Fatti
Solidarietà virale
di Augusta Cabras.
La coesione di un popolo si vede nei momenti di maggiore difficoltà e in questo momento storico il nostro territorio ha dimostrato ancora una volta di essere abitato da persone generose, pronte a mettersi a servizio di chi ha più bisogno
È bastato il tempo di incassare il colpo sferrato dall’arrivo della pandemia, di riprendere la rotta dopo un momento di disorientamento e di forte incertezza e in quasi tutte le comunità della nostra diocesi si sono espresse, e ancora si esprimono, le migliori energie, travolte dal virus della solidarietà, messa in pratica con slancio e concretezza.
Da Triei a Villagrande, da Ilbono a Tortolì, passando per Baunei fino a Tertenia e Villaputzu. Si tratta di iniziative del singolo, ma più spesso promosse da gruppi spontanei, solo in alcuni casi sollecitati e coordinati dalle amministrazioni e dagli uffici comunali. Sono gruppi che si sono resi disponibili per svolgere azioni semplici ma straordinariamente utili in una situazione così complessa, come fare la spesa o acquistare i medicinali e consegnare tutto nel domicilio delle persone sole, esprimendo vicinanza e aiutando a tenere a bada la paura sentita in particolare dagli anziani e dai bambini. Proprio a questi ultimi ha pensato un cittadino di Triei che, in occasione della Pasqua, ha donato uova di cioccolato ai bambini del paese con il pensiero e l’obiettivo di rendere più dolce questo tempo amaro. E come sempre capita, le buone azioni ne generano altre e sempre più persone si sono unite per l’iniziativa, sposandone l’idea.
Ci sono poi i comitati che, nati per organizzare i festeggiamenti in onore di un Santo, in questo periodo hanno scelto di incontrarsi virtualmente, di fare una raccolta fondi e di donare quanto raccolto all’Ospedale di Lanusei per fronteggiare con maggiori mezzi e strumenti l’emergenza sanitaria.
Le associazioni di assistenza pubblica, che non si sono mai fermate, in molti casi hanno fatto da collettore tra privati, imprese e volontari, rispondendo via via alle esigenze specifiche nate nel mezzo della pandemia: essere presenti e vicini alle persone sole da sempre o perché costrette dalla quarantena e fornire al maggior numero di persone i dispositivi di protezione individuale, mascherine in particolare. E così, il passaparola, sempre virtuale e a distanza, contagia di energia e creatività. Gruppi di sarte professioniste o semplici appassionate di ago e filo danno inizio alla produzione artigianale rispondendo a una richiesta sempre maggiore. Non è mancato neppure chi, rimanendo nel più assoluto anonimato, ha fatto trovare scorte di viveri alle famiglie più bisognose del paese, chi nel ricordo di una parente defunta – in un momento in cui la vicinanza dei propri cari è negata – ha iniziato una raccolta fondi destinata al presidio medico di Lanusei, coinvolgendo un gran numero di persone o chi, emigrato ma con la Sardegna del cuore, ha fatto giungere nell’isola gratuitamente, i dispositivi di protezione individuali.
Sono tutti grandi e piccoli gesti che diventano segni di attenzione e di condivisione. Perché come ha detto Papa Francesco nella sera del 27 marzo, in una piazza San Pietro gremita di solitudine e speranza e il cui ricordo rimarrà indelebile nella nostra mente e nelle parole di chi scriverà la storia, «Siamo tutti nella stessa barca. […] Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. […] Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ego sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli».
È il riconoscimento della nostra umanità pregna di fragilità che nel momento del dolore, della paura, quando tutto diventa precario, quando il rischio della morte si fa reale, scopre e riscopre la possibilità di gettare ponti, di tendere le mani e gli orecchi per ascoltare e accogliere il grido del bisognoso a cui non si può e non si deve rimanere indifferenti.
C’è da chiedersi se da questa esperienza impareremo qualcosa, se il dolore di prima o seconda mano, quello vissuto o solo intuito possa far rifiorire la nostra umanità. C’è da chiedersi se la spontaneità dei gesti di solidarietà germogliati in questo tempo potranno essere coltivati con la stessa passione nelle nostre comunità, quotidianamente, per rispondere alle richieste d’aiuto presenti anche in momenti in cui la pandemia sarà un brutto ricordo. Ma questo ora non è dato saperlo. Tutto dipenderà da ciascuno di noi, dipenderà da quanto siamo disposti a lasciarci coinvolgere dallo spirito di carità e da quanto sapremo farci testimoni del messaggio cristiano. Prima che una sfida comunitaria, questa è forse una sfida personale che inevitabilmente si rifletterà con luce luminosa o come ombra sugli altri e sulla storia.
Si dice da più parti che nulla sarà più come prima. Forse sarà realmente così. In ogni caso possiamo scegliere se mettere a frutto quello che abbiamo imparato sulla nostra e sull’altrui umanità oppure possiamo archiviare quello che abbiamo vissuto come un fatto storico e personale, al massimo da ricordare e raccontare ai posteri.
Lezioni? Sì, ma che gran confusione!
di Gaia Argiolas.
IV Alberghiero
Accoglienza turistica
Reti sovraffollate, comunicazioni estremamente lente, mancanza di segnale specie nei centri dell’interno. Si prova a farla, questa didattica a distanza, ma il sistema è ancora particolarmente inadeguato e palesa tutte le sue difficoltà. La scuola 4.0, insomma, resta per certi versi ancora un miraggio. Ce lo racconta Gaia, studentessa di Ilbono all’alberghiero di Tortolì, alle prese ogni giorno con le bizze di piattaforme e web
È dalla fine di dicembre che il Covid 19, o se preferite, il Coronavirus sta terrorizzando il mondo. Da quando un medico cinese, creduto da nessuno, lo ha denunciato e ne ha diffuso la notizia. Risultato: pericolosità completamente sottovalutata e rapidità di contagio inquietante. Egli stesso, dopo esserne stato contagiato, è deceduto. Da lì a poco l’epidemia si è diffusa così rapidamente da evolversi in pandemia, colpendo gravemente anche la nostra nazione con un elevatissimo numero di contagi e decessi che sono purtroppo diventati la cronaca costante dei nostri giorni.
Una crisi globale dalla quale anche la scuola non ne è uscita indenne: sospensione delle attività didattiche fino al 15 marzo, prorogata successivamente sino al 3 aprile, poi fino al 13, ma già si intravedono all’orizzonte ulteriori proroghe, con il rischio che non si possa affatto rientrare in classe almeno fino a quando non cesserà lo stato di emergenza.
In seguito a questa decisione, nei giorni successivi è iniziata una corsa, da parte dei professori, sulle varie piattaforme per attivare la cosiddetta “didattica a distanza”, nella confusione più totale. All’Istituto Alberghiero di Tortolì, dove io frequento la classe 4° Accoglienza turistica, fino al periodo precedente la quarantena abbiamo utilizzato quotidianamente il registro elettronico per annotare gli argomenti delle lezioni e anche per accedere alle slides caricate dai docenti. Oggi stiamo utilizzando le stesse modalità per scaricare e ricaricare i compiti che ci vengono assegnati, ma la rete è satura dall’eccessivo traffico dovuto al fatto che tutti gli studenti utilizzano le stesse piattaforme e vi accedono simultaneamente.
Noi come scuola le abbiamo sperimentate tutte: dalla ricezione delle consegne via mail al rinvio delle stesse, all’utilizzo di Whatsapp (che si è rivelato il canale più immediato e funzionale). Stiamo incontrando delle grosse difficoltà anche perché prima d’ora non avevamo mai lavorato con queste modalità. I docenti, dal canto loro, hanno cercato di attivarsi anche con le video lezioni, ma purtroppo si sono dovuti scontrare con la scarsa velocità e capillarità delle connessioni che compromette la qualità delle immagini e dell’audio. Ciò rende difficoltosa, se non addirittura impossibile, la fruizione dei contenuti da parte di alcuni studenti che, di conseguenza, non ritengono questo metodo di insegnamento alla pari di quello che si impartisce in aula, ragion per cui incomprensioni e difficoltà nello svolgimento degli elaborati sono assai maggiori. Ecco perché, per avere chiarimenti ulteriori e mirati, abbiamo creato dei gruppi Whatsapp con i professori, ai quali possiamo chiedere qualsiasi informazione seguendo l’orario scolastico. Le valutazioni si basano sui lavori che svolgiamo a casa e che inviamo tramite mail oppure grazie alla funzione upload del registro.
Come i docenti, anche noi studenti stiamo cercando di dare il massimo, ma è il dibattito e il confronto quotidiano quello che viene a mancare. Non avrei mai pensato di dirlo, eppure, in questa situazione così surreale, mi manca la scuola e la classica lezione dei professori!
I preadolescenti e la vertigine del cambiamento
di Augusta Cabras.
Mutanti, abitanti della “terra di mezzo”, ragazzi sospesi, catapultati nel mezzo di una tempesta che li vede protagonisti di un cambiamento personale epocale
Sono i preadolescenti, i non-più-bambini e i non-ancora-ragazzi, quelli che attraversano l’età compresa tra gli 11 e i 14 anni. Esseri meravigliosi e spaventosi, portatori di un’energia straordinaria mista a incertezza, ricchi di passioni e desideri, decisi, determinati e capaci di trovarsi nell’attimo seguente disorientati e privi di ogni stimolo.
È la vertigine della trasformazione, l’oscillare continuo tra quello che ero fino a ieri e quello che sarò domani. Ma cosa avviene in loro, in particolare a livello psicologico e che ruolo ha l’adulto in questa fase? Lo chiedo ad Antonino Schilirò, Psicologo clinico e Psicoterapeuta di grande esperienza. «Nel preadolescente il corpo infantile diventa altro, cerca prepotentemente altre identità non ancora chiare; cambiano i sentimenti, le emozioni, le relazioni e, da un punto di vista psicologico, si avvicendano repentini cambiamenti d’umore, conflitti interiori, comportamenti che gli adulti faticano a comprendere e a gestire, in un crescendo di incomprensioni e maldestre riparazioni. I genitori – spiega ancora Schilirò – in questo tempo devono fare semplicemente i genitori. La presenza rassicurante, l’attenzione ai bisogni insita nella relazione genitori-figli rappresentano i necessari presupposti per accompagnare i ragazzi a tollerare i primi richiami al rispetto delle regole da parte degli adulti di riferimento. Le espressioni di disagio, a volte urlate, spesso grida inascoltate, richiamano a non essere lasciati soli nell’elaborazione del lutto, di ciò che non potrà più essere e della paura, carica di angoscia, di ciò che ancora non è. I genitori devono essere presenti nella loro funzione regolatrice e nella loro presenza attiva, pronti a cogliere e valorizzare istanze di crescita, ma anche a gestire inevitabili conflitti, mantenendo fermo il ruolo autorevole di chi deve governare i tumulti».
Governare i tumulti, essere faro nella tempesta, garantire l’appiglio sicuro nel disorientamento, sorreggere l’abisso e accogliere gli slanci più alti e costruttivi:è questo il compito arduo dell’adulto. Negare queste sicurezze ai preadolescenti significa lasciarli in balia dello tsunami che li attraversa rischiando di fare loro un danno enorme. Ma quali sono concretamente i rischi che i preadolescenti possono correre se non adeguatamente sostenuti e amati? «I rischi sono tanti e di diversa natura – fa notare lo psicoterapeuta – in linea con gli aspetti dirompenti delle loro azioni. I preadolescenti sfidano apertamente il sistema delle relazioni familiari e sociali fin qui conosciute; è in questo stadio di sviluppo, tuttavia, che cercano prepotentemente di affermare lo strutturarsi della propria personalità e autonomia. Nuovi bisogni e desideri, compresi quelli della sfera sessuale, ancora molto confusi, sconosciuti, spingono verso la soddisfazione immediata, da condividere con i pari, spesso senza rete e confini, dando inizio a esperienze ad alto rischio di devianza. I processi evolutivi, nella maggioranza dei casi, vengono vissuti normalmente; esistono, tuttavia, fattori di rischio che li possono far degenerare, soprattutto in contesti familiari marginalizzati e deprivati culturalmente ed economicamente». E aggiunge: «In questi casi la presenza di istituzioni sociali e culturali, di adulti che sappiano guidare, indirizzare, supportare i ragazzi, a casa come a scuola, è di fondamentale importanza. I circuiti attrattivi legati al consumo di droghe, alcolici, al gioco d’azzardo informatico, all’uso improprio di Internet e dei social, sono pericolosamente diffusi e facilmente accessibili alle giovani generazioni. Vengono alla ribalta nuovi modi di umiliare e aggredire i coetanei; si aggravano fenomeni di violenza divulgata in rete (cyberbullismo). Osserviamo sempre di più, associati all’abuso di droghe e alcoolici, nuove forme di disturbi dell’umore e derive autolesionistiche».
In questo tempo di grandi cambiamenti, mentre mutano i preadolescenti, una trasformazione continua attraversa anche il mondo degli adulti che fino a qualche decennio fa pareva essere stabile, normativo, autoritario ed autorevole. «Negli ultimi trent’anni – dice – la nostra vita è stata attraversata da cambiamenti epocali. È cambiata la famiglia, la scuola, i centri di aggregazione e di incontro tra generazioni; è cambiata la comunicazione e i mezzi attraverso cui si dirama, è mutato il clima nei rapporti affettivi, negli stili e nella qualità della vita; spesso viene a mancare l’adulto che contiene, orienta, supporta, indirizza e aiuta a rielaborare. I ragazzi, talvolta, sono lasciati soli davanti agli svariati monitor o assediati da miriadi di stimoli che stordiscono, confondono, fuorviano e disorientano. L’autorità regolatrice, funzione un tempo rivestita dal padre, è evaporata risultando assente nel suo doppio ruolo protettivo e normativo. I preadolescenti oggi sono il riflesso dei mutamenti intervenuti e della evanescenza delle nostre presenze, delle nostre sottovalutazioni e delle mancate assunzioni di responsabilità. Loro, sempre più soli, già disorientati e in crisi, osservano gli adulti e non trovano risposte adeguate alle loro difficoltà, chiedendosi sconsolati quali siano i corretti confini».Tutto è più liquido in questo tempo, tutto è più evanescente. Forse l’uso e l’abuso della tecnologia aumenta questa dimensione e forse marca in modo più profondo il confine tra genitori e figli. «La tecnologia –ribadisce –, se ben usata e regolamentata, non può né deve rappresentare un problema. Le figure educative hanno una funzione di guida e conoscenza, di positiva e costruttiva gestione degli strumenti informatici. Regolamentare tempi, modi e accessi, farlo insieme, in totale sicurezza, è il modo migliore per condividere approcci, tecniche e modalità di comunicazione. È importante aprirsi con intelligenza al nuovo che avanza, ponendo al centro dei propri interessi il confronto e l’esperienza reale tra persone e tra queste e le proprie comunità di vita. Urge comunque l’attivazione, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, di percorsi di educazione digitale da estendere, a cura dei comuni, anche ai genitori».
È un tempo speciale la preadolescenza, un tempo bisognoso d’amore.
Stagione turistica: parola d’ordine “resistere”!
di Fabiana Carta.
Chi ha una struttura ricettiva o lavora nel settore turistico rimane sconcertato da quanto sta accadendo. I numeri dicono di una stagione che mai ci sarà. Ma c’è chi guarda avanti, pronto a reagire e a ricominciare
Hanno tutta la speranza e lo sguardo positivo della giovinezza. Loro sono Antonio e Stefania Carta, due fratelli rispettivamente di 36 e 31 anni, che da qualche anno gestiscono l’Hotel ristorante Janas nella marina di Tertenia, un lavoro ereditato dalla famiglia.
Antonio ha alle spalle dieci anni di vita trascorsi in Inghilterra dove è riuscito ad aprire un ristorante e a imparare perfettamente la lingua inglese. Stefania sta per terminare i suoi studi alla Iulm di Milano in Relazioni pubbliche e comunicazione d’impresa. «Il sogno di gestire un albergo come il Janas ci ha permesso di ricongiungere le nostre strade e di ritornare nel nostro paese d’origine. La gratitudine per essere nati in questo angolo di paradiso, l’orgoglio per il nostro lavoro, l’amore per i sapori genuini, la passione per i gusti dimenticati, il credo per i valori profondi sono tutto quello che ci ha ispirato e continuano a ispirarci da sempre».
Due ragazzi con la testa sulla spalle e tanta passione che si ritrovano a navigare in questo mare disperato, in mezzo a un’emergenza globale che sta mettendo a dura prova tutti. La stagione primaverile per le strutture ricettive vale circa il 30% del fatturato totale annuo del turismo e con il passare del tempo pare ormai compromessa: «I primi giorni eravamo preoccupati – spiegano – alternavamo momenti di ottimismo a momenti di sconforto, vedendo anche le cancellazioni che a poco a poco stavano aumentando. Ascoltando i Tg abbiamo realizzato che non si trattava più di una semplice influenza e abbiamo capito che qualcosa di irreversibile stava arrivando, che ogni cosa intorno a noi sarebbe cambiata. Oggi navighiamo a vista e, vedendo il lavoro messo in piedi in anni di sacrifici, non possiamo permetterci momenti di debolezza, anzi mettiamo l’attenzione sulle cose da fare quando ci riprenderemo, sperando che la voglia di tornare alla normalità delle persone sia più forte di ogni cosa».
Su scala mondiale il World Travel & Tourism Council oggi stima una perdita di 50 milioni di posti di lavoro a fronte di un calo della domanda internazionale del 25%, ossia la perdita secca di tre mesi di attività. E siamo solo alle stime di un fenomeno, la cui intensità, diffusione e durata reali restano ancora indefinite.
Ci sono strutture che hanno dovuto licenziare i loro dipendenti. Stefania e Antonio per adesso cercano di confortarli, con forza. «Non perdiamo la speranza e anche a loro diciamo di non perderla, nonostante intorno a noi ci sia il buio più totale e i numeri parlano chiaro. Non possiamo permetterci di essere disfattisti. La differenza la si fa quando resisti a quei periodi in cui sembra che va tutto male e i pensieri brutti prendono il sopravvento: è in quel momento che devi andare dritto verso ciò che vuoi».
Le disdette arrivano, soprattutto per il periodo che va da aprile a giugno, la sensazione di stare andando incontro a una stagione fantasma si fa sempre più chiara. Siamo bombardati da previsioni, statistiche e numeri, ma loro rispondono così: «Prendiamo con le pinze ogni previsione che viene fatta, si dovrebbero basare su uno storico di dati e numeri che non esistono, quindi non ha senso fasciarsi la testa prima di cadere. Cerchiamo di tenerci pronti per il “fischio” d’inizio, perché la partita in gioco sarà sicuramente dura. Le nostre esperienze personali ci insegnano che la vita è fatta per l’80% di come reagisci a quello che succede, la reazione di ognuno di noi non produce effetti nell’immediato, ma aiuta a uscire velocemente fuori dal tunnel».
Parroci webmaster ai tempi di Covid-19
di Giampaolo Matta.
L’evangelizzazione passa dalla Rete e corre sui social. E i sacerdoti non si fanno trovare impreparati
Non v’è dubbio che la Quaresima di quest’anno sia molto particolare. La sospensione da tutto e da tutti, porta anche noi cristiani a pensare che ci manchi il terreno sotto i piedi. Ma è davvero così?
Certamente, anche noi parroci ci siamo reinventati il modo di essere Chiesa, costruendo nuovi canali di evangelizzazione utili e adatti alla situazione contingente. Ci siamo alleati con la tecnologia, se non lo avevamo già fatto. Facebook, YouTube, siti Internet delle parrocchie, Whatsapp sono le piattaforme per eccellenza che consentono di rimanere in comunione spirituale con i fedeli.
La necessità di questo momento, insomma, ci dà modo di essere più autentici con Dio e con i fratelli nella comunità, anche attraverso la tecnologia.
Ho deciso, così, di riorganizzare meglio la pagina Fb della Parrocchia, che oggi è diventata strumento e principale canale di evangelizzazione parrocchiale: in essa vengono pubblicati dei video dove curo un saluto e una breve meditazione sul Vangelo domenicale, oppure si inseriscono alcuni filmati di preghiera, comunicazioni su preghiera e catechesi trasmessi dalle emittenti televisive (in particolare Tv 2000), istruzioni su come mettersi alla presenza di Dio con l’utilizzo di questi strumenti, condivisione di momenti di spiritualità proposti da Papa Francesco e dalla Diocesi di Lanusei.
Personalmente, ritengo che per seguire la santa Messa, il Rosario e altre preghiere, sia preferibile utilizzare la Tv – che propone dei programmi davvero ben fatti –, decidendo di fermarsi e di spegnere anche il telefono. Questo perché Facebook spesso induce alla tentazione di far scorrere post e video uno dietro l’altro, senza dedicare il tempo necessario alle cose di valore.
Altro strumento non meno importante è la messaggistica istantanea di Whatsapp, sia per i contatti diretti con le singole persone che attraverso i “gruppi” con i quali si raggiungono particolari categorie di collaboratori, come ad esempio coro e catechisti. In tal modo, oltre a mantenere dialogo di amicizia, si cerca di mantenere anche le attività, facendo le prove di canto, per esempio, perché il sorriso non manchi! Con il gruppo dei catechisti vi è una più ampia condivisione dell’attività parrocchiale: vi è scambio di opinioni e di modalità di lavoro dei singoli catechisti, i quali proseguono la proposta formativa e mantengono i contatti con i bambini. Recentemente, si è proposta un’attività quaresimale che potesse suscitare la curiosità dei più piccoli, spiegandone i significati: realizzare in ogni casa i tradizionali nenniris che il Giovedì Santo si portano in chiesa, o anche eseguire la lavorazione delle palme. Si indica, inoltre, la proposta di formazione catechistica trasmessa da Tv 2000. Molti genitori hanno accolto il tutto con entusiasmo e i bambini si divertono attraverso queste piccole gocce di spiritualità.
L’Azione Cattolica, infine, mantiene i contatti e prosegue la proposta formativa e di preghiera sia per gli adulti che per i ragazzi, grazie a responsabili ed educatori di settore.
Termino con una nota di rilievo a livello diocesano: il vescovo ha deciso di mantenere, sia pur a distanza, l’appuntamento del ritiro mensile del clero, inviandoci proprio su whatsapp una bellissima meditazione in file audio, che tutti i sacerdoti del clero ogliastrino e nuorese hanno ascoltato nello stesso giorno e alla stessa ora davanti a Gesù Eucaristia esposto sull’altare delle proprie chiese: momento di intensa spiritualità e comunione tra i due presbitèri diocesani e il vescovo.
La radio come piace a te. Radio Studio 101
di Alessandra Secci.
Il meraviglioso acuto di Freddie Mercury sulle note di Radio Ga Ga si staglia sulle curve della SS 125: “Radio, what’s new? Radio, someone still loves you!” («Radio, cosa c’è di nuovo? C’è ancora qualcuno che ti ama!»). Niente di più vero: non solo all’indomani dell’uscita del brano dei Queen (1984), anche oggi le radio, complici le nuove tecnologie smart che consentono di ascoltarle in digitale su qualsiasi dispositivo, pare abbiano conservato quello charme che non teme anni, mode e, appunto, tecniche.
E non sembra temerli nemmeno Radio Studio 101, nata nel lontano 1976, contestualmente a molte altre radio libere che anche in Ogliastra videro un vero e proprio boom.
Incontro Tore Cugudda, sua storica voce, nella sede di via Tirso, dove gli scaffali zeppi di vinili e il loro caratteristico sentore riempiono occhi, naso e anche il cuore.
«Negli anni le cose sono profondamente cambiate: con l’accezione di “libera” sorsero radio praticamente ovunque: Tortolì, Lanusei, Triei (Radio Spazio 1), Loceri (Radio Camilla). Poi la legge Mammì (1990) regolamentò il settore e la quasi totalità di esse scomparve dalle frequenze. Io misi il piede nella vecchia sede di Corso Umberto qualche mese dopo l’apertura: la mattina del 1° luglio condussi Breakfast, il mio primo programma».
Sulle difficoltà della professione, Cugudda spiega: «Essenzialmente, sono sempre rappresentate dagli adempimenti agli obblighi di legge, per quanto alcuni interventi risultino necessari. È un po’ lo stesso discorso che riguarda l’uso delle tecnologie, che sì, agevola il lavoro, ma al contempo rischia di minare il fascino della radio: ad esempio, alla trasmissione dei brani in formato digitale preferisco di gran lunga quella dei vinili, con quel loro caratteristico fruscio di sottofondo. La radio non deve perdere quella sua identità genuina, libera appunto, che ne ha caratterizzato la nascita. Per quello che concerne il pubblico, se ai primordi, con 40 W di potenza ci ascoltavano anche a Sorgono, ora con 400 non riusciamo a varcare il Gennargentu. Lo streaming radio in questo ci dà un grosso aiuto, ma nel complesso abbiamo un pubblico che è sempre stato molto vario: la radio, oltre che libera deve essere aperta, soddisfare tutti i gusti, di tutte le età. Non sarebbero stati elaborati altrimenti programmi come Speciale Cantante (al mattino, una selezione dedicata a un cantautore o a un gruppo), In giro per la Sardegna (rassegna di musica sarda, alle 12), Disco Grammy (proposta tardo pomeridiana di jazz, blues, soul e altri generi) e soprattutto il fortunatissimo Incubo pomeridiano, ideato dal compianto Pierino Boi nei primi anni Ottanta e ancora oggi fiore all’occhiello del palinsesto con le sue celebri dediche e richieste».
E proprio in merito a esse, non resisto e gli chiedo quale sia stato il pezzo più trasmesso in assoluto:«Senza dubbio, Santa Esmeralda (“Please don’t let me be misunderstood)».
E no, il rischio di essere fraintesi(misunderstood) non c’è: prendendo in prestito un suo slogan, è davvero la radio come piace a noi.