Fatti
Mons. Antioco Piseddu, 40 anni di ordinazione episcopale
di Fabiana Carta.
Era l’8 novembre del 1981 quando riceve l’ordinazione episcopale dal cardinale Sebastiano Baggio. Da allora, per 32 anni, monsignor Antioco Piseddu è stato il padre spirituale che con il suo abbraccio ha tenuto unita la diocesi di Lanusei. Un vescovo che ha lasciato un’impronta importante su diversi aspetti: i problemi sociali e del lavoro – che deve essere onesto, secondo giustizia e appagante – sono stati sempre affrontati con grande determinazione e preoccupazione. «Le iniziative industriali in Ogliastra sono venute da fuori e gestite sempre da persone non della zona, come la cartiera, che ha seguito le logiche del “la costruisco qui perché mi conviene, la faccio fallire perché mi conviene”. Auguro di aprire lo sguardo, di pensare in grande, di far crescere il senso di sicurezza e di ottimismo», aveva dichiarato in un’intervista di qualche anno fa.
La convinzione che la crescita morale e personale passino anche e soprattutto per la crescita culturale ha fatto sì che nell’arco di tempo in cui si è dedicato alla nostra diocesi siano nati progetti che ancora oggi – con sua grande soddisfazione e gioia – proseguono. Il Museo diocesano d’Ogliastra, inaugurato nel 1995, con la biblioteca e l’archivio storico che contiene 35mila volumi, quindici cinquecentine e 183 volumi del Seicento, insieme al giornale in cui stiamo scrivendo e alla rivista Studi Ogliastrini, sono alcune delle eredità culturali che ci ha lasciato.
Da grande e sensibile osservatore quale è ha sempre sottolineato la tendenza dei giovani, e degli ogliastrini in generale, a tirare i remi in barca perché impauriti dalla situazione economica o dai problemi che attanagliano la nostra zona; per questi motivi tiene sempre a dire ai ragazzi che è molto importante studiare, approfondire, per potersi confrontare con tutti, per non vivere di pregiudizi. È sempre una questione di cultura, e la mentalità è un aspetto molto legato ad essa.
Mons. Piseddu l’8 novembre di quest’anno festeggerà 40 anni di ordinazione episcopale. Sarà l’occasione per ricordare il suo percorso, la stima reciproca e tutti i progetti iniziati che ancora oggi continuano, a dimostrazione del fatto che basta seminare con fiducia e speranza per poter raccogliere buoni frutti.
Non perde mai occasione per ripensare ai bellissimi ricordi legati all’Ogliastra e al rapporto profondo e speciale con la sua gente, che ha conosciuto fra pregi e difetti. Tutti noi lo ringraziamo per la bellezza delle cose che ha lasciato, per la speranza che ha disseminato, per la compassione, per lo sguardo aperto, per l’amore che ci ha donato e continua a donarci. Perché non c’è mai stato un vero addio, la sua presenza continua a sentirsi nella preghiera e nei pensieri positivi che non perde mai occasione di rivolgerci.
Settimana sociale a Taranto. Franco Manca: «Un tema destinato a segnare la vita futura»
di Mario Girau.
Dal 21 al 24 ottobre Taranto ospita la 49ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani. Tema: “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”.
Nel solco tracciato dalla Laudato Si’ e dalla Fratelli tutti di Papa Francesco, la Chiesa che è in Italia offre il proprio contributo per la creazione di un nuovo modello di sviluppo di cui il mondo ha urgente bisogno. Ne parliamo con Franco Manca, Coordinatore regionale Commissione CES problematiche sociali e del lavoro
Occhi e riflettori puntati sulla 49.ma settima sociale dei cattolici italiani (21-24 Ottobre, Taranto) chiamati a mettere sul tavolo della politica, delle imprese, dell’economia e della finanza il tema “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”. Come fatto dalle altre diocesi, anche quelle sarde, sabato 25 settembre, hanno presentato le proposte «per sostenere e orientare la formazione di un nuovo modello di sviluppo capace di ridefinire il rapporto tra economia e ecosistema, ambiente e lavoro, vita personale e organizzazione sociale».
L’incontro è coordinato dall’Arcivescovo di Cagliari, mons. Giuseppe Baturi, referente dei vescovi per la pastorale sociale e del lavoro, e da Franco Manca, coordinatore regionale dell’omonima commissione.
«Le settimane sociali segnano l’inizio di un cammino, che deve continuare nella società, a tutti i livelli, perché tutto non si risolva in una manifestazione di quattro giorni, senza capacità di incidere sulla realtà. A Taranto – dice Franco Manca – si discuterà di un tema destinato a segnare la vita delle future generazioni: garantire il benessere e il progresso nel rispetto dell’ambiente, della natura, delle risorse del creato».
Il fatto è che l’economia è diventata l’argomento più dibattuto della modernità e il denaro il punto di riferimento di gran parte della società.
Pensare all’economia sulla base degli schemi che i tecnici presentano è un grave errore dato che i tecnicismi sono quasi sempre orientati a mantenere e rafforzare il potere delle èlite. È quindi necessario uscire da tali schemi fatti da questioni di compatibilità, di pareggi di bilanci, di rispetto dei trattati, di rispetto degli equilibri, ecc. Rimanere all’interno di esse vuol dire che non si potrà mai cambiare quasi nulla e che ciò che conterà sempre di più sarà il denaro piuttosto che l’uomo.
Un’economia che pensa all’ umanità povera ed emarginata potrebbe essere, oggi, una contraddizione in termini.
Non si tratta di inventare nulla, ma di avere come riferimento il magistero della Chiesa e in particolare le encicliche fondate su uno specifico punto di vista, quello di prendersi cura del bene comune, su persona umana, solidarietà, sussidiarietà, bene comune, che si declina attraverso la fraternità che è soprattutto gratuità e dunque dono.
Parlare di gratuità e dono nella società liberal individualista o statocentrica in cui tutto è obbligo e dovere è quasi un azzardo.
Senza pratiche estese di dono si potrà anche avere un mercato efficiente e uno stato autorevole, ma di certo le persone non saranno aiutate a realizzare la gioia di vivere. Purtroppo il bene della comunità non rappresenta una priorità mondiale. Gli organismi di controllo internazionale continuano a contare molto poco e i governi hanno fatto pochi passi in avanti per garantire una strumentazione adatta a governare la finanza internazionale.
Quindi l’economia come zona franca dove tutto può succedere?
Una zona quasi franca. Si pensi all’immenso potere delle società di rating: organismi privati, le cui decisioni determinano licenziamenti e crescita della disoccupazione e milioni di persone e le loro famiglie si ritrovano a evidente rischio di povertà e di elevato disagio sociale.
Non si può fare nulla per cambiare questa situazione?
Questi processi economico-finanziari sono suscettibili di miglioramento. Si deve revisionare l’esistente, sia nella teoria che nella pratica economica, trovando il proprio fondamento in quello che oggi non sembra improprio designare come il nuovo bisogno etico delle nostre società.
Uno sforzo che deve stimolare ad osare nuovi esperimenti di democrazia economica.
Alcune linee di forza risultano già profilarsi con evidente chiarezza e il nodo che tutte le intreccia è la messa a fuoco della dimensione etica e del nuovo bisogno etico alla luce del quale viene proposto di ripensare e riprogettare le ragioni della teoria economica e della sua pratica del mercato e dell’innovazione; del rapporto efficienza solidarietà; della cooperazione e della competizione in vista di una finalità complessiva che potrebbe venire identificata nell’esigenza di espandere, con la democrazia economica, la democrazia politica.
Come è possibile aprire questo nuovo cantiere culturale?
Bisogna guardare attentamente i nuovi problemi creati dalla fase post industriale. C’è da riflettere sulla nuova condizione umana, sociale ed economica nella quale ci troviamo e dove si delinea il passaggio da un prevalente impegno finalizzato alla produzione di beni materiali a un crescente assorbimento di risorse e di uomini nella produzione di beni immateriali. In questo quadro – che conoscerà una profonda trasformazione degli stili di vita e quindi della stessa scala di valori e delle sue priorità – il fattore strategico diverrà la cultura: come nuovo rapporto dell’uomo con la natura e con l’ambiente, come produzione di conoscenze mediante la ricerca, come messa in opera di tecnologie sempre più sofisticate e pervasive, come informazione diretta all’accumulazione e al controllo del sapere.
Al Tonio Dei si apre la nuova stagione teatrale
Sarà ancora grande spettacolo al teatro Tonio Dei di Lanusei per la nuova stagione di prosa e danza 2021/2022. Il sipario si apre il 16 ottobre e fino al 5 aprile attori, interpreti e scenografi si susseguiranno sul palcoscenico lanuseino, riprendendo il filo di un discorso, quello artistico culturale, che la pandemia ha pesantemente interrotto, lasciando nel pubblico e fra gli appassionati un grande desiderio di incontro e partecipazione.
Si inizia il 16 ottobre con Without color. Trilogia sull’abitare, regia e coreografia affidata a Francesca La Cava, dove protagonista è il corpo. Un viaggio nell’universalità dell’essere umano, nei tratti comuni che caratterizzano le etnie, nell’importanza del confronto per la crescita globale del mondo.
Il 23 ottobre, il David di Donatello Giorgio Colangeli, insieme a Vincenzo De Michele e Valentina Perrella, saranno i protagonisti di uno dei classici pirandelliani, L’uomo, la bestia e la virtù – per la regia di Giorgio Nicoletti – che proprio nel 2019 ha festeggiato i cento anni dal debutto sulle scene.
Sarà invece Andrea Scanzi a salire sul palco il 7 novembre e presentare il suo E pensare che c’era Giorgio Gaber, per raccontare del Gaber teatrale, quello che ha il coraggio di lasciare la popolarità televisiva, e che, con Sandro Luporini, entra nella storia.
Sarà poi affidata alla magia della danza con The magic of light la serata del 18 novembre. Mentre il 29 sarà la volta di Coppia aperta, quasi spalancata, per la regia di Alessandro Tedeschi: una classica commedia all’italiana che racconta la tragicomica storia di una coppia di coniugi, figli del ‘68 e del mutamento della coscienza civile del bel paese.
Dicembre dedica due importanti appuntamenti allo sport e alle sue leggende: il 4 con Olimpicamente. Pensieri, parole, opere…e campioni: la serie si compone di 51storie olimpiche, ipotizzando i pensieri dei grandi atleti delle Olimpiadi del passato prima durante e dopo il gesto atletico e selezionandone 5 o 6 tra i racconti più appassionanti e significativi.
Il 12 dicembre, invece, Patrizio vs Oliva, racconta la vita, la storia, le curiosità del pugile e dell’uomo che tutti hanno amato.
Mediterraneo. Le radici di un mito, il 16 gennaio 2022, presenterà il Mediterraneo, in uno spettacolo per voce narrante e musica, di e con Mario Tozzi, la voce narrante sarà di Enzo Favata.
A Febbraio, il 18, In arte sono Don Chisciotte, di Samuele Boncompagni, rivivremo le leggendarie imprese del Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, con Luisa Bosi ed Elena Ferri.
Il 13 marzo, risuoneranno le celebri note de Il barbiere di Siviglia, nel balletto d’azione per la coreografia di Monica Casadei.
Sarà La Parrucca di Natalia Ginzuburg, con Maria Amelia Monti e Roberto Turchetta, regia affidata a Antonio Zavatteri, a chiudere la stagione, il 5 aprile. Tutti gli spettacoli iniziano alle 21.00. Biglietteria on line: www.vivaticket.it, info: annarosapistis@yahoo.it – Tel. 338.8727641.
La “Santa ‘Ittoria bella” di Villaputzu
di Angelica Porcu.
La seconda domenica del mese di ottobre è una giornata tanto attesa per i villaputzesi poiché è il fulcro dei festeggiamenti religiosi e civili in onore di Santa Vittoria. Pur non essendo la patrona del paese (San Giorgio martire), la popolazione è particolarmente devota alla Santa.
Festeggiare Santa Vittoria significa accogliere l’inizio di una nuova stagione: la ricorrenza, infatti, cade in un periodo dell’anno segnante la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. Fin dai primi giorni del mese di ottobre il villaputzese dice di sentire il “profumo di Santa Vittoria”, quell’aria particolare respirata dalla comunità man mano che si avvicina il giorno della festa, un momento enfatizzato ancora di più quando si vedono i membri del comitato religioso impegnati ad abbellire la strada principale e le altre vie del paese con le bandierine colorate che affascinano grandi e piccini.
Una festività che ha sempre rappresentato uno dei momenti religiosi e sociali più importanti della comunità. Analizzando il clima che ruota attorno alla sfera religiosa si distinguono immediatamente degli elementi che caratterizzano la ricorrenza; vivere la celebrazione non significa solamente recarsi in chiesa ad ascoltare la Messa solenne, ma soprattutto partecipare a quel momento d’intimità che nasce fin dal momento rituale della vestizione del simulacro della Santa. Gli attimi più intensi della devozione si raggiungono durante le processioni del sabato, della domenica in particolar modo, e del lunedì pomeriggio. Chi almeno una volta ha preso parte alla processione della domenica, detta sa processioni manna – importante perché durante il percorso si fa la sosta nel rione del paese intitolato a Santa Vittoria –, ricorda il simulacro della Santa col manto rosso, emblema del martirio, adornato dagli ori, s’oraria, donati dai fedeli nel corso degli anni, che sfila fra le vie di Villaputzu sorretto da is obreris de Santa ‘Ittoria.
Anche il senso dell’udito è coinvolto in questa fase del rito in quanto ad anticipare il passaggio del simulacro ci sono i suonatori di launeddas villaputzesi, che preparano il fedele alla visione dell’amata Santa. Quando si percorrono le strade del paese in occasione della processione non si può fare a meno di ammirare l’impegno delle persone nell’abbellire il percorso del corteo religioso attraverso la posa nelle finestre e nei balconi di tappeti, tovaglie e coperte bianche anticamente ricamate, al cui candore si contrappongono i vivaci colori dei tappeti floreali connotati dal profumo dei rametti di menta. Chi non segue la Santa nel corteo processionale ne aspetta il passaggio vicino alla propria abitazione, un’occasione per poter ammirare le donne e gli uomini che sfilano indossando il costume sardo tradizionale del paese, caratterizzato dall’inconfondibile colore viola e dal velo ricamato femminile bianco. Chi sfila indossando il costume sardo vede la festa di Santa Vittoria come un momento di ritorno al passato, una circostanza in cui vengono ricordati gli avi della famiglia mentre si vestivano con il loro abito più bello per onorare la fede cristiana e venerare la Santa.
La festa segna anche la vita sociale del paese, è un momento in cui le varie generazioni si incontrano dando vita ad attimi di gioia. In passato su dominigu de Santa ‘Ittoria bella era un momento molto atteso dalle giovani coppie poiché rappresentava la prima uscita in pubblico da fidanzati. Insieme ci si recava in chiesa, un modo per venire benedetti e protetti dalla Santa. Anni fa la festa, in particolar modo quella legata alle iniziative civili, rappresentava un momento d’incontro e divertimento per la comunità: era l’occasione per i giovani celibi del paese di incontrare le ragazze nubili che venivano invitate a ballare al ritmo e sulle note delle launeddas. Fare festa significava e significa tutt’ora riunire la famiglia attorno al tavolo in occasione del tradizionale pranzo della domenica. Era ed è un’occasione d’incontro fra genitori e figli che abitano in paesi diversi, spesso lontani, che non hanno l’opportunità di stare insieme quotidianamente. Festeggiare Santa Vittoria significa uscire la sera per accompagnare i bambini alle giostre, vedere quanto sono felici mentre gustano le dolci caramelle comprate nelle bancarelle. Mentre si passeggia, si respira il profumo del torrone e delle castagne, l’aria dell’autunno appena arrivato. Il sabato sera le persone si riuniscono nella piazza principale del paese per ascoltare is cantadoris, omaggiando in tal modo la storia musicale della nostra Isola. La domenica, invece, si ammirano i fuochi d’artificio e si ascolta la musica, mentre il lunedì sera è dedicato ai balli, al divertimento, un modo goliardico per chiudere in bellezza i festeggiamenti dedicati alla Santa tanto amata da Villaputzu.
Sofia, mamma amorosa dei terteniesi
di Gabriella Loi.
Credo sia impossibile trovare a Tertenia un adulto o un bambino che non conosca a memoria questi versi: “Santa Sofia amorosa, mamma de tres fizas santas, a sas fizas totu cantas, accansa gloria diciosa”.
Appartengono a is gocius scritti dal canonico Pietro Casu dedicati a Sofia, la Santa martire romana vissuta nel secondo secolo e tanto cara ai terteniesi. Ogni anno l’1, il 2 e il 3 settembre si rinnovano le celebrazioni in suo onore. Due comitati si occupano di organizzare al meglio i festeggiamenti. Uno formato da quarantenni e ventitreenni e un altro nominato dai componenti di quello uscente. Il secondo comitato, formato esclusivamente da persone di sesso maschile, si occupa unicamente della serata dedicata alla poesia estemporanea. In questi tre giorni il paese si anima di gente proveniente dai paesi vicini e dai vacanzieri ancora presenti nella suggestiva marina di Sarrala. Per la gioia dei più piccoli arriva il Luna Park itinerante che si ferma, a volte, anche più di una settimana.
È ancora in uso per l’occasione, cosi come per altre feste importanti, preparare piatti tipici. Dolci e pani pintau da offrire ad amici e conoscenti. Particolarmente graditi dagli ospiti sono culurgionis e cocoi de patata che non mancano mai nel pranzo della festa.
Il giorno della vigilia il simulacro di Santa Sofia lascia la chiesa parrocchiale e in processione raggiunge la chiesa campestre che sorge sul monte Giuilea in località Bidda e Susu. L’edificio, costruito in stile molto semplice, si è conservato fino ai giorni nostri in ottimo stato. Scendendo per alcune decine di metri una ripida strada, a sinistra della chiesa si trova sa Funtana de Santa Sufia, una sorgente da cui sgorga un’acqua freschissima alla quale, in passato, si attribuivano speciali poteri curativi.
Il pomeriggio seguente, dopo la celebrazione della Santa Messa, la Santa fa rientro in parrocchia, accompagnata come il giorno precedente da numerosi fedeli e dall’immancabile suono delle launeddas, is bisonas, così gli anziani chiamano l’antico strumento musicale.
La sera del terzo giorno viene celebrata, nel tardo pomeriggio, la Messa solenne seguita dalla processione per le vie del paese. Nel 2019 la processione si è svolta con un importante cambiamento: dopo più di 60 anni dalla sospensione, è stata ripristinata un’antica tradizione che coinvolgeva gli abitanti di Gairo. Il simulacro della Santa, infatti, è stato portato in spalla da alcuni membri del gruppo folk del paese montano.
Ad aprire il corteo sacro numerosi cavalieri del paese e anche dei centri vicini. Sono presenti diversi gruppi folkloristici, compreso quello di Tertenia che nel lontano 1977, al momento della fondazione, scelse di chiamarsi con il nome della martire. Un gran numero di fedeli prende parte al corteo, tra loro tanti gli emigrati che affrontano spesso lunghi viaggi per far rientro al paese e assistere alla festa.
La via principale si anima di tanti venditori, bancarelle traboccanti di torroni, dolciumi, prodotti di artigianato sardo. Abili mani si occupano di abbellire il percorso processionale con vasi di fiori, rami di palme, nastri colorati. Le donne espongono alle finestre i pezzi più belli del proprio corredo: tappeti, tovaglie e lenzuola ricamate a mano. Soprattutto nel centro storico, sovente effettuano un ulteriore atto di omaggio a Sofia, preparando sa ramadura: ricoprono la strada con petali di rosa, rami di menta selvatica e alloro che sprigionano tutto il loro intenso e gradevole profumo.
Rientrati nella chiesa Parrocchiale, in un’atmosfera di grande commozione, si prega con is gocius al suono delle launeddas. Il canto di queste preghiere devozionali segna la fine dei festeggiamenti religiosi.
La sera è tutta per i momenti di convivialità, tra fuochi d’artificio e intrattenimento nei diversi rioni del paese. In piazza Funtanedda, cuore del centro storico, per gli amanti della poesia sarda estemporanea, si esibiscono i più bravi cantadoris de ottava dell’isola. Nella piazza dell’ex scuola materna, invece, per i più giovani e non, si ascolta musica contemporanea.
A causa della pandemia, per il secondo anno consecutivo, in rispetto alle norme anti-Covid tutte le manifestazioni pubbliche sono state sospese e con loro anche il canto de is gocius.
Ma questa strofa basterà soltanto sussurrarla perché la tanto amata Sofia veda le suppliche custodite nei cuori dei suoi fedeli e interceda per loro: “O Sofia nos curvamus a tie, tottu in ammiru, cun isperu e cun regiru sas grassias ti dimandamus e cantu nezessitamus accansa nos amorosa”.
Leggi l’articolo integrale sul numero di Settembre de L’Ogliastra
Autunno: bilanci e riflessioni
di Angelo Sette.
Torna settembre e sarà autunno: ancora una stagione senza connotati né confini, alterata nel ciclo naturale dal violento sfruttamento del territorio, complici le nostre condotte quotidiane di spreco e di incuria.
Torna ora nel tempo, difficile e opportuno, del confronto riparatore con i lasciti di dolore, povertà e ferite della lunga pandemia: tra incertezze e speranze, paure e attese, solidarietà e ribellione.
Si attende un autunno di riscatto economico e, soprattutto, morale e comunitario: operoso nella sistemazione delle macerie e attivo nel recupero di attività, luoghi e frequentazioni, troppo a lungo mortificati, specialmente in ambito formativo e scolastico, le vittime più silenziose e sacrificate della pandemia e della sua gestione, come testimoniato dall’incremento tra i giovani di disagi psicologici, disadattamento sociale e impoverimento cognitivo.
Sarà un settembre di bilanci e di programmi, di riflessioni e di conversioni: affiora l’urgenza di un rafforzamento del legame tra bisogni e libertà individuali ed esigenze e diritti comunitari, e risulta improcrastinabile trovare un equilibrio sostenibile tra uomo e natura, nella consapevolezza del comune destino di salvezza o distruzione.
A settembre riapre la scuola; si dovrà garantire a tutti i costi la presenza in classe per assicurare ai ragazzi quel luogo speciale di relazioni, di conoscenze e di trasformazioni necessarie per la crescita, il benessere e l’adattamento. Il piccolo che abbandona la sicurezza della casa per la scuola materna, il bambino che affronta le prime vere fatiche nella scuola elementare e il ragazzo che si avventura in contesti relazionali e comunicativi sempre più impegnativi e rischiosi, stanno misurando se stessi col mondo per la conquista di un proprio spazio e di una laboriosa e difficile identità. In ambienti, fisici e mentali, capaci di imporre vincoli o offrire possibilità, e soprattutto di assicurare incontri con l’altro, estraneo e diverso, quale termine di confronto nella ricerca di sé. A partire dalla propria eredità, biologica e culturale, marchio intimo dell’unicità di ogni persona, nella sua inconfondibile storia e appartenenza.
Dunque settembre è tempo di futuro. Un futuro possibile solo se condiviso e solidale, da costruire e insegnare, nella fede di possedere collettivamente oggetti, tempo e risorse per essere sostenitori di speranza.
I genitori, solleciti o affaticati, accudenti o trascurati, sono parte attiva di tali vicissitudini, perché sempre fondamentali, significativi e decisivi. E, nella mente dei figli, sempre presenti e coinvolti, nell’obbligato dialogo con essi sul terreno dei bisogni profondi, e ambivalenti, di protezione/autonomia, dipendenza/libertà, stabilità /nomadismo.
Servirà l’esercizio di una genitorialità adulta, salda nel ruolo e aperta alla collaborazione con la scuola, snodo indispensabile di un’educazione integrale, umana ed ecologica, che sappia promuovere valori, conoscenze e regole, generando altresì autostima, creatività e futuro.