In breve:

Fatti

Esercizi

Esercizi spirtuali, “Al Pozzo di Sicar”

Esercizi Spirituali per sacerdoti e religiosi condotti da S. E. Rev.ma Mons. Domenico Sigalini, per tutti i sacerdoti e religiosi in Sardegna.
Di seguito le note tecniche per un invito alla partecipazione:
Gli Esercizi si svolgono dal 13 febbraio 2017, ore 17, al pranzo di venerdì 17, c/o la casa Pozzo di Sichar – via dei Ginepri, 32 – loc. Capitana – 09045 QUARTU S.E. (CA) – TEL.: 070 805236.
La quota di partecipazione è stabilita in € 200,00, comprensiva di vitto e alloggio e partecipazione all’offerta per il conduttore.
Per l’iscrizione rivolgersi a: mons. Franco Puddu
vicario@diocesidicagliari.it , cell.: 3683198778

Speciale ristorazione

CNOS-FAP: così prepariamo il futuro

Stanno per iniziare a Lanusei i percorsi regionali di studio per ottenere la qualifica di operatore professionale riconosciuti dall’UE.

«Abbiamo pensato per voi percorsi di formazione stimolanti e al passo con quanto richiede il mondo del lavoro». Così recita l’accattivante locandina con la quale il CNOS-FAP, l’organismo salesiano che si occupa di formazione professionale, invita i giovani in attesa di lavoro a cominciare a guardare alle prospettive del futuro per trovare un’occupazione adeguata ai propri interessi e alle esigenze del marcato. In particolare, a Lanusei sarà aperto tra breve, una volta espletata la selezione delle domande pervenute, un Corso riservato alla preparazione di operatori della ristorazione e dei servizi di sala e bar. Con il turismo che sta diventando la maggior industria della Sardegna, sarà possibile, infatti, trovare più numerose occasioni di impiego stabile anche nelle strutture ricettive ogliastrine. Un secondo corso (ma a Selargius) si propone, invece, di formare operatori addetti alla riparazione dei veicoli a motore: tute bianche e poco grasso, con le nuove tecnologie automobilistiche che consentono di intervenire sugli autoveicoli prevalentemente a mezzo di sofisticati sistemi informatici.
La frequenza ai Corsi consente ai ragazzi tra 14 e 17 anni non compiuti anche di assolvere all’obbligo scolastico, oltre che di preparasi ad un futuro i cui orizzonti di lavoro si presentano con i connotati di una sempre maggiore specializzazione. Per poter accedere ai corsi occorre essere disoccupati e residenti in Sardegna. In genere, agli alunni è riconosciuta un’indennità di viaggio e di mensa e a tutti i partecipanti viene fornito il materiale didattico, l’assicurazione INAIL, l’idoneità alla mansione e gli indumenti protettivi per il lavoro.
I salesiani sardi, in questo modo, proseguono l’intuizione del loro Fondatore, offrendo ai giovani gli strumenti per comprendere il futuro e per attrezzarsi ad esso, anche in considerazione che la Sardegna detiene ad oggi, il triste primato della dispersione scolastica: un ragazzo sardo ogni quattro (25%), infatti, si ferma al diploma di terza media e non prosegue gli studi. Assieme alla Sicilia, la Sardegna vanta il poco lusinghiero primato di avere la percentuale negativa peggiore d’Italia circa mancate iscrizioni alle superiori. Una delle cause più significative di questo grave stato di cose è sicuramente da ricercarsi nella chiusura indiscriminata dei Centri di Formazione Professionale, finanziati dalla Regione, un tempo fiorenti e pieni di ragazzi che imparavano un mestiere e si riscattavano con il proprio lavoro. E se è pur vero che negli scorsi decenni gli enti di formazione si erano moltiplicati a dismisura ed erano diventati del carrozzoni che macinavano soldi pubblici generando uno situazione ingovernabile; è anche vero, però, che insieme agli enti che effettivamente davano motivo di censura, si cancellavano di fatto altri enti che lavoravano con passione educativa ottenendo risultati lusinghieri. Mettere sullo stesso piano operatori seri ed avventurieri fu facile e demagogico, ma scorretto e negativo sotto il profilo del risultato che non ha tardato a rivelarsi nella sua pericolosità sociale.
Il CNOS-FAP si fa avanti con la sua competenza e la sua serietà.

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Tra i bimbi afghani che non conoscono compleanni

di Mauro Annarumma.
È un attimo. Mentre ci fermiamo, la strada si riempie di bambini con la mano protesa alla ricerca di bottiglie d’acqua, di gulì (pastiglie), dolci o penne. Il loro vociare è per lo più incomprensibile, tanto è varia la lingua da una parte all’altra dell’Afghanistan. Ma, ovunque, sono loro, i bambini, a correre per primi e a reinventarsi provetti mimi per sostituire alle parole i gesti più esplicativi.
Dietro di loro, quasi sempre già con il velo a nascondere i capelli, ci sono le bambine. Imparano da subito il loro ruolo nella gerarchia patriarcale della famiglia afghana.
Il matrimonio arriva all’improvviso, alla tenera età di 11-12 anni, ma anche prima, insieme al sesso.
Un atto di violenza dell’adulto, generalmente; un atto dovuto per la moglie bambina. È infatti l’uomo a scegliere la giovane sposa, facendosi carico anche del sostentamento della sua famiglia.
Ecco perché, nonostante siano permesse più mogli, la poligamia non è diffusa: non per scelta, ma per ristrettezze economiche.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Unicef, oltre 600 bambini sotto i cinque anni muoiono nelle terre afghane ogni giorno per polmonite, poliomielite, tetano, tifo, tubercolosi, dissenteria, malattie esantematiche, e il 16% non supera nemmeno il primo anno di vita. Non sanno cosa sia il compleanno: i bambini non festeggiano il compimento degli anni, forse per la mancanza di orologi e calendari nelle case di fango, forse per il valore relativo dato al tempo che scorre, misurato con il sudore che cade lento sulla fronte. Oppure, e più semplicemente, perché ogni giorno che sopravvivono meriterebbe di per sé una festa!
Nelle province più lontane dai grossi centri urbani si registrano tassi di mortalità infantile tra i più alti al mondo, e il secondo (dopo la Sierra Leone) di mortalità delle gestanti.
Decenni di guerra, abusi sessuali, violenze domestiche, assenza di scuole e spazi ricreativi, feriscono la mente dei piccoli tanto quella degli adulti. Dati dell’Organizzazione Health Net disegnano un quadro drammatico: i bambini dell’Afghanistan sono secondi solo a quelli del Nepal per disturbi mentali, soprattutto nelle regioni sotto il controllo dei Talebani, dove musica, cinema, ballo ed arte erano e sono banditi.
Ma non sono solo le malattie a minacciare la vita dei piccoli afgani: dalle varie specie di insetti, aracnidi e serpenti velenosi alle mine e agli ordigni inesplosi ma ancora letali, tutto l’Afghanistan è disseminato di trappole mortali per i più deboli. Un terreno florido anche per i mercanti di organi e di schiavi venduti nei paesi arabi.
Il lavoro minorile è ampiamente diffuso, sia per necessità sia per motivi culturali. Nelle aree più povere, dove non è possibile l’attività di compravendita tipica dei bazar, anche improvvisati, che si incrociano invece l’uno dietro l’altro nei centri abitati più grandi, i bambini aiutano il padre nei campi o nella pastorizia, generalmente nomade. Lunghe distese di oppio e grano si stagliano nelle province sul finire dell’inverno, mentre si avvicina la stagione del raccolto. Non è inusuale vedere quindi, lungo i bordi delle strade, pesanti sacchi di grano verde trasportati dai più piccoli.
Le guerre e le malattie che esse trascinano negli anni, rubano l’infanzia agli afghani.
Eppure, sono ancora tanti i bambini che hanno il coraggio di sorridere.

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Mare monstrum: emergenza inquinamento intorno alla Sardegna

di Fabiana Carta.
Ogni anno produciamo 300 milioni di tonnellate di plastica e 12 milioni vanno a finire in mare. Si parla di microplastica, costituita da piccoli frammenti che misurano meno di due millimetri, non visibili all’occhio umano ma di cui è strapieno il Mediterraneo, con concentrazioni tra le più alte al mondo. Il livello di plastica più alto viene raggiunto nel tratto compreso tra la Corsica e la Toscana, dove è stata rilevata la presenza di 10 chilogrammi per chilometro quadrato, dato quattro volte superiore a quello registrato nel Pacifico.
Bene, noi sardi non dobbiamo storcere il naso, non dobbiamo crederci immuni. I dati, pubblicati su “Nature/ScientificReports”, da uno studio condotto dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (Ismar- Cnr), in collaborazione con le Università di Ancona e Algalita Foundation (California), confermano la presenza di 2 chilogrammi di plastica per chilometro quadrato tra la Sardegna, la Sicilia e le coste pugliesi. Una parte della nostra vita quotidiana finisce in mare, spesso negli stomaci dei pesci, anziché finire negli appositi cassonetti: “si tratta soprattutto di polietilene e polipropilene, ma anche di frammenti più pesanti come poliammidi e vernici, oltre a policaprolactone, un polimero considerato biodegradabile” – come spiega Stefano Aliani, uno dei coordinatori della ricerca.
La chiamano la zuppa di plastica, “sacchetti e bottiglie vengono degradati dalla luce. Nel giro di anni o perfino secoli, a seconda del tipo di plastica e dell’ambiente in cui finiscono, questi rifiuti si riducono in poltiglia” – continua Aliani – “Non sappiamo dove sia oggi tutta la plastica che abbiamo prodotto, quella che ritroviamo nelle nostre spedizioni non si avvicina neanche lontanamente all’ammontare che secondo i nostri calcoli dovrebbe essere finito in mare. Può darsi che molta si perda in fondo agli oceani, dove non abbiamo la possibilità di osservarla”. Vogliamo riflettere sul fatto che questi numeri tengono conto solo di una parte della realtà? Questo significa che i dati reali potrebbero essere ancora più catastrofici per l’ambiente e l’ecosistema marino.
Se le aziende producessero più scatole e involucri riciclabili il problema avrebbe un impatto minore. La gravità della situazione non pare abbia stupito i ricercatori, perché il mar Mediterraneo è un mare sostanzialmente chiuso, che può mantenere tra le sue braccia i residui anche per mille anni. Dalla ricerca è emerso che la plastica è distribuita in modo e in quantità non omogenei: “Le ragioni della disomogeneità distributiva dipendono dalle diverse sorgenti di rifiuti, che possono essere le aree densamente abitate lungo la costa, i fiumi e i processi di trasporto marino tipici di un bacino.” Dal quadro che emerge non abbiamo tanto di cui vantarci; chi l’avrebbe mai detto che oltre le nostre splendide coste si naviga in un mare di plastica invisibile?

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Un Natale con i detenuti per il Vescovo d’Ogliastra

di Claudia Carta.
Mons. Antonello Mura ha celebrato la Messa dentro il carcere San Daniele.
I riti sono stati accompagnati dai canti della corale Divinae Gratiae.

…e vieni in una grotta al freddo e al gelo”. La povertà e l’umiltà di un Bambino che nasce. Vita e luce. Ma non è la capanna di Betlemme. È l’angusto spazio di una cella del carcere.
Casa circondariale San Daniele, a Lanusei. 25 Dicembre. Viale Europa è inghiottita dall’azzurro intenso del cielo freddo. Alle sue spalle, le campane del Santuario Madonna d’Ogliastra suonano a distesa.
Natale. Difficile per i 36 ospiti dell’ex convento francescano settecentesco, trasformato in istituto detentivo. Difficile vivere la festa. Difficile, oltre le sbarre, vedere la speranza. Difficile, ma non impossibile.
Ore 10.30. Qualcuno a portare l’invito alla fiducia, c’è. È Antonello Mura, vescovo della diocesi di Lanusei che ha deciso di trascorrere il Natale con i detenuti del San Daniele. Perché il senso del Natale nasce qui, tra gli ultimi, tra i fragili, tra chi ha bisogno di perdono.
Una cerimonia intensa, ricca di momenti significativi, a tratti commovente. Accanto a Mura, la quasi totalità dei detenuti ospitati presso la struttura, il cappellano del carcere, Padre Manolo Venturino dei Cappuccini, il comandante della Polizia penitenziaria, le guardie in turno e alcuni volontari facenti parte del centro di ascolto attivato dalla diocesi stessa, tramite la Caritas.
Una celebrazione eucaristica che ha scaldato i cuori dei presenti, anche grazie alle note dei canti tradizionali natalizi, eseguiti dalla corale Divinae Gratiae guidata dal maestro Tonino Loddo.
Nel giorno di Natale, la “Buona notizia”, quella del Vangelo portata dal vescovo, è la notizia di un Dio che non smentisce il suo amore neanche quando la fragilità e il male minano e feriscono la nostra umanità: «Sentitevi non giudicati, ma amati, soprattutto sentitevi figli di un Dio che continua a dirci, nonostante tutto: tu sei mio figlio!».
Sui volti dei detenuti infinite storie. Drammi e ferite. Ma per tutti esiste sempre un’altra possibilità: «Nel Bambino Gesù – ha aggiunto Mura – noi vediamo che la nostra vita si può continuamente rinnovare e che è sempre chiamata a rinascere. Dio è con noi ogni volta che, con il suo aiuto, riprendiamo in mano la nostra vita, perché assomigli a quella che egli stesso ci vuole donare».
Natale. Il segno dei doni. Quello del vescovo ai suoi fratelli detenuti è fatto di fogli per scrivere, buste da spedire, francobolli, penne, per «riaffermare uno sguardo che va oltre le mura del carcere e si apre anche con la corrispondenza a volti e situazioni che sono care».
Gli ospiti del penitenziario, invece, hanno donato al vescovo un tavolino con intarsiato una scacchiera per gli scacchi, costruito da chi frequenta il laboratorio di falegnameria attivato anch’esso dalla diocesi. Attimi di profonda emozione sottolineati anche dalle parole di saluto e di ringraziamento da parte di un detenuto e del comandante.
Gesù Bambino è nato anche al San Daniele di Lanusei.

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Gli auguri agli ammalati: il Vescovo al Nostra Signora della Mercede di Lanusei

Natale in corsia. Sarà Natale anche per chi soffre, per chi combatte contro la malattia, per chi ha perso la speranza e per chi è solo.
Antonello Mura, vescovo di Lanusei, a partire dalle 16 di questo pomeriggio, passerà fra gli ammalati ricoverati presso l’ospedale Nostra Signora della Mercede per portare, ancora una volta, un messaggio di pace e fiducia, per riservare a tutti una parola di conforto, per incoraggiare ad andare avanti, guardando al Bimbo che nasce in povertà, al freddo e al gelo.
E sarà Natale anche per tanti medici e infermieri, per il personale ausiliario che trascorrerà la Notte santa a lenire il dolore: un servizio, un’opera di misericordia, prima ancora che un lavoro.
Una vigilia di Natale che ha il sapore della vicinanza e della condivisione, soprattutto nel momento del dolore. Perché sia davvero Natale.