Fatti
Voci di un’estate in bilico
di Cinzia Moro.
Tra protocolli e disposizioni da mettere in pratica, con le feste religiose ridimensionate e le sagre paesane che saltano, c’è tanta incertezza fra i numerosi artigiani che durante i mesi estivi producono e vendono i loro manufatti artigianali, guadagnandosi da vivere. In tanti hanno optato per le vendite on line. Molte sono le domande, ma poche risposte in questa stagione estiva surreale
L’estate si è fatta timidamente avanti, richiamandoci a una ripartenza insolita.
L’Ogliastra, meta ambita per viaggiatori di tutto il mondo, paga un prezzo altissimo su tutto il comparto turistico che, com’è noto, non coinvolge le sole strutture ricettive, ma abbraccia gran parte delle attività presenti nel territorio. Tra i tanti, i piccoli artigiani, che dal punto di vista lavorativo vivono appieno il periodo estivo, fatto di sagre e manifestazioni all’aperto. Le gravi perdite economiche provocate dal lockdown e l’impossibilità di ripartire con i ritmi tipici del periodo, hanno portato molti di loro verso innovative o inedite strategie di vendita.
Per Mattia Menghini, del Birrificio d’Ogliastra di Baunei, le sagre rappresentano circa il 50% del lavoro e per far fronte alle criticità, ha rimodulato la commercializzazione delle sue birre, in attesa di potersi riproporre con il suo banco nelle piazze.
Anche i torronai, vivono un’estate in bilico. La famiglia Peddio, presente da trent’anni con i suoi torroni nelle estati di Santa Maria Navarrese, affronta una doppia crisi: a essere compromessa, oltre all’attività di Bastiano, anche quella di suo figlio Paride, organettista. Ma di stare lontani dall’Ogliastra non se ne parla! Perché «Dopo trent’anni – dicono – ci sentiamo parte di Santa Maria anche noi! E persino in questa estate 2020 navighiamo con loro!».
Percorsi alternativi anche per Francesca e Claudio, del Torronificio d’Ogliastra di Triei, i cui piani sono stati stravolti dalla sospensione di feste e sagre. Da fine maggio sono ripartiti con l’appuntamento domenicale nel Bosco di Santa Barbara e con i banchi nei mercati. I due giovani hanno inoltre pensato a una campagna di promozione on line, registrandosi all’app VarioMagazineOgliastra.
Artisti ed espositori hanno deciso di concentrarsi maggiormente sull’e-commerce: come Alessio Cabras, di Santa Maria, che per i suoi gioielli in legno e le sue creazioni firmate Pavelo, ha scelto la vetrina di Instagram, lasciando sempre aperta la porta a un’eventuale mostra espositiva. Claudia Loddo, artista lanuseina, porta avanti la sua passione per la pittura dei sassi, del legno e di oggetti riciclati, caratterizzati dal messaggio Tienimi con te. Lo scorso anno ha partecipato come hobbista ad alcune manifestazioni promosse a Tancau e Lanusei e per l’estate 2020 ha puntato sulle vendite on line, in attesa di conoscere eventuali opportunità di esposizione al pubblico. La baunese d’adozione Mihaela Olaru, realizza borse fatte a mano in tessuto e in sughero, che espone nei mercatini di Santa Maria. «Un’esperienza che, oltre a favorire la collaborazione tra gli hobbisti locali, si conferma come simbolo di accoglienza per tutte le persone che scelgono di trascorrere le loro vacanze nei nostri borghi», sono state le sue parole.
#indueparole. Vite bruciate
di Graziano Canu.
Sette giovani operai morti nel 1945 ad Anela. La contabilità dell’orrore potremmo iniziarla qui, ma se vogliamo andare a tempi più recenti, gli ultimi 40 anni, ecco le stragi di Currraggia nel 1983 (9 morti) e due anni dopo quella di Porto San Paolo (altri cinque morti). Nel 1989 tredici i turisti (compresi un bambino di due anni e uno di 10) uccisi da fiamme e fumo a San Pantaleo. Ma l’elenco delle vittime è lunghissimo e comprende allevatori, forestali, turisti, volontari, interi equipaggi di elicotteri.
Nella lotta ai roghi estivi, nell’isola il contributo di vite umane è stato pesantissimo e anche l’estate appena iniziata si è aperta fra non pochi timori, con gli incendiari subito all’opera: 500 focolai in poco meno di un mese. Le statistiche non lasciano spazio a molti dubbi e dietro gran parte degli incendi, c’è la mano dell’uomo.
Nel mio lavoro ho seguito tante vicende collegate ai roghi estivi. Ho visto piangere chi aveva perso tutto, ho visto greggi incenerite, case crollate, aziende devastate, allevatori e pastori in ginocchio. I sacrifici di una vita ridotti in cenere in poche ore. Ero ragazzino quando dal belvedere della Cattedrale di Nuoro, ho assistito al grande incendio del Monte Ortobene. Quelle fiamme uccisero un uomo, Francesco Catgiu, intento a salvare il suo gregge, devastarono la montagna cantata della Deledda e da Sebastiano Satta e ci sono voluti quasi 50 anni per riavere quel patrimonio boschivo, andato perduto in poche ore.
L’estate 2020 è appena iniziata e già siamo sotto pressione. Sardi dalla memoria corta, incapaci di scrollarsi di dosso questa piaga fatta di cenere e morte. La domanda è sempre la stessa: perché? Cosa spinge questi infami a bruciare la propria terra e (la storia insegna) a rischiare di diventare assassini? L’inasprimento delle pene e i vincoli sui terreni bruciati non sembrano aver prodotto molti risultati. L’apparato antincendio sardo è preso a modello, eppure ogni estate la Sardegna brucia.
Abbiamo fatto molto sull’aspetto repressivo, ma quanto su quello della prevenzione? Probabilmente ha ragione chi insiste a indicare la necessità di lavorare ancor di più per far crescere quella ”cultura del bosco”, e della tutela del patrimonio ambientale, inteso come bene imprescindibile che appartiene alla collettività e ne assicura la sopravvivenza. Salvare la natura per salvare noi stessi, perché, come diceva Mario Rigoni Stern: «L‘uomo che distrugge e cementifica il territorio recide le radici del futuro».
8×1000: molto più che numeri
di Augusta Cabras.
La mappa dei progetti realizzati con l’8xmille, anche nella nostra Diocesi, si arricchisce sempre di più. Nessuna cattedrale nel deserto o progetto che non sia radicato nel territorio e risponda alle sue molteplici esigenze, soprattutto in questo tempo precario e difficile. Anzi, proprio in questo tempo segnato anche dall’emergenza sanitaria, ogni servizio, implementato e sviluppato grazie ai suddetti fondi ha rivestito un’importanza straordinaria.
Parliamo delle iniziative in capo alla Caritas Diocesana: il servizio mensa, con la consegna dei pasti a domicilio e del pacco con gli alimenti, la possibilità di una doccia calda e la disponibilità di alloggi temporanei per famiglie in estrema difficoltà e senza dimora. «Non potevamo lasciare soli i nostri fratelli e sorelle più fragili, neanche in questa fase – spiega il direttore della Caritas, don Giorgio Cabras –. Anzi. Abbiamo trovato dei modi nuovi di stare vicino a loro, soprattutto durante la pandemia e nel rispetto delle disposizioni del Governo».
Pasti caldi e alloggi, quindi, ma non solo. La vicinanza, un sorriso, la cura e la pre-occupazione sono stati e sono i punti fermi su cui poggia l’operato dei volontari Caritas, che proprio con la prossimità alle persone più deboli ha svolto un importante compito di monitoraggio costante delle situazioni più complesse intercettando nuove povertà, come quella sanitaria. Da qui ha rinforzato il servizio di accompagnamento delle persone sole e ammalate, nei luoghi di cura, ha garantito il collegamento tra questi e il personale sanitario, accompagnando i ricoveri quando necessario, e garantendo la sorveglianza sanitaria. Piccoli gesti determinanti per migliorare e in alcuni casi salvare una vita. È capitato. Capita quando l’attenzione è alta e il servizio è una missione. Lo dice bene un volontario, Franco Demurtas. «Dio mi ha scelto, Lui mi tiene in salute per aiutare il prossimo».
Chilometri su chilometri, insieme alle persone che necessitano di raggiungere medici e ospedali per potersi curare; un dialogo continuo fatto di parole, dette e non dette, di sguardi e di lacrime di gratitudine. Ci si accorge che sono le persone a fare la differenza, sempre. E che dietro ogni persona c’è una storia, importante, da ascoltare e da accogliere. Anziani, ammalati, giovani senza speranza, carcerati in attesa di libertà. È anche a loro che la Caritas guarda con attenzione. Anche per loro sono tante le forme d’aiuto, garantite dal lavoro volontario, ma anche da risorse economiche per rispondere a necessità primarie, come quella del vestiario, dell’acquisto di occhiali, di carta, busta da lettera e francobolli, di tutto quanto serve a restituire dignità a persone che vivono in un tempo sospeso.
Grazie ai fondi 8xmille, continua anche il progetto Insieme il cui fulcro è sempre la famiglia accolta, ascoltata, aiutata e guidata attraverso la messa in opera di interventi specifici e integrati tra loro, come l’inserimento lavorativo in ambito agricolo, l’offerta di servizi sociali, ludici e di socializzazione per minori, sempre nell’ottica di una crescita positiva personale e della comunità. E poi ancora le Chiese e gli oratori, ristrutturati e da ristrutturare, il Centro Famiglia Amoris Letitiae già attivo a Lanusei con diversi servizi: dall’oratorio, al servizio d’ascolto per le coppie e le famiglie e la proposta di momenti di condivisione. Il Centro Interparrocchiale invece è in fase di costruzione a Tortolì; accoglierà un modello di vita sociale comunitaria che investe in ambito educativo a supporto della famiglia e dell’intera società con attenzione alle fasce deboli, a chi vive situazioni di precarietà e disagio. Per portare ancora speranza.
La scuola virtuale fra cucina e salotto
di Valentina Pani.
Tutta una famiglia a scuola. Anna vive a Tertenia con suo marito e cinque figli. Un solo computer e infiniti compiti da fare. Salti mortali e sfide da raccogliere. In questi mesi ha sperimentato tutti i limiti della didattica a distanza. Ma è convinta che possa essere una grande opportunità per un nuovo modo di fare scuola
La storia della didattica a distanza? Inizia così: «Ciao maestra, a domani!»
Un domani che, però, non c’è mai stato e che ancora tarda ad arrivare. Un mondo nuovo tutto da scoprire, fatto di incertezze e paure. Universitari, adolescenti, giovani, bambini, genitori, insegnanti, tutti catapultati improvvisamente dentro una piattaforma. E la scuola diventa automaticamente virtuale a 360°.
Sarà Anna, mamma di cinque figli, a raccontarci come questo modo di concepire e di vivere la scuola sia entrato nella quotidianità della sua famiglia: «Le mie preoccupazioni si sono da subito incentrate sulla paura di non essere all’altezza del compito che avevo davanti – spiega – e dunque di non essere capace di seguire tutti i bambini alle prese con esercizi, consegne, elaborati. Una situazione davvero difficile: ho due bambine che frequentano la primaria, un bambino alla scuola dell’infanzia, due piccoli che girovagano per casa – uno ha 2 anni e l’altra 7 mesi – e infine una sorellina che costantemente richiede il mio supporto e frequenta le scuole medie. Potrei definirla un’esperienza surreale: non sapevo da dove iniziare, con un programma scolastico che mi spaventava tremendamente, una connessione debole, un solo computer in casa. Il tutto così all’improvviso! Nel frattempo, la paura che i miei bambini accumulassero delle lacune prendeva il sopravvento».
Ma si sa, la storia è maestra di vita. E nel corso della storia il primo impatto dell’uomo verso il cambiamento è sempre accompagnato da incertezze, paure, scoraggiamento. Ciononostante, si è non solo adeguato, ma anche evoluto. Una mamma ha il compito di proteggere i suoi cuccioli, combattere per loro, anche a costo di ridimensionare se stessa: niente può fermare l’istinto materno. È stato così anche per Anna: «Devo ammettere che inizialmente le difficoltà erano davvero grosse, anche perché mio marito sta fuori casa per lavoro dalle 4 del mattino fino alle 20: riuscire da sola a tenere i più piccoli lontani dalle sorelle, mentre queste ultime cercavano di trovare la concentrazione, non è stato per niente facile. Gli ambienti della casa sono limitati, i più piccoli avevano bisogno di attenzioni e allo stesso tempo la mia presenza era necessaria come supporto per lo studio delle ragazze. Ma ci siamo adattati, abbiamo organizzato le nostre giornate, inventato attività che coinvolgessero i più piccoli: colori, disegni, lavoretti, tutto per far sì che loro si sentissero grandi, al pari delle sorelle, così che io potessi rivolgere a tutti la mia attenzione».
Altro aspetto: la tecnologia. È innegabile che essa, nel corso degli anni, abbia fatto progressi esorbitanti e oggi consenta di sentirsi vicini anche stando lontani. Ma non è un mondo fatto solo di rose e fiori: delle volte le spine ci sono e sanno pungere bene. Non tutti, infatti, hanno la fortuna di avere un computer in casa, una connessione veloce che possa supportare giornate intere di videolezioni, trasferimento di dati o file di grandi dimensioni in tempi accettabili, o peggio ancora, non tutti hanno la capacità di saperli utilizzare questi grandi strumenti. Insomma, la sfida virtuale della scuola ha richiesto – e tuttora richiede – uno sforzo maggiore: «Mi ritengo davvero fortunata – sottolinea la giovane mamma terteniese – perché ho una buona attitudine all’utilizzo dei mezzi tecnologici, non mi arrendo facilmente, ma mi rendo conto e so per certo che non tutti hanno la mia stessa fortuna, o comunque non è una cosa scontata, nemmeno ai nostri giorni».
Siamo, per dirla tutta, in una sorta di scuola allargata, dove non ci sono più solamente alunni e insegnanti, ma dove anche i genitori costituiscono una parte integrante e fondamentale, una piattaforma che unisce famiglie e scuola in un rapporto stretto che molto probabilmente si stava affievolendo, rischiando di perdersi: «Ho sempre ritenuto la figura del docente essenziale – ribadisce Anna –, soprattutto in questo difficile momento. Un ruolo chiave nella vita di ogni studente, non solo per le nozioni che trasmette ai ragazzi, ma anche per il supporto psicologico ed educativo che sa dare. Si viene a creare, insomma, un rapporto di fiducia tra insegnanti e alunni, soprattutto ora, che i bambini sono stati travolti da novità e paure e che hanno profondamente bisogno di quello sguardo amico, rassicurante e confortevole. Lo leggo negli occhi di Elias – prosegue –: lui frequenta la scuola dell’infanzia, ogni mattina non vede l’ora che arrivi il video della fiaba che l’insegnate ha scelto; un semplice gesto che fa sentire il calore di una presenza anche se lontana».
Insomma, se pur riadattata a diversi livelli d’istruzione, tutti si ritrovano in questa immensa e singolare avventura di scuola virtuale. Anna è un grande supporto anche per la figlia più grande: scuola media, programmi, stili, metodologie differenti. «Nonostante utilizzassimo tutti la stessa piattaforma – dice – ho notato grandi differenze nelle varie fasce scolastiche e tutto è risultato spesso molto confusionale. Alle medie, ad esempio, le videolezioni erano appuntamenti quotidiani. Sarebbe stato bello se questo metodo di lavoro si fosse attuato anche nella fascia della primaria: tutti gli alunni, infatti, hanno un bisogno costante degli insegnanti, di vederli, sentirli, di essere seguiti e rassicurati da loro».
Insomma, se andiamo a guardare bene, sembra quasi che la scuola non sia solo un diritto e un dovere al tempo stesso, ma una vera e propria fortuna, per due ordini di motivi: se hai gli strumenti e sei in grado di utilizzarli e se tu – principalmente istituzione, società, famiglia – capisci che si tratta di uno mezzo preziosissimo e irrinunciabile per combattere l’ignoranza dilagante.
Dobbiamo crescere dei bambini che amano la lettura, che credono nella scuola, che fanno dell’istruzione un dono straordinario. «Non avremmo dovuto aspettare una pandemia per capire l’importanza della tecnologia nelle scuole – fa notare Anna –. È innegabile che sia il punto di partenza verso una nuova scuola, ma va assolutamente riadattata e rielaborata e tutti devono essere messi nella condizione di poterne usufruire, senza creare disparità e senza lasciare indietro nessuno».
#indueparole. Capaci di accettare la sfida?
di Roberto Comparetti (Il Portico)
Omar Jimenez, rapper, cestista e giornalista della Cnn è stato arrestato in diretta televisiva mentre da Minneapolis riferiva delle proteste per la morte di George Floyd, il cittadino afro-americano morto per asfissia dopo che un poliziotto lo ha bloccato con il ginocchio premuto sul collo.
È solo l’ultimo degli episodi a danni di giornalisti che finiscono nel mirino o delle forze dell’ordine oppure di violenti senza scrupoli.
Eppure non c’è giorno che ci sia chi muove i propri strali sulle rete per attaccare i giornalisti, rei, a loro dire, di esser parte di un sistema che tiene in scacco i più deboli.
Il frutto becero del maldestro utilizzo dei social è sotto gli occhi di tutti. Così allora aveva forse ragione l’intellettuale Umberto Eco che, poco prima di morire, bollò Facebook e le altre piattaforme di scambio, come mezzi che «danno diritto di parola a legioni di imbecilli». Un’espressione un po’ forte. Per alcuni versi, però, l’uso improprio di quegli strumenti sta mettendo in discussione le libertà personali e collettive, con studi che dimostrano come anche le scelte politiche dei singoli elettori possono essere pilotate proprio da un uso distorto dei media.
Lo scorso 24 maggio abbiamo celebrato la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali e la sfida che Papa Francesco ha lanciato ai giornalisti è quella di raccontare le storie «in un’epoca in cui – ha detto – la falsificazione si rivela sempre più sofisticata, raggiungendo livelli esponenziali (il deepfake)». Per questo «abbiamo bisogno di sapienza – ha proseguito il Pontefice – per accogliere e creare racconti belli, veri e buoni. Abbiamo bisogno di coraggio per respingere quelli falsi e malvagi. Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi; storie che riportino alla luce la veritàdi quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano».
L’impegno per i giornalisti è dunque è quello di raccontare il bello, senza dimenticare ciò che bello non è: una bella sfida che vale la pena accettare.
L’Ogliastra e lo spettro del virus
di Fabiana Carta.
Di questo triste periodo ricorderemo senz’altro il continuo aggiornamento dei numeri: le persone contagiate, le persone guarite, i tamponi effettuati, i morti. Ma c’è anche tutto il buono della solidarietà, dell’aiuto reciproco e della spiritualità ritrovata
Oltre 1300 i positivi nella nostra isola, da quando è iniziato quest’incubo. La minaccia Covid-19 ha allungato la sua ombra spaventosa sull’Ogliastra in un paio di occasioni. Ansia e paura, allerte e attese. La chiusura temporanea del reparto di Cardiologia del Nostra Signora della Mercede di Lanusei, con all’interno i pazienti, due medici, due infermieri e un operatore di servizi sanitari e la chiusura del reparto di Ostetricia sono stati i momenti più bui, insieme alla notizia delle due donne di Loceri risultate positive al virus, ma contagiate all’ospedale di Sassari dove prestavano servizio.
Adesso che l’emergenza sta leggermente scemando e stiamo passando alla fase due, è saltato alle cronache il primo caso nel comune di Bari Sardo (dopo i due “di importazione” in quello di Loceri), ma l’Ogliastra resta sempre una delle zone meno colpite in tutta Italia.
Vivere isolati ha avuto i suoi vantaggi: la bassa densità di popolazione, il distanziamento sociale dovuto alla lontananza tra i paesi e alla conformità stessa del territorio hanno fatto un piccolo miracolo. Una teoria ancora da studiare e approfondire, quando le priorità saranno altre, è che la resistenza dei geni ogliastrini al Covid-19 sia connesso agli anticorpi della malaria presenti nella maggioranza della popolazione. La notizia è rimbalzata anche sulle testate nazionali, la nostra piccola isola felice, terra di centenari, una delle cinque zone blu del mondo è rimasta protetta, ma mai abbassare la guardia.
Non sono mancati i momenti di tensione e di polemica, come la richiesta dei sindaci di avere informazioni più dettagliate da parte della protezione civile regionale sulle persone in quarantena; siamo stati in balìa della confusione causata dai rientri nelle proprie case, a volte vere e proprie fughe.
Ancora oggi si denuncia la gestione poco trasparente dei dati, comune per comune, in modo da poter avere la reale consapevolezza della situazione in Sardegna. A questo proposito il presidente Christian Solinas ha annunciato che partirà l’attività di screening della popolazione, un’operazione che andrà avanti per almeno un mese. Nei paesi e nelle città della Sardegna che saranno presi a campione si faranno le postazione in strada per il test rapido per accertare la presenza di anticorpi nel sangue, rivelando se una persona è venuta a contatto con il virus Sars Cov-2.
Nei giorni più caldi dell’emergenza ricordiamo l’esposto presentato da un’operatrice sanitaria dell’ospedale Nostra Signora della Mercede di Lanusei che riguardava la carenza di dispositivi di protezione individuale, in particolar modo di mascherine, per il quale è stata aperta un’inchiesta. La denuncia è arrivata anche da altri medici e operatori sanitari ormai allo stremo, in prima linea ma senza protezioni adeguate.
Nell nostra Ogliastra, terra che vive del settore terziario, di agricoltura, artigianato, pastorizia e turismo, sta crescendo l’angoscia per lo scenario economico futuro e per gli effetti devastanti di questa crisi. Angoscia che cresce per l’intera Sardegna, perché l’emergenza Coronavirus rischia di avere un impatto sull’economia ancora più tragico rispetto a quello del resto d’Italia, con il Pil in crollo del 9,6 %. Il Centro Studi della CNA Sardegna si è espressa in questo modo: «L’economia sarda nel 2020 rischierebbe di vedere andare in fumo almeno 3 miliardi di euro (4,4 miliardi nel caso del protrarsi delle restrizioni fino a giugno)».
Questo momento di crisi generale, però, ha messo in luce anche aspetti positivi, come la generosità, la tendenza alla solidarietà e beneficienza del popolo ogliastrino. Non sono mancate le donazioni da parte di comitati impegnati nell’organizzazione di feste paesane, direttamente all’ospedale di Lanusei, alla Croce Verde, per acquistare materiale di protezione per medici, infermieri e volontari. Gesti di solidarietà sono arrivati anche da parte di singoli cittadini, aziende, cooperative sociali, imprenditori, ristoratori, che hanno messo a disposizione il loro tempo per creare dispositivi di protezione sanitaria, o donare del cibo a chi più ne aveva bisogno.
E la scuola? Anche lei ha dovuto adeguarsi, con modalità di insegnamento a distanza, su piattaforme digitali, social, e scambio di materiali e compiti via chat. Non facile districarsi per chi non è avvezzo alla tecnologia, e se si aggiungono le difficoltà causate da una connessione Internet inadeguata e non omogenea, famiglie sprovviste degli strumenti, il pasticcio è presto fatto. Alcune amministrazioni comunali, per questi motivi, hanno provveduto a distribuire gli strumenti necessari per garantire la didattica, sia agli istituti che alle famiglie. La scuola non può e non deve fermarsi, per garantire il diritto allo studio a bambini e ragazzi, garantendo il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 2 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
La parola d’ordine di questi tempi, insomma, è stata adattarsi alla situazione che ci è piombata addosso. E si è dovuta adattare anche la Chiesa tutta. Il divieto di assembramento non ha risparmiato nessuno, il blocco delle celebrazioni con la presenza dei fedeli è stata una decisione difficile quanto necessaria. Sono state diverse le iniziative social diocesane o dei singoli parroci, per mantenere viva la preghiera e la vicinanza ai fedeli, soprattutto durante la Settimana Santa, garantendo le Messe e i riti in diretta streaming e radio-Tv, così come stabilito della indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana, perché il momento più importante dell’anno liturgico fosse vissuto nella maniera più intensa e partecipata possibile.
Il nostro vescovo Antonello ha celebrato la Messa di Pasqua nella Cattedrale di Lanusei, in diretta su Telesardegna, in streaming su Facebook e su Radio Barbagia.
In questa nuova fase di convivenza con il Covid-19 le Messe sono ancora bandite, decisione che ha fatto sussultare tutto il mondo cattolico, tanto che è stato pubblicato un comunicato dei Vescovi Italiani, con pronta risposta del Governo: «Nei prossimi giorni saranno elaborati protocolli per le Messe che consentiranno la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza».
In questo tempo di incertezze e isolamento, solitudine, pensieri e riflessioni, la fede e la ricerca di conforto sembrano la via per una spiritualità ritrovata.