Fatti
Arzana. Quel duplice omicidio che interroga
C’era tutto il paese, il 13 agosto, ai funerali dei due fratelli Andrea e Roberto Caddori, uccisi tre giorni prima al termine di una violenta lite con il vicino di casa Peppino Doa. A celebrare il rito funebre è stato il vescovo Antonello della cui omelia riportiamo alcuni significativi passaggi.
Vaccini. Ancora dubbi tra tante certezze
di Maria Erminia Stochino*
Ritardare l’inizio del ciclo vaccinale è un rischio: significa prolungare il periodo in cui il bambino non è protetto contro alcune malattie che possono essere gravi e che sono frequenti nei primi mesi di vita.
È indubbio che le vaccinazioni rappresentano una rivoluzionaria scoperta che ha stravolto la storia della medicina. Recenti statistiche mostrano che le vaccinazioni hanno ridotto di più del 99% molte gravi malattie: del 100% polio, difterite e vaiolo, del 99% rosolia e morbillo, del 95% parotite, del 92% tetano e pertosse. Solo riferendosi a 7 dei 12 vaccini raccomandati sono state prevenute 33.000 morti e 14 milioni di casi di malattia per ogni coorte di nuovi nati, con un enorme risparmio anche in termini di costi.
Secondo l’OMS i vaccini sono in grado oggi di salvare 2,5 milioni di vite l’anno nel mondo, eppure il valore della prevenzione vaccinale non è adeguatamente compreso e rischia di essere seriamente in pericolo a causa della disinformazione e di falsi miti che, seppur privi di base scientifica, riescono con estrema facilità a far presa sull’opinione pubblica. Paradossalmente si potrebbe affermare che le vaccinazioni sono «vittime del loro successo»: non essendo più visibili le patologie che sono state debellate o sensibilmente ridotte è diminuita la percezione dell’importanza della pratica vaccinale, mentre vengono amplificati dal web messaggi allarmanti e preoccupanti sull’utilizzo dei vaccini e vengono diffuse notizie prive di fondamento scientifico.
Nel 2015 un sondaggio promosso da Datanalysis (Istituto demoscopico specializzato nell’area salute), condotto con lo scopo di indagare la percezione nei confronti dei vaccini, ha fatto emergere un quadro estremamente preoccupante. Paradossalmente, il 33% dei genitori intervistati pensa che i vaccini siano più pericolosi delle malattie che prevengono. Solo il 25,4% dei genitori intervistati è convinto che siano utili. Secondo il 25% non tutti i vaccini sono necessari, per il 19,6% sono troppi, per il 17% tanti vaccini somministrati insieme possono dare problemi… Per giunta, i genitori che vaccinano i figli non lo fanno correttamente. Più della metà (54,3%) ha fatto somministrare tutte le dosi solo per le vaccinazioni obbligatorie…, ma ben uno su 4 non l’ha mai fatto.
Questa paura delle vaccinazioni, che purtroppo riguarda non solo i genitori ma talvolta gli stessi operatori sanitari, medici inclusi, è ingiustificata e si basa su convinzioni completamente prive di fondamento scientifico. È quindi la mancata o la scorretta informazione che alimenta una serie di pregiudizi e false credenze permettendo il perpetuarsi di un comune errore «…per cui – come scrive la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, FNOMCeO – di fronte a un rischio per quanto altamente improbabile (la reazione avversa da vaccino), si trascura un vantaggio certo (l’immunizzazione rispetto ad una grave malattia), lasciandosi guidare più da diffidenze o sospetti che da prove scientifiche».
In molti sostengono che l’igiene e una vita sana sarebbero sufficienti a proteggerci dalle malattie infettive, che troppi vaccini vengono associati nella stessa iniezione, che i vaccini sono somministrati a bambini troppo piccoli e che indeboliscono il loro sistema immunitario, che causano malattie gravi come l’autismo o la morte improvvisa in culla (SIDS). In pochi sanno che seppur alla nascita e per alcuni mesi il sistema immunitario non è ancora perfettamente maturo, e i vaccini sono costruiti in modo da attivare la parte già in grado di rispondere adeguatamente. Ritardare l’inizio del ciclo vaccinale è un rischio: significa infatti prolungare il periodo in cui il bambino non è protetto contro alcune malattie che possono essere gravi e che sono frequenti nei primi mesi di vita, come la pertosse e le meningiti.
Proprio perché predisposti per la somministrazione di massa a popolazioni sane o potenzialmente fragili come i neonati e gli anziani, i vaccini sono tra i farmaci più sicuri, severamente controllati e garantiti. Il loro profilo di sicurezza viene raggiunto attraverso un lungo percorso autorizzativo, coerente con le più stringenti normative internazionali e secondo la più rigorosa metodologia, attraverso studi clinici sperimentali controllati e randomizzati, e sottoposti al controllo incrociato di esperti.
Riguardo ai vaccini, la comunicazione dei rischi è spesso difficile e richiede un’esperienza appropriata, poiché al giorno d’oggi la diffusione di Internet permette a chiunque di dotarsi di informazioni mediche. La comunicazione rappresenta una grande opportunità, ma bisogna considerare anche la possibilità di informazioni sbagliate che, se non controbilanciate da informazioni veloci e ufficiali, potrebbero rivelarsi dannose, con il rischio di una possibile esplosione delle malattie infettive prevenibili con il vaccino.
Certo, come tutti i medicinali, anche i vaccini possono dar luogo a reazioni avverse, generalmente lievi (es. febbre, gonfiore in sede di iniezione) e solo molto raramente gravi, di cui si occupa la vaccinovigilanza, che è quella branca della Farmacovigilanza che – attraverso la valutazione delle segnalazioni – consente di identificare eventi avversi rari e non noti e di adottare le opportune misure per garantire la sicurezza delle vaccinazioni nella popolazione. È anche grazie a tale disciplina che i vaccini vengono monitorati in modo costante durante il loro utilizzo finendo con l’essere tra i farmaci più controllati, in modo che i rischi legati al loro uso possano sempre essere confrontati con i loro benefici. In quest’ottica, l’accesso a strumenti adeguati per l’analisi dei dati, un rafforzamento delle regole di farmacovigilanza e una aumentata trasparenza possono migliorare la vaccinovigilanza e anche la fiducia dei cittadini nelle vaccinazioni.
*U. C. di Farmacologia Cinica – Università di Cagliari
A un passo dal cielo. Viaggio fra i Tacchi di Jerzu
di Claudia Carta
È il paradiso dei Tacchi. Un’immensa area naturalistica da sempre definita e fotografata come aspra e selvaggia, ma che racchiude in questo suo essere misterioso e arcano, tutto il segreto di un’avventura da vivere all’aria aperta.
Luoghi di incomparabile bellezza si snodano fra boschi rigogliosi e torri montuose, sorgenti d’acqua fresca e abbondante, grotte e anfratti profondi, e ancora dirupi, pareti rocciose perfettamente verticali, pendii scoscesi, vallate irregolari con scorci panoramici improvvisi, salti e piccole cascate che conferiscono al paesaggio, nel suo insieme, un fascino unico e indiscutibile.
Proprio la morfologia accidentata ed insolita del territorio offre numerosissime possibilità escursionistiche: dal trekking, per godere appieno i meravigliosi scenari naturali montani, fra i Tacchi calcarei jerzesi di Porcu ’e Ludu e Troiscu, o per assistere sgomenti ai magnifici giochi di luci e riflessi durante le varie fasi del giorno fra i picchi e gli anfiteatri di Gedili e Sant’Antonio, sui tonneri svettanti di Mammuttara o ai piedi del torrione di Corongiu che domina incontrastato il paesaggio; all’arrampicata o al free climbing per tutti gli appassionati del genere in cerca di adrenalina pura e di forti emozioni; fino alla semplicità e alla naturalezza del vivere a stretto contatto con una natura instancabile e silenziosa, lungo i suoi sentieri e i suoi percorsi, con i suoi gioielli archeologici altrimenti inaccessibili, con le sue sorgenti e i suoi torrenti, per trovarsi infine a contemplare in lontananza lo specchio azzurro del mare che in Ogliastra è un tutt’uno con il cielo.
Un vero sogno per gli escursionisti e per i bikers appassionati di storia, ma che non vogliono assolutamente rinunciare ad un’avventura a 360° in uno dei più suggestivi paradisi naturalistici. Pedalare…e ancora pedalare o semplicemente camminare all’aria fresca, prendendosi il giusto tempo per godere delle meraviglie che si trovano intorno. E la bicicletta è la compagna di viaggio ideale, in un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, ai piedi di Nuraghi, complessi archeologici, monumenti naturali. Qui, tutto diventa patrimonio dell’umanità.
L’itinerario escursionistico, alla portata di tutti, si sviluppa ad anello di circa 7 Km e pertanto può essere percorso in entrambe le direzioni. Si parte dall’oasi di Sant’Antonio, lungo la strada comunale verso Tacurrulu, fino alla biforcazione: a sinistra, in direzione Gessidu (dal nome dell’omonimo nuraghe), si giunge sulla balconata dell’altipiano, che costituisce un sensazionale punto panoramico che spazia fino al mare, su un territorio a dir poco delizioso. Abbandonata la strada che conduce all’Ente Foreste, il sentiero che attraversa il maestoso e spettacolare bosco di lecci giunge in località Poddini, sul versante meridionale della vallata di Alustia che vede dall’alto la statale 125. Da qui si risale a Sant’Antonio.
Nuraghi, falesie con strapiombi mozzafiato, tre antichi forni della calce, un torrione calcareo di oltre 15 metri, S’artareddu, per un’avventura che regala mille e una emozione in tutti i periodi dell’anno.
Fino a qualche decennio fa, nello stradone di Perdasdefogu o nel viottolo oggi nascosto dal rimboschimento, [nei pressi della chiesa di sant’Antonio] si svolgevano le corse dei cavalli: una gara massacrante perché i cavalieri cavalcavano a pilu, senza sella. Era una gara famosa in tutta l’Ogliastra e vi si confrontavano i più abili cavalieri, attirati più che dai ricchi doni, dal gusto della sfida, da sa balentìa. Nel 1850, vestiti dei loro costumi tradizionali, erano arrivati da Loceri, Barì e Ballao. Purtroppo la festa fu guastata dal parroco, il collerico ed imprevedibile vicario Pisano, che vedendosi negare la tassa di dieci centesimi sui premi in palio «saltò come un disperato fuori della chiesa, profferendo parole di vituperio alla presenza dell’intera massa popolare». non solon contro il malcapitato obriere, Salvatore Mura, ma anche contro il sindaco e lo stesso pretore del mandamento.
La corsa, ribattezzata con il nome di Palio della Rosa, in ricordo del Castello della Rosa, che sorgeva nel 110 vicino a Cuaddazzoni, è stata riportata in auge durante la sagra del vino dell’agosto 1995 [...]. Una gara appassionante, seguita da un pubblico attento e molto critico, si teneva nel costone a valle della chiesa: il tiro al gallo, che più tardi venne sostituito con una bottiglia lasciando lo stesso volatile in palio al tiratore più abile.
Sul calar della sera, «con l’accompagnamento della cavalleria e della confraternita», partiva la processione che riportava in paese il santo del miracoli.
(da Tonino Serra, Ierzu. La gente, i luoghi, la memoria, pagg. 140-141)
Donne di Misericordia
di Gemma Demuro
Il Centro Italiano Femminile della Sardegna si è ritrovato a San Pietro di Sorres per celebrare il Giubileo Straordinario della Misericordia. Il monastero benedettino è stato, infatti, il luogo scelto dalle aderenti di tutta l’isola per parlare di giubileo al femminile.
Quanta povertà educativa tra i nostri ragazzi!
di Fabiana Carta
La premessa non è rincuorante: in Italia più di un milione di minori vive in condizioni di povertà assoluta. Bambini cresciuti in contesti di privazione economica e materiale dalla quale deriva una povertà educativa, spesso tristemente sottovalutata. Save the Children affronta per la prima volta questo tema nel 2014, lanciando la campagna Illuminiamo il Futuro.
Oggi i dati raccolti con il rapporto Liberare i bambini dalla povertà educativa: a che punto siamo? ci prospettano un quadro preoccupante: il 48% dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto nemmeno un libro al di fuori di quelli scolastici, il 69% non ha visitato un sito archeologico e il 55% un museo, il 46% non ha svolto alcuna attività sportiva. Se nel Sud e nelle Isole l’incidenza della privazione «culturale e ricreativa» è più marcata superando il 70%, nelle regioni del Nord riguarda comunque circa la metà dei minori considerati. Ma cosa s’intende esattamente per povertà educativa? Secondo Save the Children indica l’impossibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire in maniera libera capacità, talenti e aspirazioni. La povertà nell’apprendimento e nello sviluppo è misurata principalmente rispetto alla mancata acquisizione delle competenze di base a scuola. Il 59% degli studenti frequenta scuole dotate di infrastrutture insufficienti a garantire l’approfondimento, di conseguenza: il 20% dei quindicenni non raggiunge la soglia minima di competenze in lettura, il 25% non la raggiunge in matematica, con un tasso di dispersione scolastica al 15% (la soglia massima fissata dall’Unione Europea per il 2020 è del 10% e al 5% per il 2030). E la Sardegna? Si contende insieme alla Sicilia il primo posto con il 24% di ragazzi che lasciano prematuramente la scuola. Ricordiamoci che le competenze e le capacità si acquisiscono soprattutto all’interno del percorso scolastico, ma un ruolo importante nella formazione del bambino è dato dalla comunità educante. Andare a teatro, al cinema, leggere un libro, fare sport, viaggiare, partecipare a concerti, visitare mostre e monumenti sono importanti indicatori dell’opportunità (o della privazione) educativa.
Per avere un’idea dei nostri bambini e ragazzi e del loro rapporto con la lettura ho preso come modello Tortolì, il centro principale dell’Ogliastra, con i suoi oltre 12.000 abitanti. La Biblioteca comunale ha messo a disposizione i dati del 2015: per i bambini di età compresa tra i 5 e i 9 anni i libri in prestito sono stati 599, mentre per le bambine 1712, rendendo palese la grande differenza di genere. I numeri diminuiscono drasticamente nell’età dai 15 ai 19 anni: risultano solo 26 libri in prestito per i ragazzi e 150 per le ragazze. Le librerie non se la cavano meglio. Il proprietario di una libreria del centro di Tortolì si lascia andare in un commento: «In giro si vedono ragazzini con cellulari da 300 euro. Perché, però, spendere 20 o 30 euro per un libro sembra eccessivo». Gli stessi ragazzini di cui stiamo parlando, una volta diventati giovani adulti, rischiano di essere esclusi, tramandando questa condizione alle generazioni successive.
Olga Corrias. Quando il merito è opportunità
di Fabiana Carta
Olga Corrias è una di quelle laureate che sono dovute partire. Ogliastrina di nascita, oggi la separano circa sette mila chilometri dalla sua famiglia che vive a Triei. Questa è la storia di un cervello in fuga un po’diversa dal solito. Una storia cui si mescolano impegno, coraggio, un grande amore e bravura: scelte e coincidenze che hanno portato Olga a trovare un lavoro in una delle più prestigiose Università del mondo, la Princeton University (New Jersey, USA), dove si dedica a qualcosa che in Italia potrebbe sembrare fantascienza. Gestisce una squadra che si occupa delle relazioni con i datori di lavoro e i laureati, che ha come obiettivo quello di creare percorsi per l’occupazione degli studenti dell’università. E il suo primo giorno di lavoro ha coinciso con il primo giorno dell’ottavo mese di gravidanza (altra fantascienza). «Probabilmente in Italia non sarebbe mai successo e chiunque mi avrebbe sconsigliato di farlo», aggiunge.
La scelta di andare via dalla Sardegna risale al 1997. «Sono cresciuta in un piccolo paese come Triei, da padre prima operaio in Germania poi pastore, e da mamma casalinga. Ho lasciato l’isola con giusto i soldi guadagnati durante la stagione estiva, per trasferirmi a Bologna e studiare Scienze Statistiche». Primo grande passo: lasciare il porto sicuro mollando gli ormeggi, la piccola realtà rassicurante, per andare a vivere in quella che era una delle città più costose d’Italia.
A onor del vero Olga non aveva il sogno americano e subito dopo la laurea è anche riuscita ad ottenere un lavoro, a tempo determinato, non illudiamoci. Ma un bel lavoro. «La Sanpaolo Imi mi ha assunta per due anni. Stavano cercando dei laureati con un certo tipo di profilo ed io sono stata fortunata ad essere nel posto giusto al momento giusto». Ecco che a questo punto, se la storia di Olga fosse un romanzo, avviene il colpo di scena, l’incontro che non ti aspetti, la storia d’amore che sconvolge la vita e i programmi. «In quel periodo ho incontrato quello che sarebbe diventato mio marito, Matt, americano. Lui era arrivato a Bologna per iniziare un Master. Al termine del mio lavoro, quando la Sanpaolo era pronta a darmi un contratto a tempo indeterminato, mio marito ha ricevuto un’offerta da parte di un’organizzazione non-profit negli Stati Uniti, dal suo vecchio datore di lavoro. Considerando che in Italia non avrebbe mai avuto un’opportunità simile e che io un lavoro in un istituto finanziario lo avrei sempre potuto trovare, abbiamo deciso di trasferirci a Chicago». Era il 2005, fine dicembre. Olga si ritrova nella città del vento, com’è soprannominata, ad affrontare il rigido inverno del clima tipicamente continentale e a pensare che la prima cosa da fare è iscriversi immediatamente ad un corso d’inglese. «M’iscrivo ad un corso di tre mesi alla University of Illinois at Chicago senza neppure dirlo a mio marito, mi vergognavo troppo a quei tempi dei miei rudimenti d’inglese scolastico!». Senza perdere tempo e senza temere il problema lingua si propone subito facendo domanda di lavoro presso il College di Architettura e delle Arti, nella stessa Università del corso. «Era un lavoro part-time nell’ufficio del preside e, con mio grande stupore, mi hanno assunta subito». Una ragazza appena arrivata dall’Italia, con una laurea; certo, ma con una conoscenza dell’inglese molto basilare, che viene assunta senza spintarelle o sotterfugi vari? Fantascienza numero tre. «A quel punto avevo fatto la domanda per la Green Card (un’autorizzazione che consente ad uno straniero di risiedere nel suolo americano per un periodo di tempo illimitato), e per legge non potevo più essere pagata per lavorare. Così ho deciso di propormi alla Loyola University, la più grande università gesuita degli USA, per un apprendistato durato tutta la stagione estiva, in un ufficio nel quale venivano gestite le relazioni con i laureati».
Gettato l’amo, secondo un concetto molto americano che si chiama meritocrazia (Ah, questa sconosciuta!), Olga viene assunta a tempo indeterminato, facendo letteralmente carriera. «Durante i primi sei anni ho lavorato in diversi ruoli grazie a delle promozioni interne, gestendo in prima persona uffici e Dipartimenti dell’università e cammin facendo ho anche conseguito un Master». All’inizio del 2015 suo marito Matt, che gestiva una scuola superiore a Chicago, ha accettato una proposta di lavoro a Phildelphia. Fa parte dello stile di vita americano spostarsi spesso per inseguire la carriera, così ecco un altro trasferimento per la famiglia: nuova città, nuova casa, nuovo lavoro anche per Olga, alla Princeton University. «Poi… chi lo sa!», aggiunge; la stabilità non è un’idea che amano. Riflettendo sulla sua esperienza di vita Olga mi confessa che non sa se avrebbe lasciato l’Italia se non avesse incontrato l’amore, quella forza che governa le nostre scelte, ma ammette che ora non sarebbe in grado di tornare indietro. «Sarei mai in grado di accettare le differenze di trattamento tra giovani e anziani? In quanti non riescono ad inserirsi in certi settori (avvocati, farmacisti, etc.) per via della presenza nel mercato di professionisti in età pensionabile che limitano le possibilità dei giovani? E’davvero cambiato il modo in cui la collega donna viene trattata dai colleghi maschi? Sarei disposta a tornare a livelli più formali di assunzione?». In Italia è tutto più complicato e i tempi sono lunghissimi, però c’è qualcosa che le manca. «Le persone, il rapporto caloroso. E il cibo! Ma da noi sarebbe stato difficile se non impossibile, sia da un punto di vista della tempistica della crescita che per il tipo di opportunità che ho trovato, avere questo tipo di carriera».
Concludendo ? «Ho capito cosa trova chi viene negli USA: opportunità».