Fatti
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Buoni cristiani e onesti cittadini
Di Giusy Mameli.
Siamo certi di essere tutti “cittadini del mondo”? Siamo pienamente consapevoli di concetti quali legalità, rispetto per l’ambiente e per gli altri, conoscenza della Costituzione, rispetto dei diritti? Forse una riflessione è doverosa. E non solo per i più piccoli
Una tematica che non riguarda solo i giovani che se la ritrovano tra le materie curriculari, è la cosiddetta educazione civica, oggi educazione alla cittadinanza: un patrimonio comune di legalità, buone pratiche, rispetto della Costituzione, promozione dei diritti e dei doveri, tutela dell’ambiente e del convivere in armonia in ogni contesto sociale.
È sempre di attualità, viste le derive antidemocratiche non solo nei regimi totalitari. È consapevolezza e spirito di servizio da cittadini, con etica solidaristica, per costruire un mondo più giusto, più umano, più rispettoso della natura e attento ai più deboli.
Come è noto, la nostra stessa democrazia non è attuata appieno se manca di equità sociale e ogni qualvolta si utilizza la violenza (non solo fisica, ma anche verbale, psicologica o economica) per comunicare le proprie ipotetiche ragioni: una sconfitta del senso civico e della pacifica convivenza. Le famiglie non possono delegare alle Istituzioni, scuola in primis, l’esclusiva di tale educazione: sicuramente il patto scuola- famiglia spesso coinvolge il comune sentire per promuovere la capacità critica e la maturità civica. Ma tutto ciò deve essere acquisito oltre un programma scolastico e recepito come formazione continua che si evolve nella coscienza democratica e nella promozione umana, non solo della cosiddetta legalità formale, ma nell’agire per il bene comune.
A tutto ciò ci educano le associazioni, il volontariato, il Servizio Civile e primariamente la Chiesa, grazie alla dottrina sociale che favorisce la convivenza civile.
Significa primariamente educare ai diritti e non ai favori, per uscire dalla tristemente famosa mentalità clientelare di antica memoria, che ha condizionato il malaffare e ancora in realtà degradate baratta i lavoro con l’illegalità e lo sfruttamento. Per realizzare l’equità sociale – base della pacificazione e del quieto vivere – serve potenziare i pilastri dello stato sociale [Cultura (scuola)-Giustizia (legalità) Sanità (salute)] che sono tra i fondamenti della nostra Costituzione; educare al senso del dovere che è connaturato al nostro essere buoni cristiani e onesti cittadini (con le parole di San Giovanni Bosco).
Nei prossimi mesi proveremo a focalizzarci sulle buone pratiche nel nostro territorio, nelle nostre associazioni, nelle nostre scuole, nelle nostre Istituzioni, nella nostra realtà ecclesiale, come spesso il nostro giornale propone, per vedere il bene e il buono che – senza clamori il più delle volte – procedono, nonostante tutto.
Veramente la speranza che è in noi – particolarmente in questo anno giubilare – deve rinvigorire le nostre motivazioni e farci sentire responsabili, affinché tale speranza, ancor più se alimentata dalla visione cristiana della vita, sia condivisa e si concretizzi in un futuro di ideali che partono dalla realizzazione del bene quotidiano.
Occorre incoraggiare un civismo maturo, a prescindere dall’età, perché sia un progredire costante della nostra coscienza di cittadini consapevoli, partecipi, propositivi, collaborativi verso le Istituzioni. Uno slancio morale per il meglio vivere, per il meglio governare, per dare il meglio della nostra umanità: nessuno più chiamarsi fuori. Non sono sufficienti proclami, programmi o convegni per migliorare una mentalità o per rafforzare il pensiero e l’agire positivo; dall’andamento delle nostre realtà quotidiane ci rendiamo conto che la strada è lunga, ma le buone pratiche esistono, proseguono e si rinsaldano. Ne riparleremo.
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L’evoluzione della paternità
di Augusta Cabras.
I ruoli di madre e padre, oggi, sono senza dubbio mutati. Nonostante questo, però, è evidente in tante situazioni quanto il padre sia più defilato (se non assente) rispetto alla madre
L’antropologa americana Margaret Mead, (1901-1978) nel suo studio del 1949, Maschio e femmina, sostiene e afferma che «la paternità è un’invenzione sociale». Per cui «gli uomini devono imparare a desiderare di provvedere agli altri e questo comportamento, essendo acquisito, non ha basi solide e può sparire facilmente se le condizioni sociali non continuano a insegnarlo». La paternità quindi, secondo Mead è un’invenzione culturale, mentre di naturale c’è e rimane solo la maternità.
In questi ultimi tempi il ruolo del padre all’interno della famiglia è però cambiato profondamente. In generale il padre autoritario – poco presente, dedito più al sostentamento che all’educazione dei figli – sta cedendo il passo a un padre più presente, accogliente, affettuoso, più dentro la relazione, in un ambito storicamente solo materno.
Prima il padre conosceva il figlio dopo la nascita, quasi che il periodo dell’attesa riguardasse solamente la madre. Ora, anche grazie alla possibilità di vedere e sentire il bambino attraverso l’ecografia, i padri sono (forse) più consapevoli di quanto accade nei nove mesi e si creano interiormente un’immagine del nascituro. Sempre di più sono presenti anche al momento del parto seguendo ogni istante della nascita del proprio figlio (a parte chi sviene prima dall’emozione o dalla paura!).
I ruoli di madre e padre sono senza dubbio mutati; probabilmente perché è mutata anche la tipologia di relazione nella coppia. Il rapporto è divenuto paritario; e anche il fatto che la donna abbia maggiori possibilità di inserirsi in ambito lavorativo rispetto al passato ha determinato delle trasformazioni nella gestione del tempo con i figli.
Nonostante questo, però, è evidente in tante situazioni quanto il padre sia più defilato (se non assente) rispetto alla madre.
In percentuale, quante madri e quanti padri accompagnano il figlio a scuola, dal medico, al compleanno dei compagni, a fare sport, a parlare con gli insegnanti, a Messa la domenica?
Possiamo ricondurre la percentuale più alta che pende per le madri al fatto che i papà lavorino di più in generale e mediamente per più ore al giorno? Quanto c’è invece di culturalmente radicato per cui la cura dei figli è considerata una prerogativa femminile? E quanto invece il legame madre-figlia, madre-figlio, per sua natura, sostanza ed essenza richiede una presenza, una vicinanza, uno stile, una modalità, un esserci, che è insostituibile?
Possiamo pensare che forse la situazione attuale rifletta la compresenza di questi tre elementi, e a seconda delle esperienze, della cultura o della sensibilità, uno di questi può prevalere sull’altro.
È certo che la genitorialità materna e paterna, rimane la condizione più sfidante, con un elevatissima percentuale di imprevedibilità; la più impegnativa oggi, ma può esserlo stata in ogni epoca; la più umanamente coinvolgente, perché in quella relazione pulsa (o dovrebbe pulsare, per essere una relazione sana ed equilibrata) l’amore puro.
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A Urzulei nasce il nuovo nido comunale
di Rosanna Agnese Mesina.
Dallo scorso ottobre, i bambini di Urzulei dai 18 ai 36 mesi usufruiscono del nuovo servizio nido. Un aiuto fondamentale per le mamme
In passato la cura dei bambini era un fatto condiviso da tutta la famiglia che comprendeva nonni, zie e persino i vicini di casa. Oggi la cura dei piccoli è spesso un affare esclusivo della madre, soprattutto se non ci sono familiari che possono affiancarla e dal momento che il padre solitamente svolge un ruolo marginale, specie nei primi tre anni.
E se è vero che l’asilo nido è un supporto per molte famiglie, è anche vero che spesso è una realtà possibile solo nelle grandi città o in centri abbastanza popolati e con altri servizi, e poterne usufruire non è semplice, visti i costi e le graduatorie.
A volte, però, anche l’impossibile si realizza. È ciò che è accaduto ad Urzulei, piccolo centro dove si vive a lungo – ci sono infatti tre ultracentenarie –, ma dove nascono sempre meno bambini. Nonostante questo, con coraggio e, possiamo aggiungere, con speranza, nell’autunno scorso è partito un nuovo progetto: Spazio gioco. Si chiama così, infatti, il nuovo servizio che il Comune di Urzulei ha attivato dallo scorso ottobre, grazie a leggi dello Stato e deliberazioni della Giunta comunale, che disciplinano servizi integrativi per l’infanzia tra i quali appunto il servizio di Spazio gioco. Rivolto a bambini e bambine dai 18 ai 36 mesi residenti nel comune, è stato attivato inizialmente in forma sperimentale e a titolo gratuito dal 14 Ottobre al 31 Dicembre 2024.
Da Gennaio 2025 le famiglie provvedono a una quota di contribuzione decisa sulla base dell’andamento del servizio che si svolge nei locali della ludoteca comunale dal lunedì al venerdì, dalle ore 8.30 alle 12.30.
Il servizio si pone l’obbiettivo di sostenere e supportare le famiglie nello svolgimento delle funzioni di cura e di educazione dei bambini, per favorirne la crescita; promuoverne la socializzazione e lo sviluppo della personalità; sostenerne l’acquisizione di un giusto livello di autonomia nel rispetto di ritmi e tempi personali, la partecipazione attiva nella vita comunitaria attraverso la condivisione di regole e obiettivi comuni all’interno dello spazio educativo aggregativo.
Il vincolo di essere residente nel Comune deriva dal fatto che la maggior parte della quota è di bilancio comunale. La gestione del servizio è affidata a un soggetto esterno del Terzo Settore con esperienza nei servizi educativi rivolti ai minori. A prendersi cura dei piccoli utenti provvedono un’educatrice professionale e una ausiliaria. Entrambe le figure hanno provveduto a rendere l’ambiente accogliente, utilizzando i materiali forniti dal comune, creando così un luogo dove si respira aria di gioia.
Inutile dire che l’iniziativa è stata accolta con entusiasmo dalle famiglie, in particolare dalle giovani mamme e dai piccoli che frequentano serenamente. Spazio gioco quindi si rivela un valido supporto e un luogo protetto dove lasciare il proprio bambino e poter serenamente andare a lavorare.
Un servizio che è già un fiore all’occhiello in un piccolo centro come Urzulei, primo comune dell’Ogliastra ad aver realizzato Spazio gioco. L’auspicio è che presto possa essere una realtà anche in altri comuni sarebbe davvero una cosa auspicabile.
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Un pranzo d’amore e di speranza
di Fabiana Carta.
Lo scorso 19 dicembre, la Casa Circondariale San Daniele di Lanusei ha ospitato la terza edizione dell’evento “L’alt(r)A Cucina… per un Pranzo d’Amore”
Il significato vero del Natale è racchiuso nel messaggio di speranza, di rinascita. Nella luce. Per citare papa Wojtyla il 25 dicembre 1978: «Natale è la festa dell’uomo, uno come tanti miliardi e al contempo unico e irripetibile. Se celebriamo così solennemente la nascita di Gesù è per testimoniare che ogni uomo è qualcuno, unico e irripetibile, qualcuno chiamato con il proprio nome». Gesù nasce per dirci che un’altra vita è possibile, e lo è per tutti, persino per chi è rinchiuso in un carcere.
Giovedì 19 dicembre dell’anno appena terminato, la Casa Circondariale San Daniele di Lanusei ha aperto le porte alla terza edizione dell’evento “L’Alt(r)A Cucina… per un Pranzo d’Amore”, in contemporanea ad altri quarantatré Istituti penitenziari, promosso dalle Associazioni Prison Fellowship Italia onlus, Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) e Fondazione Alleanza del RnS, con il patrocinio del Ministero della Giustizia. Quest’anno è stata preziosa la collaborazione dei volontari Caritas, insieme alla direttrice Cristiana Boi, e delle suore di Lanusei e di Tortolì.
Il progetto è partito nel 2014 in tutta Italia, da un’idea dello chef Filippo La Mantia, il quale è stato vittima di un errore giudiziario e scarcerato proprio un 24 dicembre.
L’organizzazione del pranzo gourmet è il risultato di un grande movimento di beneficenza che coinvolge tutta la Diocesi ogliastrina, guidato dai volontari del Rinnovamento nello Spirito Santo, organizzatori concreti dell’evento: c’è chi ha donato il pane, chi il formaggio, la pecora, i dolci, il caglio, la frutta. Le pietanze, impiattate una ad una per dare importanza a ogni singolo detenuto, sono state preparate dal giovane chef tortoliese Stefano Piliero, insieme a Jessica, Riccardo e Antonella, alla loro prima emozionante esperienza all’interno di un carcere.
A questa terza edizione hanno scelto di partecipare ventotto detenuti su trentadue, protagonisti assoluti dell’evento, allietato dalla musica e l’affetto degli Istentales: «Abbiamo girato tanti Istituti di pena – raccontano – ma Lanusei ci mancava. Vogliamo che le storie delle nostre canzoni siano un momento di conforto e di svago, un conforto per questi giorni di festa», hanno dichiarato durante l’esibizione. Una giornata di festa tutta dedicata ai detenuti, il carcere si veste di rosso, il vai e vieni dei volontari, la musica, i sorrisi, il cibo condiviso, le attenzioni. «Per noi volontari del Rinnovamento ogni pranzo non è mai uguale all’altro – commentano –, ci teniamo tanto che i nostri fratelli detenuti vengano trattati con dignità e rispetto. Come ci insegnano le riflessioni della nostra Chiesa, dei vescovi, dei nostri parroci, del nostro amatissimo papa Francesco, c’è vero amore quando ti interessi al prossimo più bisognoso, è proprio lui il più amato da Gesù, quello che le persone scartano. E per fare questo coinvolgiamo tutta la comunità, le parrocchie, i bambini, le persone che incontriamo per strada, nei negozi».
Perché dove abbonda il peccato, abbonda la misericordia di Dio.
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Su Scusorgiu a Villanova Strisaili
di Francesca Mereu.
Nata un anno e mezzo fa, nella frazione di Villanova Strisaili, l’associazione di promozione sociale è stata fondata da un gruppo di cittadini, stanchi di sentir dire che non si fa mai nulla e non c’è niente di nuovo.
Dopo un periodo di notevole crescita demografica, anche il centro montano, al pari di altre comunità sente il peso e la fatica, specie da un punto di vista sociale e culturale. Chiusa definitivamente la Società Sportiva Calcio, per tanti anni un vero fiore all’occhiello, in particolare nel settore giovanile, stessa sorte è toccata alla Scuola Media, datata anni sessanta.
Era impellente creare qualcosa che ne rilanciasse la vitalità e la facesse rivivere. Così è nato questo sodalizio che tenta di promuovere una variegata serie di attività. Partendo dal significato stesso della parola – su scusorgiu, “tesoro nascosto” –, si è voluto riscoprire e valorizzare l’immenso patrimonio archeologico, ambientale e antropologico che caratterizza il paese.
Così, alla vigilia dell’Immacolata, una serata di pioggia non ha scoraggiato i visitatori giunti da diverse parti dell’Ogliastra e non solo, per assaggiare cibi succulenti nella prima rassegna di Villanatale, manifestazione dedicata, nel clima magico del momento, sia alla gioia dei più piccoli, con il Villaggio di Babbo Natale, che degli adulti, con la riscoperta delle prelibatezze rese famose, negli anni passati, dalla regina della ristorazione, la mai dimenticata Zia Maria dell’Albergo del Lago. Lei, dagli anni Quaranta – quelli della costruzione della diga di Bau Muggeris – fino agli anni Ottanta, divenne famosa in tutta l’Isola. L’associazione ha già dedicato diverse giornate a rassegne di libri e una serata di ricordi scolastici a un giovane paesano, Andrea Staffa, che ha intrapreso, con successo, la carriera di attore cinematografico.
Il paese insomma ci crede e cerca di riprendere consapevolezza delle proprie unicità: affacciato sul Gennargentu, con le sue ville che si riflettono nel Flumendosa, circondato dai suoi affluenti, immerso nelle foreste secolari di querce millenarie, ricche di sorgenti e al cospetto di una miriade di insediamenti archeologici, anfratti e grotte, rifugio dei preistorici e successivamente abitate dai monaci seguaci di San Basilio, primi evangelizzatori del territorio che lasciarono in eredità la devozione per questo grande Santo.
L’Associazione intende, tra le altre cose, promuovere il turismo in tutti i suoi aspetti, soprattutto quello escursionistico e archeologico nei suoi luoghi più esclusivi: Monte Orguda, Monte Olinie, le piscine di Bau Aradulu e Bau Mela, Gennargentu, e ancora S’Arcu es Forros, Sa Carcaredda, senza dimenticare Pradu Su Chiai e Marruscu, solo per citarne alcuni.
E non mancherà di dar mano alla fiera delle bontà culinarie con i prodotti della montagna: dai formaggi e i prosciutti alle patate e alle mele. Perché Su scusorgiu, a Villanova, è davvero uno scrigno di tesori da scoprire e da sostenere
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Chiesa universale, Corpo mistico
di Augusta Cabras.
Anche la nostra Chiesa diocesana respira il soffio dello Spirito Santo e grazie a sette sacerdoti (e a numerose religiose) provenienti da diverse parti del mondo, contribuisce a diffondere la Notizia Bella del Vangelo. Una ricchezza inestimabile
«Segno evidente della cattolicità della Chiesa – dice Papa Francesco – è che essa parla tutte le lingue. E questo non è altro che l’effetto della Pentecoste: è lo Spirito Santo, infatti, che ha messo in grado gli Apostoli e la Chiesa intera di far risuonare a tutti, fino ai confini della terra, la Bella Notizia della salvezza e dell’amore di Dio. La Chiesa così è nata cattolica, cioè “sinfonica” fin dalle origini, e non può che essere cattolica, proiettata all’evangelizzazione e all’incontro con tutti».
Anche la nostra Chiesa diocesana parla tante lingue del mondo, riflesso di questa universalità, grazie alla presenza di sacerdoti e suore provenienti da diversi continenti: Africa, America, Asia.
Una ricchezza di storie, sguardi, anime giunte fino a qui per evangelizzare, per portare l’abbraccio cattolico di una Chiesa che come ama dire il papa è in uscita.
In uscita da territori e terreni conosciuti, battuti e noti per andare verso zone nuove, nella prospettiva dell’incontro, dell’accoglienza reciproca, dello scambio compassionevole.
Oggi in Italia i sacerdoti diocesani provenienti da altre nazioni sono 1476: sono 790 quelli in servizio pastorale, 686 sono studenti. A questi si aggiungono 1336 religiosi che lavorano in impegni diocesani, per un totale di 2812. Per ogni prete diocesano italiano che va in missione all’estero, (fidei donum), ce ne sono cinque che arrivano in Italia, dove coloro che accolgono la vocazione al sacerdozio sono sempre meno. L’Italia è ora terra da evangelizzare.
Nella nostra diocesi i sacerdoti sono 7, Padre Joe Eassy Matamal proveniente dall’Asia (India), religioso, non ancora incardinato;dall’Africa arrivano don Claudio Auge’, don Damiano Celeste Randrianandrianina e don Ernest Giustino Beroby, tutti e tre del Madagascar e don EgidioBula Milung del Congo. Don Joilson Macedo Oliveira arriva dal Brasile e don Alfredo Diaz dal Venezuela.
Non possiamo considerare la presenza dei sacerdoti che arrivano da altri Paesi come un rimedio alla mancanza di sacerdoti locali, ma possiamo cogliere in questa novità – per l’Italia e la Sardegna ma non per la Chiesa – il soffio dello Spirito che ci invita ad aprire il cuore, la mente, a conoscere e a sentire la vicinanza fraterna con tutte le persone della terra e a essere grati per l’apporto spirituale e di conoscenze (teologiche e non solo).
In questo modo le distanze, le diffidenze, i pregiudizi, il rischio di sentirsi in una posizione di superiorità, sono ricapitolate nel messaggio di Cristo. Come dice San Paolo: «Non c’è Giudeo né Greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». Chiesa, Corpo mistico. Da avere le vertigini.
Eppure spesso questa grandezza che commuove, si perde tra le miserie della nostra umanità, si sporca, a volte, nei pensieri e nelle parole che esprimono superiorità e peggio ancora disprezzo, verso chi arriva da terre lontane e porta una cultura diversa.
«Sono arrivato nella Diocesi di Lanusei in punta di piedi con il desiderio di incontrare i miei fratelli e le mie sorelle, di conoscere una nuova cultura e di portare il Vangelo tra la gente – racconta un sacerdote –. Qui imparo anche le tante espressioni della spiritualità popolare, così diverse dalle nostre, e le guardo con profondo rispetto. Ho conosciuto tantissime persone accoglienti e gentili, altre con un atteggiamento diffidente e razzista, ma nonostante le difficoltà, evangelizzare rimane la missione principale del sacerdote». In ogni angolo della terra e in qualunque lingua.