In breve:

Fatti

Lago

Un lago di opportunità

di Augusta Cabras.

Gli scheletri di vecchie abitazioni, la vegetazione che si fa strada tra i muri di case a metà, le finestre chiuse, (negli stabili che le possiedono ancora), capre e pecore a sorvegliare lente, luoghi e tempi. Lo scenario pare quello delle città bombardate. Grigiore, abbandono, segni di un tempo passato e di una memoria mal custodita, di un gioiello impolverato, ignorato, quasi dimenticato. E questo nell’insostenibile stridore dello sguardo che incontra una natura lussureggiante fatta d’acqua, di montagne, di vegetazione unica. La vista può perdersi godendo di questa bellezza, ma viene interrotta, come uno schiaffo in piena faccia, dall’incuria, dallo scempio, dalle possibilità inespresse, dalle decisioni non prese, dal tempo che passa inesorabile e lascia un segno nelle cose che raggiungono l’oblio.

Eppure questa porzione del territorio di Villagrande Strisaili, Bau Muggeris, ha in sé qualcosa di straordinario che è difficile non vedere. Bau Muggeris era in origine il nome di una gola, dove, dice la tradizione, le muggeris, le donne del paese di Villagrande Strisaili – nel cui territorio ricade l’invaso – si recavano a lavare i panni. Oggi è il nome della diga costruita, e del bacino artificiale nato in seguito alla sua realizzazione, avvenuta tra il 1928 e il 1949.

“I tre salti”, comunemente chiamati, descrivono il corso serpeggiante del fiume Flumendosa, che dà energia a questa parte dellOgliastra. Lungo le sue anse si presentano le tre centrali idroelettriche costruite dall’Enel, insieme ai villaggi, in cui vivevano gli operai e le loro famiglie. Piccoli borghi dotati di negozi, scuola, campi da calcio e cinema. Un micro mondo, con i confort che offriva lo sviluppo del tempo, che in quegli anni era specchio del boom economico, destinato nel corso dei decenni a sgretolarsi, sulla scia della crisi e del cambiamento.

Oggi passando per quelle strade, nel silenzio interrotto solo dal fruscio delle fronde mosse dal vento, sembra di sentire il vociare dei bambini, lo scorrere della vita delle donne, il lavoro e il tempo dello svago degli uomini. Sembrano passati secoli e forse tutta questa desolazione e distruzione si poteva evitare. Ci sono, evidentemente, delle responsabilità precise. Ci sono, evidentemente, passaggi che dovevano essere fatti, delle decisioni che dovevano essere prese, ma che si è preferito rimandare. È sempre e solo una questione economica? Rimane il fatto che, di chiunque siano le responsabilità, serve ora una nuova presa di coscienza che chiama in causa tutti: Enel, amministratori locali, regionali, nazionali e anche la società civile.

 

Ne abbiamo parlato con Alessio Seoni, sindaco di Villagrande…

[L’intervista integrale è sul numero di Febbraio de L’Ogliastra]

Santa Barbara

La Santa Barbara dei villagrandesi

di Federica Cabras.

Profondo e sincero: questo è il sentimento di devozione e amore che lega ogni villagrandese – e non solo visto che molti sono i pellegrini che giungono per l’occasione dai paesi vicini – alla festa in onore di Santa Barbara, che ha luogo nella seconda domenica di luglio.

Nonostante il patrono del borgo ogliastrino ai piedi del Gennargentu, ancorato alle montagne come una pietra preziosa, sia San Gabriele (che si festeggia il primo di agosto), la festa che celebra la Martire è, se vogliamo, più sentita come solenne. Come emozionante. Come viva, densa di sentimento. Momento di unione comunitaria e di ospitalità, certo, ma anche occasione per espiare, per pregare e per riflettere (perlomeno per i più devoti), ma anche – che sia benedetto anche il sano divertimento – per trascorrere delle serate all’insegna della musica, della compagnia e delle risate.

Sì, perché se i quarantacinquenni – i cosiddetti obrieri – si occupano della parte religiosa, i venticinquenni hanno a cuore la buona riuscita di quella legata all’intrattenimento. Un’unione di forze da sempre ben riuscita, che dà origine a eventi a tutto tondo, che lasciano il segno. Toccanti e coinvolgenti. Raro è che non si senta, a evento finito, il sapore agrodolce dell’arrivederci.

Il momento più suggestivo è senza ombra di dubbio “Su Esperu” – dopo la Santa Messa, la prima di tante –, ovvero la processione che, maestosa e sentita, accompagna la Santa dal paese fino alla chiesetta campestre del bosco di Santa Barbara.

Avviene il primo giorno, il sabato. In centinaia affrontano i chilometri che separano Villagrande dalla cappella che si prepara ad accogliere la Martire, adagiata su un carro trainato da buoi e adornato di fiori odorosi. Non solo fedeli villagrandesi, ma anche ogliastrini e sardi d’ogni provincia: la fila infinita di persone per ben due ore cammina, ordinata, pregando e cantando is coccios, i versi in prosa che raccontano la vita della Santa. Davanti a tutti, i cavalieri in abito tradizionale villagrandese e i gruppi folk del paese e ospiti. Durante tutto il tragitto, i cacciatori sparano per annunciare il lieto evento.

All’ingresso del parco di Santa Barbara, si unisce al capannello di fedeli anche chi ha atteso, paziente, l’arrivo, e tutti insieme accompagnano la Santa lungo l’ultimo tratto, quello che porta alla chiesetta campestre, nel cuore di un posto magico e fiabesco. A chiudere il cerchio di questo commovente momento, il tradizionale invito degli obrieri.

Quale modo migliore di dare inizio a quella che sarà una tre giorni di stupore, religione e divertimento se non quello di gustare i dolci tipici della tradizione villagrandese, con un bel bicchiere di vino? L’atmosfera conviviale è resa ancor più fascinosa dallo scenario da cartone animato: le querce, che si stagliano verso il cielo azzurro, sembrano fare da cornice alla brigata e nell’aria la brezza calda che si respira ha il gusto di un pomeriggio di mezza estate.

Anche la domenica sono previste processioni d’andata e rientro da e per Villagrande, con Santa Messa a seguire.

Altro momento particolare è il cosiddetto giro della corona. La mattina della domenica e del lunedì, i figli degli obrieri – divisi in più gruppi –, accompagnati dal suono delle launeddas e dell’armonica, portano per le vie del paese e al parco di Santa Barbara la corona della Santa, lasciando a chi lo desidera un’immaginetta con la preghiera. Usanza vuole che si possa prendere, come segno di benedizione, anche un petalo di fiore che adorna la corona. Sentire quel suono caratteristico è impagabile, le persone attendono questo momento con ansia e trepidazione.

L’ottava” – l’ottava serata, ndr –, il sabato successivo, chiude il tutto con un particolare dettaglio molto bello e sentito: un’estrazione particolare decreta il Capo Cavaliere – colui che reggerà lo stendardo – e i due che lo affiancheranno.

Per quanto riguarda la parte dell’intrattenimento, per mesi e mesi i venticinquenni si occupano, con impegno e determinazione, di creare un perfetto incastro di serate: ce n’è, infatti, per tutti i gusti.

Non mancano i Dj e i gruppi musicali per i più giovani, ma nemmeno le commedie o le gare di poesia in lingua sarda per chi ama le tradizioni. Durante i tre giorni, poi, i ragazzi preparano cene e pranzi per chiunque voglia unirsi al comitato, tutti hanno un posto e un piatto caldo. Prerogativa dei 25enni è anche la vendita dei biglietti della lotteria, che verrà fatta il sabato dell’ottava.

Insomma, l’intera comunità partecipa attivamente e con energia alla buona riuscita di quest’occasione che si festeggia da centinaia di anni. Addirittura, nemmeno il Covid-19, con la sua violenta esplosione, ha fermato completamente gli ingranaggi. Sì, si son rispettate le regole sanitarie e sì, nessuno ha messo a repentaglio la salute dei compaesani, ma – tassativamente in sicurezza – la festa di Santa Barbara, sebbene senza intrattenimenti, si è svolta. Mancavano i cavalli e la lunga processione di anime fedeli, ahimè, e anche i gruppi folk, ma, come si suol dire, poiché “Santa Barbara è Santa Barbara”, a regime ridotto l’aria di festa c’era: sono state rispettate le Sante Messe e la Santa ha fatto il giro delle vie del paese, salutata con grande entusiasmo dalle persone sui balconi o nelle porte di casa, in auto.

Una ripartenza spettacolare dopo il Covid-19

«Nessuno fermi Santa Barbara», si potrebbe dire, ed è quello che è accaduto l’estate dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19 che ha messo in ginocchio l’intero mondo.

Sì, perché nonostante non si sia potuta svolgere la parte dell’intrattenimento, almeno la parte religiosa è stata – seppur parzialmente – rispettata, con le Messe e il giro in auto della Santa per le vie del paese. Vero è che le persone avevano bisogno di convivialità, di vedersi, di chiacchierare. Gli anni dell’emergenza sanitaria hanno lasciato nel cuore delle persone un taglio profondo, una ferita dolorosa che si può rimarginare solo con l’aiuto gli uni degli altri. Vien da sé che la scorsa versione della festa, la prima quasi completamente scevra dalle regole restrittive del Coronavirus, ha fatto il boom: in migliaia si sono riversati nell’incredibile location del bosco di Santa Barbara, richiamati dai gruppi musicali che ben tre leve – ‘95, ‘96 e ‘97 – hanno condotto nel paese ogliastrino. Addirittura, Ivana Spagna – presente con le sue canzoni più famose – ha postato sul suo profilo Instagram un suo scatto con la didascalia «Ai miei piccoli fan di Villagrande Strisaili».

Una ripartenza con i fiocchi, quindi, che odora di normalità, certo, ma anche di eccezionale bellezza.

Il Capo Cavaliere di Santa Barbara, l’estrazione

È durante l’ottava – ottava serata, ultima della festa, il sabato successivo – che viene estratto il Capo Cavaliere e i due Cavalieri che lo affiancheranno. È un momento bello, sentito come importante, solenne.

I nomi di tutti i cavalieri vengono messi in un contenitore insieme a un foglietto con su scritto “Santa Barbara”. Il nome estratto – rigorosamente da un bambino – dopo “Santa Barbara” è quello di colui che farà da Capo Cavaliere, un grande onore, e lui sceglierà i due che saranno le sue spalle destre. Mentre il secondo nome, estratto dopo il suo, sarà quello del Cavaliere che gli subentrerà in caso di imprevisti.

Gurppo

No alla discriminazione, sì all’inclusione

di Marco Loi.

Si chiama “Healthy Environment Healthy Youth“, un progetto scritto e portato avanti dai ragazzi dell’Associazione Vele Corsare di Arbatax all’interno del programma Erasmus+, co-finanziato dalla Commissione Europea e approvato dall’Agenzia Nazionale Giovani

Il lavoro attualmente è in fase di diffusione per promuovere le tematiche sviluppate durante il corso di formazione svolto presso la colonia Madonna d’Ogliastra ad Arbatax.

Dal 19 al 27 ottobre scorso, 34 ragazzi/e provenienti dall’Italia (rappresentati dai ragazzi di Vele Corsare: Marco Loi, Matteo Musella, Daniele Loi, Giorgio Muntoni, Pavlo Lupiychuk e Ilhame Boutifi), Romania, Ungheria, Bulgaria, Lituania, Estonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Francia, Portogallo e Polonia si sono confrontati riguardo la delicata tematica di stereotipi, pregiudizi e discriminazione e su come i media possano essere strumenti utili per l’inclusione sociale.

Giorni intensi di studio nei quali non sono mancati i momenti liberi per conoscere Tortolì e il territorio ogliastrino. Durante la serata interculturale del primo giorno, Vele Corsare ha invitato a sorpresa il coro di Arbatax che ha lasciato a bocca aperta i partecipanti con l’interpretazione di alcuni classici della musica popolare sarda e italiana, quali “Nanneddu Meu”, “No potho reposare” o “Bella Ciao”. L’esibizione si è poi alternata alla presentazione dei vari Paesi con usi, costumi e prodotti tipici, ma per regalare una nuova emozione il coro ha voluto integrare due ragazzi nell’interpretazione dell’ultimo brano.

Toccante il racconto di due membri dell’associazione ospitante: Ilhame ha raccontato cosa vuol dire nascere e crescere in Sardegna da genitori marocchini, illustrando ai presenti percezioni e situazioni, dai primi anni di vita, all’adolescenza fino all’età adulta, legati a episodi di discriminazione così come di inclusione. Pavlo, un ragazzo ucraino che vive da anni in Sardegna, ha presentato il suo Paese di origine con video e foto del passato e del triste presente che sta vivendo l’Ucraina, portando come testimonianza esperienze dirette di questi giorni bui e quanto i media fanno o non fanno trapelare.

Non è mancato un confronto diretto con il territorio e le istituzioni locali. Tra i più significativi, l’incontro con il sindaco Massimo Cannas e la consigliera con delega al turismo, Michela Iesu, che hanno accolto i partecipanti direttamente in Comune. Uno scambio intenso di circa due ore durante il quale diverse sono state le domande poste, sia per conoscere la realtà locale da parte degli ospiti, sia per conoscere le esperienze dei giovani impegnati nel progetto. Sorpresa inaspettata è stata la consegna di un libro da parte del Sindaco a Pavlo, in segno di vicinanza della cittadina tortoliese al popolo ucraino.

I vari youth workeroperatori giovanili – hanno avuto la possibilità di rafforzare i legami di collaborazione così come di crearne nuovi, ma hanno accresciuto anche le loro competenze in materia di esclusione sociale e discriminazione. Sono stati preparati e diffusi cinque annunci sociali sulla lotta alla discriminazione nelle aree locali rappresentate, ora visibili sulle pagine Facebook e Instagram dell’Associazione Vele Corsare. Inoltre, sono state pianificate 23 attività giovanili locali per diffondere gli annunci sociali e sono stati ideati almeno 12 scambi giovanili, progetti e corsi di formazione con, per e da parte dei giovani, al fine di combattere la discriminazione nei confronti dei giovani con background diversi. L’insegnamento: «Un’azione, un gesto, una buttata spesso fanno soffrire chi ci sta vicino e nemmeno ce ne accorgiamo. Usiamo il cervello e il cuore con maggiore empatia e stiamo attenti al mondo che ci circonda».

Parco giochi

Il grido di aiuto di Esterzili e Ussassai: “Il coraggio da solo non basta”

di Claudia Carta.

Poco più di mille abitanti in due. Servizi essenziali che mancano. Si lotta per non scomparire, ma fino a quando si potrà resistere? Intanto chi può fa i bagagli e va via…

L’idea suggestiva di abitare in un borgo dove i ritmi sono rimasti lenti, dove ci si conosce tutti e ci si aiuta vicendevolmente, dove i bambini – quando ci sono – giocano ancora a pallone per strada o nei cortili a metà fra paese e campagna, ha sicuramente sfumature pittoresche e nostalgiche e delinea un quadretto bucolico solo in apparenza beato.

La realtà nei nostri piccoli, piccolissimi centri, dice invece mancanza di servizi, assenza della primaria assistenza, sensazione di abbandono che tratteggiano scenari tutt’altro che fantasiosi.

Francesco Usai, primo cittadino di Ussassai, in questo è molto schietto: «Il nostro è un paese che sta lentamente scomparendo, raggiungendo il triste primato del paese più piccolo d’Ogliastra per numero di abitanti, ormai sotto i 470, che cala di giorno in giorno essendo la popolazione composta per lo più da anziani e le cui morti annualmente superano di gran lunga le nascite».

Anche Esterzili registra un trend negativo: «Dagli anni ottanta abbiamo subito una diminuzione degli abitanti in linea con tutte le piccole realtà dell’interno – fa notare il sindaco Renato Melis – e attualmente risulta ulteriormente penalizzato dalla carenza continuativa di servizi essenziali come la sanità».

Servizi. È questa la parola benedetta e maledetta su cui pende, in qualche modo e per larga parte, la sorte di queste due piccole comunità, ma anche di tante altre. Se è vero, infatti, come sottolinea amaramente Usai, che «il calo di natalità è un male comune sia per i piccoli che per i grossi centri, gioca a sfavore di Ussassai la mancanza di servizi basilari quali sanità, viabilità, istruzione. Una giovane coppia che voglia sposarsi e mettere su famiglia si scontra con molteplici difficoltà esistenti nei piccoli centri: la mancanza di lavoro non aiuta, ma se poi si comincia a pensare di avere dei figli si apre uno scenario terrificante. E se al puro fattore economico aggiungiamo le problematiche che comporta vivere in paesi isolati come Ussassai, passa la voglia: il solo fatto che sia assente un medico di base in pianta stabile – che in caso di urgenza fornisca l’assistenza dovuta e necessaria – lascia ben immaginare quanto una coppia possa pensare di avere dei figli con il terrore che possano sentirsi male; aggiungiamo poi un sistema viario inqualificabile che rallenta, anzi blocca i trasporti in tutti i settori (commercio, trasporto pubblico, servizi); istruzione pubblica ormai allo sbando con scuole distanti – e parliamo di distanza fisica per chilometri e chilometri –. Come si può pensare che un ragazzo/a di Ussassai per frequentare un liceo sia costretto a fare decine di chilometri con orari dei mezzi pubblici – chiamarli mezzi è un eufemismo! – in orari scomodi».

Se Ussassai piange, Esterzili non ride e racconta le medesime difficoltà: «Il supporto dell’amministrazione comunale è sempre meno in grado di rispondere in modo quantitativo e qualitativo alle esigenze dei cittadini – spiega Melis – in quanto, il personale, preferisce destinazioni più appetibili in città o a esse vicine. Queste condizioni rendono improbo qualsiasi tentativo di incentivo dal basso dell’ente locale verso la residenzialità delle giovani coppie e la creazione di condizioni di socialità attiva utili a convincere una coppia a farsi una famiglia in questi paesi».

Vogliamo parlare di possibilità lavorative? «Per anni, troppi, sono state create illusioni e false speranze con fantomatiche industrie, più o meno vicine, che si sono rivelate essere delle fabbriche mangia soldi che hanno depauperato le attività tradizionali quali pastorizia, agricoltura e coltura silvestre, con cui i piccoli paesi sono nati e cresciuti», aggiunge il capo dell’esecutive ussassese che, però, aggiunge: «Le soluzioni da trovare sono difficili, ma non certo irrealizzabili. Si crei davvero una politica di ritorno ai vecchi mestieri, si forniscano incentivi facilmente conseguibili per l’agricoltura (si fa un gran parlare di cibi biologici, ma se si pensa di farlo con una grande distribuzione…!) o altre attività per il mondo agro pastorale, cosi che a cascata ne deriverebbero tante attività che farebbero rinascere e crescere le famiglie».

Tenacia da vendere e lavoro strenuo per creare in tutti i modi soluzioni vengono anche dal versante esterzilese: «Le iniziative portate avanti dal comune di Esterzili che tendono a premiare giovani coppie con figli, riguardano tutti i settori – sottolinea Renato Melis –, dai contributi scolastici, agli interventi di recupero immobiliare, alla concessione di fondi rustici. Considerato che la sanità di fatto non è di competenza, neanche volendo, comunale, il tentativo che maggiormente può incidere è quello legato a incentivare interventi legati al miglioramento della socialità e ciò lo si è fatto attrezzando e rendendo funzionale e gestita la palestra comunale da vent’anni praticamente inutilizzata, attivando una scuola civica di musica a prezzi calmierati per tutti i residenti, organizzando attività formative e ludiche, a contributo ridotto, per piccoli e grandi, sia durante l’anno scolastico che nel periodo estivo. Si stanno investendo importanti risorse sull’impiantistica sportiva incentivando la cultura dello sport in tutti i settori. Altra azione utile è quella legata all’incentivo della cooperazione territoriale in occasione di eventi e ricorrenze come il carnevale, le sagre e le feste annuali».

Serve tuttavia una programmazione e risorse importanti, figlie di una politica alta e altra che davvero abbia a cuore benessere e rilancio dell’interno, diversamente si muore: «Sono del parere – chiosa Francesco Usai – che le manovre economiche compiute a livello nazionale o regionale, con l’erogazione di incentivi per acquisto o ristrutturazione casa non servano granché alla luce dei problemi sopradescritti: salta all’occhio che se anche le abitazioni fossero date in regalo nessuno ci verrebbe. Le piccole amministrazioni, coi loro bilanci sempre più risicati, ben poco possono fare se non continuamente e costantemente lanciare dei chiari messaggi di denuncia di evidenti carenze con la ormai sempre più vana speranza che vengano recepite e risolte. I sindaci oltre a disperarsi rendendosi conto di essere lasciati soli si armano di coraggio, ma il coraggio da solo non serve».

Asilo nido

A Santa Maria Navarrese nascerà il polo dell’infanzia

di Fabiana Carta.

Investire su scuola e servizi, specialmente quelli dedicati alla famiglia e ai bambini, non è mai uno sbaglio. È una ricchezza per la comunità e un incentivo al miglioramento della qualità della vita e della coesione sociale. Baunei sceglie la frazione marina di Santa Maria Navarrese come luogo per far sorgere il polo dell’infanzia, a disposizione anche dei paesi limitrofi

Belle notizie per le future famiglie ogliastrine: a Santa Maria Navarrese sorgerà un nuovo polo scolastico dedicato all’infanzia, il progetto del comune di Baunei prevede, infatti, la costruzione di un asilo nido e il potenziamento della scuola materna già esistente. L’obiettivo è raggiungere anche i paesi vicini, come Triei, Urzulei e Lotzorai.

Considerato che la Sardegna può vantare il triste primato di avere il dato più basso del mondo di bambini nati per mille abitanti, considerato che il crollo delle nascite è dovuto soprattutto alla mancanza di politiche efficaci dirette al sostegno delle famiglie, il miglioramento della rete dei servizi per l’infanzia è sicuramente un’ottima notizia.

Paesi come Baunei, Urzulei, Triei e Lotzorai sono sprovvisti di un asilo nido, le strutture più vicine si trovano a Tortolì. Per questo il comune di Baunei ha pensato di investire oltre 2 milioni e 700 mila euro del bando collegato al Pnrr per la realizzazione di un nuovo polo scolastico dedicato alla fascia “zero – sei anni”, moderno, inclusivo e sostenibile, che unisca la sezione dell’asilo nido, oggi completamente assente, a quello della scuola per l’infanzia, presente ma non sufficiente. Nell’anno 2022 Baunei ha contato 31 bambini nella scuola dell’infanzia e 54 nella scuola primaria, mentre la frazione di Santa Maria Navarrese ha contato 50 bambini nella scuola dell’infanzia e 85 nella scuola primaria.

Il progetto di realizzazione della struttura, che sorgerà a Santa Maria Navarrese e sarà intitolata alla memoria dell’insegnante prematuramente scomparsa Irma Mereu, nasce dal desiderio di prestare attenzione alle esigenze delle giovani famiglie quali risorse importanti della comunità e dall’obiettivo di raggiungere un bacino d’utenza più ampio come i comuni di Baunei, Triei e Urzulei, i quali fanno già parte dello stesso Istituto Comprensivo, pensando anche al comune di Lotzorai. I lavori dovranno essere aggiudicati entro il 31 marzo 2023.

Fra le aspirazioni dell’iniziativa c’è quella di arricchire l’offerta formativa portando i bambini a entrare in contatto con la natura e il proprio territorio, questo significa superare i confini strettamente scolastici ed entrare nell’ottica di una didattica flessibile e polifunzionale.

I dati dimostrano che in 103 province italiane non c’è alcuna correlazione tra l’offerta di asili nido e le nascite, ma è certo che fra le cause della bassa natalità c’è il pensiero e la difficoltà di dover conciliare la vita lavorativa con quella familiare. Aprire un nuovo servizio come quello del nido significa permettere alle donne di continuare a mantenere un lavoro – senza sentirsi obbligate a scegliere tra famiglia e carriera – oppure di trovarne uno se non lo hanno.

San Daniele pranzo

L’altRa cucina. Per un pranzo d’amore con i detenuti

di Augusta Cabras.

Un giorno di festa, tra alta cucina e musica d’autore. Tra le mura della Casa Circondariale di Lanusei, in prossimità del Santo Natale, hanno risuonato voci di gioia e allegria

La linea di confine tra la libertà e la detenzione è una serie di cancelli di ferro che si aprono l’uno dopo l’altro. Il suono, nella loro apertura, è sordo. L’andito si apre davanti. Ad accogliere c’è un albero di Natale luminoso e di fianco un presepe che ha atteso l’arrivo dell’Altissimo.

Si celebra il Natale anche qui, tra le celle della Casa Circondariale di Lanusei, per i 32 uomini, che in questo spazio-tempo vivono, in attesa di giudizio o per scontare la pena. Cristo arriva per tutti; non sceglie, non seleziona. Irrompe in Carne e Spirito, stravolge vite già inquiete, interroga, fa sussultare. Di certo non lascia indifferenti.

E si respira l’aria del Natale, nella lieve frenesia dei preparativi, nell’emozione di chi questa giornata l’ha preparata con impegno. L’iniziativa porta il nome di “L’altRa cucina. Per un pranzo d’amore.”, voluta dall’Associazione Prison Fellowship e il Rinnovamento dello Spirito Santo, con la collaborazione dell’Istituto Scolastico I.A.N.A.S. Si tratta di un’iniziativa giunta alla IX edizione, in cui alcuni chef preparano pietanze gourmet per chi vive la dolorosa esperienza della detenzione. «Lo facciamo in contemporanea ad altre 20 carceri d’Italia – spiega Lucia Mariane, coordinatrice regionale del Rinnovamento – tre delle quali in Sardegna. Con noi gli chef Stella Doa ed Ercole Monni della scuola alberghiera di Tortolì». Presenti anche la responsabile diocesana del Rinnovamento, Gesuina Mereu, le volontarie Anna Maria Serrau e Pina Mariolu, don Minuccio Stochino e don Giorgio Cabras.

Il refettorio trova posto nella cappella dedicata a San Daniele, che accoglie i detenuti, il personale della Polizia Penitenziaria guidati dalla Comandante Moira Vacca, e i volontari. I tavoli sostituiscono le panche, mentre alle pareti rimangono appese le immagini con i volti dei Santi e gli auguri delle parrocchie della diocesi di Lanusei. La casa di Dio, il luogo del Pane spezzato e gustato, il tempio della preghiera diventa il luogo della condivisione del cibo, dei sorrisi, delle parole, accompagnate dalla gratitudine.

La musica, nel convivio, fa da sottofondo. È musica dal vivo, come raramente accade tra le mura di questo edificio. Quattro amici, musicisti villagrandesi: Vincenzo Demurtas, Remo Natali, Gabrielangelo Melis e Natale Murru attraversano con la grinta e la passione che li contraddistingue, il repertorio della musica d’autore italiana e inglese. È la prima volta che cantano dentro un carcere e non nascondono l’emozione. L’apprezzamento di tutti è così grande che non potranno che esserci altre occasioni di incontro.

L’esperienza del carcere pesa anche per la mancanza di frequenti momenti di aggregazione. Gli spazi sono limitati, la struttura per quanto architettonicamente interessante mostra i segni del tempo. Tra quelle mura mi chiedo quanta bellezza serva per controbilanciare la bruttezza dei reati compiuti, per alleggerire l’attesa del tempo da passare rinchiusi, per riacquistare la speranza, per vedere bagliori di luce. Mi chiedo (retoricamente) quanta importanza ha, in un contesto come questo, la cura e l’attenzione costante del personale della Polizia Penitenziaria; quanta speranza portano i volontari, anche con iniziative come queste, quanti anfratti esistenziali illuminano i sacerdoti che portano la Buona Notizia e il personale educativo che accoglie, ascolta e supporta cammini di vita affatto lineari. La risposta a queste domande è negli occhi di tutte le persone presenti. Perché non c’è percorso rieducativo che non preveda amore, condivisione, bellezza, cura e presenza.