell’incontro è stato don Roberto Regoli, docente di Storia contemporanea a Roma

Un tema coraggioso che ha certo assunto un carattere di attualità, dopo l’elezione del Presidente americano Donald Trump e il cambiamento della politica statunitense, di cui siamo spettatori. Forse questo ha convinto tante persone e l’Aula Magna del Seminario diocesano a Lanusei si è riempita.

Nella prima parte dell’incontro, don Roberto Regoli ha parlato dell’importanza e dell’originalità della diplomazia ecclesiastica, che da molti, anche all’interno della Chiesa, viene messa in discussione. Il corpo diplomatico Vaticano è uno dei più antichi del mondo ed è un unicum per quanto riguarda le confessione religiose. Nasce e si sviluppa nel tempo, come conseguenza dell’evangelizzazione che ha diffuso nel mondo la Chiesa Cattolica. Ciò ha reso necessaria un’azione di difesa dei cattolici sparsi in ogni luogo della terra. Le relazioni diplomatiche hanno garantito in molte situazioni, anche particolarmente difficili, la libertà di culto ai battezzati e ultimamente, dagli anni Trenta dell’Ottocento, la libertà di culto di ogni credente, quale che sia la sua religione. La presenza di una Nunziatura in una nazione garantisce un dialogo paritario con i governi, che gruppi di cittadini non potrebbero ottenere né pretendere.

Compreso il valore della diplomazia ecclesiastica, il docente della Gregoriana ha raccontato le peculiarità della cultura religiosa dell’America, che nasce profondamente cristiana. I Padri Pellegrini – considerati i primi coloni inglesi a occupare la costa atlantica dell’America settentrionale – erano stati scacciati dall’Inghilterra per le loro convinzioni religiose e speravano di trovare una nuova terra dove poter vivere liberamente la loro fede in Cristo.

Questa radice cristiana è molto forte ancora oggi: anche il presidente Trump e i suoi ministri hanno giurano sulla Bibbia, la fedeltà alla costituzione. Componente religiosa che non impedisce la laicità dello Stato. Ma a differenza degli Stati europei – che hanno introdotto la laicità per escludere la Chiesa e la religione dal potere politico – negli USA la laicità vuole allontanare il potere politico dalla sfera religiosa, che ha forte influenza nella vita delle persone. Questo modo di concepire i rapporti tra stato e religione, di matrice protestante, creò molta difficoltà alla Chiesa cattolica, abituata a dialogare paritariamente con i regnanti europei.

Prima del 1945, ci furono alcuni timidi tentativi di relazione tra governo USA e Vaticano, che risultarono deboli e poco significativi. Solo dopo la seconda guerra mondiale, le due amministrazioni cominceranno un dialogo convinto e produttivo. A favorirlo, le trasformazioni della Chiesa cattolica, che sposò il modello delle democrazie liberali, accorciando le distanze che l’avevano divisa del governo americano. C’è poi l’importante impegno condiviso della lotta al comunismo. Sarà il presidente Ronald Reagan nel 1984 a sollecitare la Santa Sede per l’apertura della Nunziatura a Washington. È nota la stima e l’amicizia tra il presidente Reagan e il Papa San Giovanni Paolo II.

Il pensiero va al presente, che non è oggetto di studi storici e dipende dalle scelte e dai comportamenti di tutti noi. È sotto gli occhi di tutti un cambiamento negli equilibri internazionali. Dopo la caduta del muro di Berlino, la politica mondiale aveva assunto un carattere unipolare, in cui gli Stati Uniti avevano il massimo prestigio. Oggi il mondo globalizzato ha più protagonisti e la politica cerca di adeguarsi a questa trasformazione. Viviamo un tempo di profondi cambiamenti in cui è difficile prevedere che cosa accadrà.

Premio San Giorgio

Trent’anni del Premio letterario San Giorgio Vescovo

di Anna Maria Piga.

Lanusei 11 novembre 2024: trentesima edizione Premio letterario San Giorgio Vescovo, ideato dal vescovo Antioco Piseddu per sollecitare i giovani alla ricerca della storia dell’Ogliastra e riscriverla con prospettive future

Fortemente incoraggiato dal vescovo Antonello che ne ha suggerito l’apertura a tutta l’Isola: “Sardegna, storie e territorio da raccontare” è infatti il tema lanciato dal concorso organizzato dalla Diocesi di Lanusei tramite l’Associazione Culturale San Giorgio Vescovo.

La premiazione nell’aula magna del seminario vescovile, presenti autorità e pubblico affezionato, è avvenuta con la lettura del verbale redato dalla Giuria presieduta da Anna Maria Piga e composta dai giurati Alessandra Carta, Giorgio Mameli e Giacomo Mameli, che ha esaminato attentamente i lavori pervenuti, esprimendo un giudizio unanime.

Il premio “Opere edite” viene assegnato al libro di Graziella MonniIl medico di Caller”, edito da Solferino, collana Affreschi. Apprezzato dai migliori critici dei giornali nazionali. Attraverso una scrittura piana e lineare, dosando realtà storica e fantasia, l’autrice è riuscita a tradurre nelle sue pagine lo spirito di un’epoca inserendosi a pieno titolo nella scia della migliore tradizione del romanzo storico moderno.

Letture del libro della Monni sono state fatte dall’attore regista Silvano Vargiu, anticipando ai presenti parti significative del racconto.

Sezione “Tesi di Laurea”. Il Premio è stato assegnato alla tesi in “Tecniche di ripresa” della studentessa Letizia Dessì dell’Accademia di Belle Arti “Mario Sironi” di Sassari dal titolo: “Uomo, natura e industria tra distacco e nostalgia. Alcuni esempi di cinema sperimentale e di poesia. Con un focus sulle opere di Pietro Basoccu e Daniele Atzeni”.

La tesi di Letizia Dessì è stata apprezzata per chiarezza espositiva e incisività scientifica. Supportata da una bibliografia ampia, l’opera dimostra una solida padronanza degli argomenti trattati. Affrontando il rapporto tra progresso e trasformazioni del pianeta, la tesi sviluppa un’analisi accurata, basata su una filmografia selezionata che evidenzia, attraverso contrasti visivi, l’impatto del progresso sul paesaggio naturale. In questo contesto, la Sardegna, devastata dai “Piani di Rinascita” rimasti solo elettorali, emerge attraverso l’analisi fotografica di Pietro Basoccu, che testimonia il fallimento dell’industrializzazione in Ogliastra, ma senza disconoscere il ruolo dinamico dell’industria per il progresso civile ed economico. Giudizi, quelli della Dessì, avvalorati anche dalle opere cinematografiche di Daniele Atzeni, che offrono una riflessione critica sul mito del progresso.

Sezione Scuole e Associazioni Culturali. Il premio viene assegnato all’unanimità al romanzo breve Il viaggio di Bonaria, esito del laboratorio di scrittura creativa dell’Università della Terza età Ogliastra sezione di Tortolì. Il viaggio di Bonaria dei “Ragazzi della Terza” è un racconto corale, scritto con la penna, la ragione e il cuore. Gli autori, testimoni degli eventi narrati, desiderano trasformare l’attuale situazione, sostenendola con una nostalgica riflessione e riportandola in vita attraverso il racconto storico. La Cartiera di Arbatax rappresenta il grande sogno che, una volta realizzato, poteva portare benessere e serenità, ma che è poi – per manifeste incapacità manageriali senza etica – è naufragato tristemente, lasciando rovine.

Gli intermezzi musicali eseguiti da Gaia Piras, giovanissima e bravissima allieva della Scuola civica di musica, hanno aggiunto colore alla bella serata. Interventi dell’antropologo Daniele Ligas, docente della Accademia Belle Arti Mario Sironi di Sassari, che ha ringraziato per aver dato giusta visibilità all’Accademia, e del Sindaco di Lanusei Davide Burchi che si è congratulato per «l’ottima iniziativa targata Lanusei».

Le conclusioni e i saluti del vescovo Antonello Mura hanno sottolineato la condivisa importanza dell’evento.

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Festa della famiglia e serata sinodale

di Giuseppina Nieddu e Giovanni Pischedda.

Domenica 16 giugno, nella cornice dell’Auditorium Fraternità di Tortolì, si è svolta la festa diocesana della famiglia, seguita dalla serata sinodale diocesana

L’accoglienza delle circa quaranta famiglie è stata fatta dall’equipe famiglie e dai volontari Caritas. Dopo aver salutato e ringraziato i partecipanti, il vescovo Antonello Mura ha iniziato l’incontro con un momento di preghiera, incentrato sul brano evangelico di Matteo (Mt 8,28-34) che racconta di Gesù nel paese dei Gadareni (luogo non tanto geografico, quanto interiore), invitando alla riflessione su alcune domande che scaturiscono dal testo: chi è quest’uomo? Chi siamo noi? Quale posto abbiamo nella Chiesa? Gesù è venuto a scomodarci: noi come i mandriani fuggiamo per non perdere le nostre comodità e «lo preghiamo di allontanarsi dal nostro territorio»?

I saluti e i ringraziamenti sono quelli di don Battista Mura, coordinatore dell’Ufficio di pastorale familiare che ha ricevuto gli auguri dei presenti per i suoi 22 anni di sacerdozio. Il responsabile dell’equipe, Giovanni Pischedda, ha poi presentato la coppia ospite che ha dato la sua testimonianza sulla ministerialità degli sposi: Luisa Mura e Stefano Fadda, fondatori dell’associazione di promozione sociale Profumo di Nardo, a Quartu S. Elena.

Luisa e Stefano si sono formati nella parrocchia della Sacra Famiglia a Milano come operatori di pastorale familiare organizzati dalla CEI e dall’Istituto Giovanni Paolo II di Roma. Importanti per la loro crescita spirituale sono stati vari sacerdoti: Don Sergio Nicolli che ha proposto loro di accompagnarlo in Trentino nel progetto Una famiglia in canonica; Don Renzo Bonetti in un percorso di catechesi familiare e di teologia nuziale; Don Carlo Rocchetta col quale hanno intrapreso e scoperto la spiritualità della tenerezza nel Centro Famiglia Casa della Tenerezza di Perugia.

Con la nascita del loro figlio Domenico, sono poi rientrati a Quartu, dove hanno fondato Profumo di Nardo. La coppia ha aiutato la riflessione, raccontando la propria esperienza di vita “in canonica”, sottolineando come ogni famiglia cristiana debba essere un soggetto consapevole dei doni ricevuti e capace di assolvere ai propri compiti ecclesiali e sociali in quanto battezzati. Ogni coppia cristiana – come Aquila e Priscilla che accolgono a casa Paolo e condividono con lui la passione per l’annuncio del Vangelo nella prima comunità cristiana – dovrebbe sentirsi ed essere riconosciuta corresponsabile, assieme ai pastori, della missione salvifica della Chiesa.

Dopo un tempo di dialogo vivace tra i partecipanti, il vescovo ha presieduto la celebrazione eucaristica; nell’omelia ha evidenziato come ogni piccolo seme del regno di Dio gettato, racchiuda in sé la speranza che possa germogliare e portare frutto in abbondanza; di questo tempo di attesa ne è emblema la pazienza del contadino. Il momento di convivialità, grazie al servizio generoso dei volontari Caritas, ha concluso una bella mattina di incontro, confronto e crescita.

Il prossimo appuntamento sarà l’esperienza del campo diocesano famiglie ad Arbatax, presso la Colonia Madonna d’Ogliastra, dal 3 al 4 agosto. Per informazioni e iscrizioni, contattare i seguenti recapiti: tel. 3472383787 (Pinuccia) – 3471929665 (Iosè)

 

LA SERATA SINODALE

Preghiera, silenzio, canto e dibattito hanno animato la serata sinodale, naturale proseguimento della Festa della famiglia celebrata al mattino. Dall’ascolto del brano di Luca e da quel «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso», è partito il commento del vescovo per l’interiorizzazione della Parola, a cui si sono aggiunte le parole di Papa Francesco sulla missione e sull’essere Chiesa, quelle dei vescovi sul Sinodo. E proprio sul cammino sinodale nelle parrocchie, sui temi ecclesiali decisivi da affrontare nel concreto, sull’appartenenza di ciascuno alla Chiesa e ai suoi compiti e sulla Chiesa profetica si è incentrato il dibattito tra i partecipanti e il vescovo Antonello, il quale ha sottolineato che l’unità va incoraggiata sempre, che è importante creare momenti di incontro e confronto chiarificatori, che spesso si assiste a realtà parrocchiali dove manca lo spirito di squadra e che occorre concentrarsi per creare una parrocchia profetica capace di guardare al futuro, e di creare momenti e temi adatti a ogni fascia d’età. (c.c.)

GMMXXXII

L’universalità e il diritto di accesso alle cure

di Virgilio Mura.

“Signore non ho nessuno che mi immerga nella piscina” (Gv 5,7)

La cura per la vita umana a tutti i livelli è uno dei tratti caratteristici del ministero di Gesù. Questa cura è estesa a tutti, a chiunque Egli incontri e, direttamente o indirettamente, chieda il suo intervento, senza preclusioni dettate dalle barriere sociali, culturali o religiose. È proprio tale cura – attuata nell’azione terapeutica di Gesù – il segno visibile che il tempo messianico della salvezza è presente. Alla domanda «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?», Gesù risponde rimandando ai segni di questa cura di Dio per la vita: «Andate e riferite…ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti resuscitano, ai poveri è annunciata la buona novella» (cfr. Lc 7,20-22). Dentro questo orizzonte ampio, può essere riletto anche Gv 5,1-18, che – in uno stile tipico dell’evangelista – congiunge un racconto di guarigione e la disputa che da esso scaturisce, con la finalità di rivelare l’identità misteriosa di Gesù e suscitare la fede in Lui.

Il racconto di guarigione (vv. 1-9).

La collocazione temporale è generica: si tratta di una, non meglio precisata, “festa dei giudei” che giustifica la presenza di Gesù a Gerusalemme.
In seguito, diventerà rilevante il fatto che essa “è di sabato”. Più dettagliata è l’ambientazione topografica. Il narratore allude a una zona di Gerusalemme in prossimità della “porta delle pecore”, che avrebbe dato il nome alla piscina (chiamata in ebraico Betzatà) alimentata periodicamente da una corrente d’acqua proveniente o da una sorgente a intermittenza o da acqua ferma, che in certi momenti veniva spinta dentro la vasca, al fine di aumentarne il valore curativo.

Sotto i portici della piscina – come in un grande ambulatorio a cielo aperto – staziona un grande numero di malati di ogni genere – “ciechi, zoppi e paralitici” – che sperano di poter essere toccati dalla potenza risanatrice dell’acqua agitata: tutti ritengono di essere degni di cura. A colpire lo sguardo attento del Maestro è la situazione disperata di un uomo che da trentotto anni è paralizzato: Gesù si sofferma sulla sua condizione di immobilità, ne intuisce il perdurare nel tempo e gli pone la domanda tesa a fargli esprimere la sua interiorità «Vuoi guarire?». Quell’uomo malato è “unico” davanti a Lui e non “uno tra i tanti”.

Restituito alla sua dignità, l’uomo è ora in grado di esternare il suo desiderio. L’appellativo “Signore…” è un’invocazione di chi sa bene che per le sue sole forze la guarigione diventa impossibile. È di fronte al desiderio di vita di quest’uomo e alla constatazione della non-curanza e dell’impotenza umana che Gesù decide di intervenire con la sua parola potente e autoritativa: «Alzati, prendi la tua barella e cammina».

Di fatto Gesù è preoccupato di aprire alla riflessione religiosa quest’uomo, partendo da un’esperienza di felicità semplicemente umana; la guarigione è segno di una salvezza che si dà pienamente nella riconciliazione e in una conseguente vita nuova, libera dal peccato.

 Giornata del Malato in Diocesi

Venerdì 9 febbraio, alle ore 16.00, nel Santuario della Madonna d’Ogliastra in Lanusei, in collaborazione con l’Unitalsi, avrà luogo la Santa Messa presieduta dal vescovo Antonello.

Preghiera per la XXXII Giornata Mondiale del Malato

Padre, ricco di misericordia,
guarda le nostre ferite,
risana i cuori afflitti
e guida i nostri passi.
Fa’ che nella sofferenza
non ci sentiamo soli,
che qualcuno prenda le nostre mani
e ci doni quella pace che,
attraverso Cristo, viene da Te.
Facci respirare già su questa terra,
per il dono dello Spirito Santo,
quell’aria di cielo
che un giorno godremo con Te. Amen.

Saluto ai Frati

Il saluto ai Frati Cappuccini nella festa della Patrona diocesana

Uno stralcio dell’omelia del vescovo Antonello nella celebrazione dello scorso 7 ottobre al Santuario di Lanusei, dedicato alla Madonna del Rosario.

Siamo qui per onorare la festa liturgica della nostra Patrona, la Vergine del Rosario, ma siamo anche qui per una celebrazione di gratitudine al Signore e alla Vergine per la presenza dei Frati Minori Cappuccini per 43 anni in questo Santuario diocesano.

Gratitudine che si unisce al rammarico per la loro partenza, ma che non ci porta o ci fa rimanere in un rammarico sterile e persino irrispettoso ma piuttosto, come credenti, ci interroga sulle vie misteriose nelle quali il Signore ci fa passare anche contro la nostra volontà.

Senza fede tutto appare incomprensibile, affidato al caso, agli opportunismi, alle scelte umane, solo umane. Senza fede siamo, di fronte alla realtà, laudativi se tutto va bene, lamentosi se non ci va bene, a volte anche rabbiosi perché non comprendiamo quanto accade.

Con la fede siamo prima di tutto pieni di gratitudine verso la vita, apprezziamo quanto abbiamo avuto, talvolta senza meritarlo, e gioiamo non per quello che ci viene tolto ma per il tempo che l’abbiamo ricevuto in dono.

Sento, anche a nome vostro, di dire grazie a chi ha deciso 43 anni fa di venire in questo luogo, oggi a te Padre Filippo Betzu, e prima di te a coloro che come padri Provinciali hanno pensato e voluto la presenza dei Cappuccini in questa Diocesi. Penso, anche a nome vostro, di dire grazie ai numerosi frati che hanno servito e amato la Chiesa presente a Lanusei. In particolare ricordo i cinque parroci che si sono succeduti: padre Marco Locche, padre Andrea Manca, padre Federico Furcas, padre Maurizio Picchedda e, infine, tu, padre Enrico Mascia, testimone ultimo e per questo ancora più apprezzato della presenza della vita religiosa in questa terra. Terra che si trova ora a prendere atto che non solo non avremo più voi Cappuccini, ma che stiamo perdendo il dono prezioso della vita consacrata maschile.

Dobbiamo solo affliggerci? Dobbiamo solo lamentarci e protestare? Se abbiamo un po’ di fede, prima di tutto ringraziamo e chiediamo a Dio e alla Vergine fortezza e perseveranza, chiediamo luce, chiediamo di aumentare la nostra fede e contemporaneamente invochiamo altri segni di amore per questa Chiesa come quello che 43 anni fa è apparso in mezzo a noi.

Come nessuno di noi poteva decidere allora di farvi venire, nessuno di noi oggi può impedirvi di fare queste scelte, sempre motivate, crediamo – anche dopo aver ascoltato le nostre obiezioni – da uno sguardo di fede che, prima di tutto rispettiamo, anche quando non lo condividiamo.

Certo, anche questa vicenda dimostra quanto l’immagine della Chiesa faccia fatica a essere compresa, quanto sia lontana la Chiesa dai lontani e quanto i lontani siano anche dentro la Chiesa!

Quanto dobbiamo lavorare, allora! Senza dare niente per scontato, senza pensare che tutti sappiano cos’è la vita religiosa e quale sia la differenza tra consacrato religioso e presbiterio diocesano, senza dare per scontato quindi che sia chiaro cosa significa il rapporto tra una Diocesi e un ordine religioso nella Chiesa e, aggiungo, senza dare per scontato cosa sia la Chiesa!

Maria ci accompagni come Madre in questo percorso, lei ci dia le istruzioni giuste per non perderci in inutili viaggi di fantasia che non tengono conto del tempo che viviamo, delle vocazioni che diminuiscono, delle scelte necessarie per sopravvivere che riguardano tutti. Maria ci insegni a essere discepoli consapevoli con la luce della fede. Impariamo da Elisabetta, quando accoglie Maria con parole forti, capaci di alleviare ogni preoccupazione. Impariamo da Maria che dopo le parole di Elisabetta si scioglie intonando una lode e cantando. Nella Chiesa si cresce così, intonando lode, cantando la gioia di sentirsi comunità, incoraggiandosi a vicenda. […]

PasTur

Una Chiesa per tutti e con tutti. La lezione della Pastorale del turismo

di Claudia Carta.

«È il segno di un’estate che vorrei potesse non finire mai». Melodie note o pensieri ad alta voce. Scegliete voi. A non cambiare è il respiro profondo e la sua portata emotiva, lo spessore culturale e la pregnanza sociale, l’incontro e il confronto, l’ascolto, le domande e le risposte, il dubbio e la riflessione, la gag e lo spettacolo, la musica e l’arte. Il mese di agosto appena trascorso ripone in archivio l’edizione numero otto della Pastorale del turismo per la diocesi di Lanusei, la terza per quella sorella di Nuoro.

Un tutto armonico? Perché no, almeno nelle intenzioni, perché in un evento di tale portata – che ha annoverato al suo interno 19 giornate ospitate all’aperto, nell’Anfiteatro Caritas di Tortolì e nell’Area Fraterna de La Caletta (Siniscola), con ben 22 protagonisti noti al grande pubblico, fra radio, televisione e teatro, vita politica, ambiente universitario, mondo della comunicazione e dello spettacolo, che si sono distinti per il loro operato e la loro professionalità, per la loro arte e la loro fede, per la capacità di trasmettere messaggi e contenuti positivi, perché hanno avviato idee imprenditoriali nuove, rispettose dell’ambiente e della sostenibilità – vuole pensato, strutturato e progettato. Esattamente come recitava lo slogan di quest’anno: “Osservare. Pensare. Progettare.  Qual è la tua proposta?”.

E le diocesi – con in testa il vescovo Antonello Mura, irrefrenabile visionario e instancabile realista – non hanno mani smesso di offrirla questa proposta. La Chiesa che fa turismo? . La Chiesa che propone eventi e spettacoli? . La Chiesa che porta fuori la gente – fuori dalle proprie case, dalle proprie ristrettezze mentali, dalle proprie gabbie ideologiche, dalle proprie abitudini e dai suoi clichè – e la fa sedere in piazza, dove è naturale stare insieme, l’uno accanto a l’altro ad ascoltare, vedere, mangiare, pregare? Si. Perché? Ma perché no? La Chiesa non è Chiesa solo all’ora della Messa, del catechismo, dei ritiri e dei pellegrinaggi, delle adorazioni eucaristiche, dei seminari. La Chiesa è spirito che abbraccia la vita, la impregna del suo messaggio di speranza e di luce e ne attraversa in maniera capillare ogni aspetto del suo svolgersi, fuori dai templi e dall’ombra dei campanili. La Chiesa incontra anche chi in quei templi non ci entra mai e lo fa attraverso la multiforme esperienza della cultura che però legge con sguardo universale, cristiano. «La Chiesa non toglie nulla ad altri spettacoli estivi e ad altre iniziative – ha sottolineato il vescovo –. Aggiunge a esse la sua attenzione alle persone, la necessità di riflettere sulle sorti dell’umanità, il desiderio di unire lo sguardo all’umano con la visione di fede. Sempre con tanta simpatia e condivisione».

L’informazione e la comunicazione, la giustizia, l’economia, la tutela dell’ambiente, il lavoro, la guerra, la pace e l’accoglienza, e ancora la musica e il cinema sono tasselli di una quotidianità che ci interroga e ci chiama in causa perché ognuno faccia la sua parte, ognuno presenti la sua proposta per la crescita e il bene dei singoli e della comunità, di ogni comunità.

«Tre verbi non casuali, quelli dello slogan 2022 – ha aggiunto Mura – in un tempo che sperimenta, all’opposto, smarrimento e sfiducia nel futuro. Un tema che chiede di non rimanere in disparte, ma di prendere parte a questo tempo con idee e proposte, non con sterili lamentele».

L’autorevolezza e le riflessioni di Massimo Franco, del presidente della Cei Matteo Zuppi, dell’ex magistrato Gherardo Colombo, di Ernesto Olivero, di Brunello Cucinelli, di Nello Scavo e Rosanna Virgili, di Domenico Scanu, Filippo Rodriguez e Paola Locci, unite alle testimonianze o alle parole in musica dei Gen Verde, di Neri Marcorè, Luca Barbarossa, Dori Ghezzi, Dario Vergassola e Giovanni Scifoni, sono spunti, provocazioni, semi gettati che possono suscitare interrogativi e aprire terreni di confronto continuo.

Ecco perché ogni anno quella della Pastorale del turismo – «espressione non facile e per certi versi non immediata», ha fatto notare ancora mons. Mura – diventa un’esperienza avvolgente e totalizzante, offerta a tutti gratuitamente, che lascia sempre un pizzico di dispiacere nel momento in cui il sipario viene giù, ma al tempo stesso genera in ciascuno il desiderio profondo di rincontrarsi e l’attesa per un nuovo progetto tutto da scrivere nel quale, come ogni formula vincente, alcune costanti restano, diventando solide certezze: il momento dell’accoglienza che quest’anno ha visto coinvolte le comunità di Arbatax, Seui, Osini, Ilbono, Lotzorai, Baunei, per l’Ogliastra, e Siniscola, Olzai, Orosei, Fonni, per il nuorese: vetrine di un territorio che vuole essere, per chi lo abita e per chi decide di trascorrere in esso alcuni giorni di riposo, fonte inesauribile di conoscenza, di scoperta e di bellezza; i cortometraggi del progetto Camineras, a cura di Vincenzo Ligios e le professionalità degli artisti locali a impreziosire ogni serata.

Un investimento importante di chi crede nelle potenzialità immense di questa terra, sotto tutti i punti di vista. Una macchina organizzativa che da otto anni mette in campo volontari, tecnici, giovani, seminaristi, collaboratori diocesani, religiose, sacerdoti. Chi non riesce a coglierne la portata, l’innegabile valore umano, l’attualità e l’unicità della proposta, arrivando perfino a boicottarla – aggiungo forse solo perché avanzata da una Chiesa e dal suo pastore – annaspa fra limiti e pregiudizi. Ma solo “dove c’è una mente aperta, ci sarà sempre una terra di scoperta”.