Fatti
La Settimana Sociale aiuti a ripensare allo sviluppo dell’Isola
di Mario Girau.
Concretezza, rilancio della questione giovanile, nuovo protagonismo dei cattolici capaci di discernimento. Sono questi i tre «regali» della 48esima edizione delle «Settimane sociali», in programma a Cagliari dal 26 al 29 ottobre prossimi, attesi dai sindacalisti e direttori dei giornali diocesani. Sale la febbre nelle Chiese sarde − responsabili della pastorale sociale e del lavoro in primis − in vista di un appuntamento che dovrà «lasciare il segno» in Sardegna. Il pericolo reale è che l’evento scivoli via, non incida nelle Chiese locali senza promuovere un nuovo protagonismo sociale dei cattolici.
«Il paese − dice Ignazio Ganga, segretario generale della Cisl sarda − ha bisogno di cattolici impegnati nei processi di confronto democratico, capaci di discernimento e quindi in grado di offrire contributi originali. Questo potrà accadere solo se i laici cattolici staranno sulla frontiera e non si attarderanno su posizioni antiche, superate, spesso difensive. La Settimana sociale cagliaritana deve diventare occasione irripetibile per ripensare i nostri modelli di sviluppo, con lo stile della speranza e delle capacità di capire, oggi, il futuro».
Tonino Loddo, ex parlamentare, direttore de «L’Ogliastra», il mensile della diocesi di Lanusei, pensa alle ricadute interne della Settimana sociale. «Mi aspetto − dice − che le tematiche isolane possano avere una risonanza nazionale, soprattutto il problema dello spopolamento, causa ed effetto della crisi del lavoro, sottovalutato per tanto tempo fino a diventare, oggi, un’emergenza sociale. Il problema demografico non si risolve con una legge, ma esige riforme e sinergie di lungo respiro, con risultati che si realizzano soltanto dopo anni. Ecco perché ogni mese che passa è un ritardo grave nella lotta contro lo spopolamento».
«La “quattro giorni” cagliaritana, che sarà incentrata sul lavoro con un’attenzione speciale ai giovani, deve far arrivare alla classe di governo − secondo Giacomo Meloni, segretario generale della Confederazione sindacale sarda − un messaggio politico forte e inequivocabile. Se non si aprono prospettive nuove di attenzione verso i giovani, i loro problemi e la voglia legittima di diventare protagonisti, gli under 35 se ne andranno dalla Sardegna, come già accade con drammatica attualità. Se si investe su agroindustria, alimentare, cultura e turismo di massa il lavoro arriverà e, con l’occupazione, rientreranno i giovani, che vanno via perché sfiduciati dal disinteresse che vedono intorno al loro ruolo».
Giampaolo Atzei, direttore del settimanale diocesano «Sulcisiglesiente oggi», auspica concretezza. «Mi auguro − dice Atzei − che, soprattutto dai discorsi e dalle riflessioni della Settimana sociale, scaturiscano buone pratiche da applicare sul campo. Di questa esigenza si è parlato anche al convegno di Firenze, ma con poco successo. Nel nostro territorio abbiamo fatto il possibile per sensibilizzare le persone, attraverso i laboratori locali, discutendo sull’ambiente, la crisi e la riconversione industriale. L’impressione è che siamo fermi all’analisi dell’esistente, dobbiamo portare a casa risultati. Abbiamo interessanti esperienze lavorative che dovrebbero essere maggiormente sostenute. Il problema della fabbrica delle bombe è l’icona della distanza che esiste tra la concretezza e gli ideali di riferimento».
Don Petronio Floris dirige «Nuovo Cammino», quindicinale della diocesi di Ales-Terralba sempre molto attento alle problematiche del lavoro. «Nella nostra diocesi − dice don Petronio Floris − le percentuali della disoccupazione raggiungono livelli preoccupanti e qualche zona del nostro territorio veste la “maglia nera” nazionale della povertà. Dalla Settimana sociale cagliaritana ci aspettiamo una riflessione sulle tematiche del Sud, del Meridione, della nostra Sardegna. Una cosa è certa: da soli molti territori e regioni non possono farcela. Cagliari e la Sardegna non possono essere solamente sede logistica di un grande evento, la cui validità dipenderà dalla capacità di proporre uno o più progetti nazionali per rilanciare il lavoro, soprattutto giovanile, e di aiutare il Paese a uscire dall’emergenza e a colmare il divario tra Nord e Sud dell’Italia».
© Il Portico
Lèggere
di Fabiana Carta.
Sono ormai tantissimi gli studi che dimostrano quali preziosi effetti la lettura sia in grado di esercitare sulla mente, non solo intesa come luogo dei sentimenti e delle emozioni, ma anche come luogo fisico: sono tante le aree del cervello che attraverso la lettura di libri si accendono, fino a modificare la propria struttura. Insomma, leggere fa bene e i libri sono una fonte inesauribile di benessere al punto che, specialmente nel mondo anglosassone, si sta diffondendo quella che può a tutti gli effetti essere definita biblioterapia, ovvero la cura della mente attraverso i libri…
Possiamo passeggiare lungo il London Bridge avvolti nella nebbia aiutando un certo Sherlock a risolvere un caso, partecipare alle avventure dei tre moschettieri nella Francia di Luigi XIII, girare per la Spagna insieme a Don Chischotte e Sancho Panza, contribuire alla affascinante conversazione fra Lord Alfred e Dorian Gray, possiamo persino andare sulla luna insieme ad Orlando e discendere agli inferi in compagnia di Dante. Possiamo partire per lunghi viaggi, con qualsiasi mezzo: preferite la nave, l’aereo, un cavallo, o una mongolfiera? Umberto Eco, semiologo, filosofo e scrittore, diceva: «Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro».
Leggere un libro significa questo, partecipare alle asperità dei protagonisti dei grandi romanzi, vivere con loro i sentimenti, la perdita di un amore, la rabbia, la vendetta, la gioia, una battaglia. Tutto questo dal nostro salotto, durante una pausa in ufficio o sotto l’ombrellone. Leggere non è solo evasione…
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Puoi leggere l’articolo integrale su L’Ogliastra, periodico in abbonamento della Diocesi di Lanusei.
“Papaveri e Papere”: il regno dei bambini è a Lotzorai
di Claudia Carta.
Ore 6.30. Quando Davide Puddu apre la saracinesca del suo chiosco, sulla spiaggia di Tancau, a Lotzorai, la meraviglia che ha davanti agli occhi è infinita quanto la distesa del mare azzurro. L’orizzonte ha già salutato il nuovo sole. Spiaggia ancora deserta e silenziosa. Appena il sibilo di un’onda leggera che accarezza il bagnasciuga, mentre il cielo terso annuncia l’estate. E poi tutta la maestosità dell’Isolotto d’Ogliastra. Quarantasette metri di bellezza che affiorano dall’acqua, regno di gabbiani reali, di olivastri ed euforbie.
«È un vero paradiso – commenta guardando il suo mare – quello che la natura ci ha riservato e mi sento davvero fortunato ad avere la possibilità di ammirare ogni giorno questo spettacolo».
Spettacolo che, da tredici anni, si ripete per lui immutato eppure sempre così nuovo e suggestivo. Uno spicchio di terra che il giovane imprenditore lotzoraese ha saputo strappare a sterpaglie, canne e pietre e farne un piccolo paradiso per tutti i bambini. Il nome? Da favola. “Papaveri e Papere”.
E seppure non risuoni l’allegro e melodico motivetto di Nilla Pizzi, a raccontare storie di altri tempi nate “su un campo di grano che dirvi non so”, né si vedano “degli alti papaveri al sole brillar”, una cosa è certa: non c’è bambino che, passando di qui, non si incanti a guardare questo angolo di mondo fatato. Perché quello inventato da Davide è proprio un regno magico, fatto di giochi, di colori, gonfiabili e scivoli, altalene e bruco-mela, piscine e castelli.
«L’idea è nata molto semplicemente – racconta seduto al tavolino del suo chiosco – perché il progetto del parco giochi mi piaceva. Nasce così anche il bar. Certo, tante cose sono cambiate in 13 anni. Tante cose sono state fatte, infinite ne restano ancora da fare. Ma non si può pretendere di fare tutto a 25 anni. È stata un po’ una sfida, una scommessa. Anche un rischio, direi. L’alternativa sarebbe stata partire, cercare lavoro altrove. Invece son riuscito a restare qui, dove sono nato e cresciuto. Questo è importante».
E adesso che di anni ne ha 38, guarda ciò che ha realizzato con gli occhi di chi si sente appena all’inizio, di chi è consapevole che ogni passo avanti è frutto di sacrificio e di lavoro, ben sapendo che la difficoltà e l’imprevisto sono sempre dietro l’angolo, che occorre far quadrare i conti e che, soli, non si va da nessuna parte. La fatica è condivisa da chi lo segue ogni giorno. E la famiglia diventa il suo punto di riferimento imprescindibile. Monica, la sua sposa. Alessandro e Leonardo, rispettivamente di 6 anni e 6 mesi, la gioia della sua vita.
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I luoghi dell’anima
di Alessandra Secci.
I luoghi dell’anima sono molto spesso gli stessi in cui le comunità di una volta si ritrovavano a festeggiare il santo più venerato, ubicato in luoghi la cui difficoltà di accesso può essere agevolmente inserita in un’ ideale replica del cammino di espiazione, di introspezione, di riflessione.
Nell’era dei social media e delle condivisioni in tempo reale, dei ritmi forsennati dettati dal lavoro, dalla frenesia e dagli obblighi del quotidiano, sempre più ci si sofferma sull’importanza e sul valore del tempo: un concetto molto astratto, ma perfettamente inscrivibile nella dimensione personale che ognuno di noi dà ad esso. Per Proust quella del tempo perduto era una ricerca che dava luogo ad un risultato circolare, un moto continuo che trovava vigore anche nel supporto fornito dagli importantissimi elementi del ricordo e della rievocazione; un profumo, un suono, un luogo potevano condurre il protagonista, Charles, a degli autentici quanto involontari flashback in cui poter recuperare quel frammento di vita e nuovamente riassaporarlo, con una diversa cognizione, un nuovo sapore, come appunto le madeleines del romanzo. Per ripercorrere questo trascorso, a volte può risultare appunto sufficiente ascoltare una canzone della nostra infanzia, rivedere il cartone animato o il film preferito, replicare il piatto della nonna, (ri)visitare un luogo con delle caratteristiche e delle peculiarità atte a predisporre i sensi al relax e ad un’ intima riflessione.
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Don Gian Franco Saba nuovo Arcivescovo di Sassari
Alle ore 12.00 di questa mattina è stato annunciato il nome del nuovo Arcivescovo di Sassari. Si tratta di don Gian Franco Saba nato il 20 settembre 1968 a Olbia, in provincia di Sassari, nella diocesi di Tempio-Ampurias. Concluso il percorso del Seminario Minore diocesano, ha proseguito la sua formazione al sacerdozio per un biennio presso il Seminario Regionale Umbro e l’Istituto Teologico di Assisi e poi presso il Pontificio Seminario Regionale Sardo di Cagliari, conseguendo il Baccalaureato in Teologia presso la Facoltà Teologica della Sardegna.don Gianfranco Saba
Ha proseguito gli studi per la specializzazione presso l’Istituto Patristico Augustinianum di Roma, ove ha ottenuto la Licenza in Teologia e Scienze Patristiche, il Diploma in Scienze Patristiche per la ricerca e la docenza ed infine il Dottorato nella stessa disciplina. Ha frequentato, inoltre, l’ISTR dell’IC de Paris per la specializzazione in “Interculturalité Religions et Societé”. Si è iscritto anche al corso di “Sistemi di comunicazione nelle relazioni internazionali” presso la Facoltà di Lettere dell’Università per stranieri di Perugia.
È stato ordinato sacerdote il 23 ottobre 1993 da Mons. Paolo Atzei, incardinandosi nella diocesi di Tempio-Ampurias.
Dopo l’ordinazione sacerdotale è stato Vicerettore e Rettore del Seminario Diocesano, Membro del Consiglio Presbiterale Diocesano e del Collegio dei Consultori. Dal 1998 al 2001 è stato anche Assistente Diocesano dei Giovani di Azione Cattolica e Delegato della Commissione Presbiterale Regionale, Membro della Commissione preparatoria del Sinodo Diocesano; Assistente Diocesano e Regionale del Movimento Ecclesiale d’Impegno Culturale.
Nel 2001 è divenuto Direttore dell’Istituto Diocesano di Scienze Religiose, sviluppandolo nel 2004 in Istituto Euromediterraneo-ISR e quindi in Istituto Superiore di Scienze Religiose riconosciuto dalla Santa Sede. Ha fondato e diretto il progetto editoriale dell’Istituto, la Collana di studi e ricerche di religione e società. Dal 2004 è Docente stabile associato di Teologia Patristica nella Facoltà Teologica della Sardegna.
Nel 2008 è stato nominato Amministratore parrocchiale della parrocchia di Nuchis. Dal 2010 al 2015 è stato Rettore del Pontificio Seminario Regionale Sardo di Cagliari. Dal 2015 è Parroco a Sant’Antonio di Gallura. Nel 2011 è stato nominato Cappellano di Sua Santità. Ha prodotto numerose pubblicazioni degne di nota e contributi scientifici apparsi su riviste specializzate.
Articolo tratto dal sito della Diocesi di Alghero-Bosa
Comunicato dei vescovi sardi
Adempimenti relativi all’istituzione dei due Tribunali Ecclesiastici Interdiocesani, l’annosa questione dei trasporti in Sardegna, presentazione dell’indagine sulla catechesi in Sardegna, possibili accorpamenti degli Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero,