Editoriale
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Il futuro di Gaza alla luce del glorioso passato
di Giovanni Deiana.
Finalmente la sospirata tregua. Sembra che finalmente palestinesi e israeliani siano arrivati a un accordo: liberazione degli ostaggi e sospensione dei bombardamenti. Inutile dire che si tratta di una situazione precaria: basta un nulla perché si scateni di nuovo l’inferno dei bombardamenti. Ci si augura che il buon senso prevalga sulle rivendicazioni di poche persone. Probabilmente la storia di questa straordinaria città può illuminare sulle enormi potenzialità che Gaza possiede.
Nell’antichità Gaza era considerata la porta dell’Egitto: ciò significava che chiunque voleva accedere alle ricchezze di questa terra fortunata doveva passare per tale centro. Non solo: poiché per Gaza passava una delle strade che univa l’Egitto con tutta la costa del Mediterraneo, essa godeva del flusso commerciale tra l’Egitto, la Palestina e la penisola arabica. Proprio per tale posizione strategica le autorità egiziane ne avevano fatto un capoluogo amministrativo, sede del governatore di tutta la regione, che allora si chiamava Canaaan.
Le Lettere di el-Amarna. Su questo periodo storico siamo in possesso di una straordinaria documentazione nota agli studiosi come Lettere di el- Amarna. Sono chiamati così i testi ritrovati in una località dell’Egitto (Medio Egitto) sulla riva orientale del Nilo e che contengono la corrispondenza di Amenophi IV (1353-1336 a. C.). Le lettere sono scritte in accadico, un particolare sorprendente per una corrispondenza con l’Egitto.
Il ritrovamento fu casuale: una donna nel 1887 scavava in un cumulo di rovine e rinvenne queste tavolette; le ricerche successive portarono al numero totale di 382. Oggi è possibile leggere le lettere in traduzione nelle diverse lingue; anche in italiano abbiamo la possibilità di poter attingere al loro contenuto (M. Liverani, Le lettere di el-Amarna, Paideia, 1-2, Brescia 1998). Naturalmente le lettere sono importanti per conoscere la storia del Vicino Oriente. In esse ci sono le missive che i re locali inviavano al faraone, informandolo di quanto avveniva nelle loro città. Per quanto riguarda Gaza, sappiamo che vi risiedeva un contingente egiziano che aveva il compito di garantire la sicurezza di questa arteria di vitale importanza per gli scambi commerciali tra Egitto e Palestina. Ma ci sono anche le missive dei re di Gerusalemme e di Sichem. Il caso di Gerusalemme è di straordinaria importanza: il re si chiama Abdi-Heba e si lamenta perché il suo territorio è in continuazione assalito da bande di delinquenti che vengono chiamati Habiru. Naturalmente il nome è stato posto in relazione con “ebrei” dato a Israele in alcuni passi biblici.
L’invasione dei “popoli del mare”. Per quanto riguarda Gaza, verso il 1200 a. C. la città subì una profonda trasformazione etnica: il suo territorio fu invaso dai “popoli del mare”. Sono così chiamate etnie varie, provenienti dal Mediterraneo che tentarono di invadere l’Egitto. Ramesse III le fermò alla foce del Nilo ed ecco il resoconto che ne fa il faraone: «I popoli stranieri fecero una cospirazione nelle loro isole. Tutti i paesi furono spinti sul campo e sparpagliati per il combattimento. Nessun paese poté resistere al loro esercito: Hatti, Kode, Karkemis, Arzawa e Alashya, tutti distrutti in un sol colpo. Fu stabilito un campo in un posto di Amurru. Devastarono il suo popolo e il suo paese fu come se non fosse mai esistito. Si diressero verso l’Egitto mentre un fuoco era disposto davanti a loro. La loro confederazione comprendeva i Peleset, Tjekker, i Shekeles, i Denien e i Weshes, paesi uniti tra loro… Il seme di coloro che raggiunsero il mio confine non esiste più; il loro cuore e la loro anima sono scomparsi per sempre. Coloro che si dirigevano insieme per mare …furono trascinati con forza, circondati, uccisi e ammucchiati gli uni sugli altri. Le loro navi e i loro beni erano, per così dire, caduti nell’acqua».
Approssimativamente siamo intorno all’anno 1186 a. C. (l’incertezza è d’obbligo a causa dell’impossibilità di ricostruire una cronologia assoluta per tutta la storia egiziana), nell’ottavo anno del regno di Ramesse III. Una coalizione di popoli, partendo dall’attuale Turchia, fa piazza pulita di quanto incontra, mettendo a ferro e a fuoco ciò che trova sul cammino; distrugge così popoli di grande civiltà: i famosi Ittiti (Hatti), Karkemis, un importante snodo commerciale che regolava gli scambi tra l’area geografica della Mesopotamia e l’impero Ittita, riuscì persino a occupare l’isola di Cipro (Alashia) che riforniva di rame tutti i popoli del mediterraneo. La furia degli invasori non risparmiò nessuno; persino la grande metropoli di Ugarit fu rasa al suolo e non fu più ricostruita.
Per gli studi biblici l’iscrizione di Ramesse III è di fondamentale importanza in quanto per la prima volta compaiono sulla scena i Filistei (Peleset), quelli che saranno i nemici storici del popolo ebraico per molti secoli; infatti, dopo la sconfitta da essi subita (almeno a sentire il faraone egiziano) nel delta del Nilo, si trasferirono in Palestina e formarono la famosa pentapoli filistea, composta dalle città di Ashdod, Ascalon, Ekron, Gat e Gaza. Storicamente essi esercitarono un’influenza così straordinaria tanto che da essi la regione fu chiamata Palestina, nome derivato da filisteo. Furono essi che introdussero l’uso del ferro, di cui mantennero per lungo tempo il monopolio esclusivo (1 Sam 13,19-21). Non solo, avendo una grande esperienza commerciale riuscirono a diventare uno snodo economico: essi importavano le merci più svariate dalle popolazioni arabiche e le distribuivano con le loro navi in tutto il mediterraneo.
E non si commerciava solo incenso! Purtropponon sempre questi traffici si limitavano alle famose spezie; ecco cosa scrive Amos (1,6-8) nell’VIII secolo a. C. «Così dice il Signore: “Per tre misfatti di Gaza e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna, perché hanno deportato popolazioni intere per consegnarle a Edom. Manderò il fuoco alle mura di Gaza e divorerà i suoi palazzi, sterminerò chi siede sul trono di Asdod e chi detiene lo scettro di Àscalon; rivolgerò la mia mano contro Ekron e così perirà il resto dei Filistei”». Purtroppo il traffico degli schiavi era diffusissimo in tutto il mondo e nel bacino del mediterraneo in modo speciale. Tanto per fare un esempio, sembra che nell’isola di Delo, all’ombra del tempio di Apollo, si vendessero migliaia di schiavi ogni giorno.
«Muoia Sansone con tutti i filistei». Tutti abbiamo sentito parlare di Sansone; le sue gesta sono narrate in Giudici 13-16. L’eroe biblico riscattò con una morte eroica una vita dominata dalla stupidità. Pochi sanno che egli morì proprio a Gaza. Ecco il racconto biblico: «Sansone disse al servo che lo teneva per la mano: “Lasciami toccare le colonne sulle quali posa il tempio, perché possa appoggiarmi ad esse”. Ora il tempio era pieno di uomini e di donne; vi erano tutti i prìncipi dei Filistei e sul terrazzo circa tremila persone fra uomini e donne, che stavano a guardare, mentre Sansone faceva i giochi. Allora Sansone invocò il Signore dicendo: “Signore Dio, ricordati di me! Dammi forza ancora per questa volta soltanto, o Dio, e in un colpo solo mi vendicherò dei Filistei per i miei due occhi!”. Sansone palpò le due colonne di mezzo, sulle quali posava il tempio; si appoggiò ad esse, all’una con la destra e all’altra con la sinistra. Sansone disse: “Che io muoia insieme con i Filistei!”. Si curvò con tutta la forza e il tempio rovinò addosso ai prìncipi e a tutta la gente che vi era dentro. Furono più i morti che egli causò con la sua morte di quanti aveva uccisi in vita» (Gdc 16, 26-30).
Conclusione. Con questa storia dietro le spalle, Gaza può a buon diritto diventare la capitale di questo ipotetico Stato palestinese che già nel 1947 (29 novembre) l’ONU aveva ipotizzato, da affiancare a quello di Israele. Basterebbe solo la volontà politica di farlo nascere.
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I documenti del Concilio. L’Unità dei cristiani
di Michele Antonio Corona.
Il 21 novembre 1964, a al termine della terza sessione del Concilio Vaticano II, più di duemila vescovi approvarono il Decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio (UR), mentre solo 11 votarono contro. Così il desiderio di Giovanni XXIII che il Concilio indirizzasse la Chiesa cattolica alla ricerca dell’unità dei cristiani, ebbe pieno successo.
Il documento inizia significativamente così: «Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II». Con UR, il Concilio riconosceva ufficialmente che il movimento ecumenico – nato nel XX secolo, inizialmente all’esterno della Chiesa cattolica, come un anelito condiviso da molti di ripristinare l’unità della Chiesa di Dio – era animato dallo Spirito Santo. Il Concilio proponeva «a tutti i cattolici gli aiuti, gli orientamenti, e i modi, con i quali possano essi stessi rispondere a questa vocazione e a questa grazia divina» (UR 1).
Dopo sessant’anni dobbiamo chiederci: perché mai l’unità dei cristiani è così importante? Siamo oggi più vicini all’unità?
L’unità è principio fondamentale e strutturale per la Chiesa, se non altro per la preghiera che Gesù stesso, durante l’Ultima Cena rivolse al Padre per i suoi discepoli: «Che tutti siano una sola cosa… affinché il mondo creda» (Gv 17,23).
Evidentemente, il Decreto sull’ecumenismo non comparve di punto in bianco nel mezzo di un deserto. Nel 1910 alcuni missionari protestanti si erano riuniti a Edimburgo, in Scozia, in una conferenza mondiale sulla Missione, e avevano ufficialmente riconosciuto il danno che la divisione tra le Chiese stava causando alla predicazione del Vangelo nei paesi di missione.
L’impulso originato da tale presa di coscienza condusse in seguito all’istituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese nel 1948. Il movimento ecumenico aveva dunque un centro istituzionale e un punto di riferimento. Papa Giovanni XXIII compì un passo significativo per assicurarsi che il Concilio facesse ampio spazio alla questione dell’unità dei cristiani, invitando le Chiese e le Comunità non cattoliche a inviare osservatori al Concilio. Questa fu una straordinaria novità. La presenza e l’input di oltre cento osservatori che assistettero a parte delle sessioni conciliari per più di quattro anni fece sorgere una nuova consapevolezza della fraternità cristiana che si estende ben oltre i confini visibili della Chiesa cattolica.
Ma qual è stata la novità conciliare per favorire l’ecumenismo? Basandosi sull’ecclesiologia rinnovata che era stata formulata nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, UR ribaltò il ristretto approccio post-tridentino tipico della contro-riforma e si fondò su una tradizione più esplicitamente biblica, patristica e alto-medioevale, favorendo una rinnovata comprensione della relazione tra la Chiesa cattolica e il resto del mondo cristiano.
Descrivendo la Chiesa in termini di comunione piuttosto che di istituzione, il Concilio trovò la chiave per una nuova visione dei legami spirituali che uniscono tutti i battezzati malgrado le loro divisioni.
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Politiche del lavoro al passo coi tempi e risposte concrete
di Mario Girau.
Una mattinata di dialogo e ascolto con protagonisti i giovani, con le loro aspettative, i loro sogni, ma anche le richieste per uscire da una marginalità decisionale che troppo viene subita.
Su questo rovesciamento di prospettiva si è sviluppato il primo convegno di Pastorale sociale e del lavoro, organizzato dall’Ufficio regionale, svoltosi a Cagliari lo scorso 23 novembre.
Il tema del lavoro è stato analizzato sotto diversi aspetti. Un concetto, quello del lavoro, che negli ultimi 30 anni si è notevolmente modificato. Le testimonianze hanno visto protagonisti ragazze e ragazzi nati alla fine dello scorso secolo, e che oggi si ritrovano in mano un titolo di studio con che con fatica riescono a spendere, alla luce di aspirazioni decisamente mutate: il lavoro non più solo un mezzo di sostentamento economico, ma uno strumento capace di realizzare la persona nella sua integrità. Una richiesta indirizzata al mondo degli adulti, a chi ha potere decisionale.
Si è trattato, insomma, di una conferenza sul lavoro organizzata in stile Papa Francesco: «Solo quando incontriamo le persone possiamo dire di cominciare a comprendere le situazioni e i problemi che vivono. È il valore riconoscitivo della testimonianza, che ci permette di conoscere le situazioni».
Sono stati i giovani protagonisti dell’incontro tra realtà diocesane, operatori economici e interlocutori politici su “Le sfide epocali del nostro tempo”. Scelta voluta per dare voce alle vere “vittime” di un asfittico mercato del lavoro locale, di una regione “pessimista” dove non si ha il coraggio di mettere al mondo figli (4,6 per mille i bambini nati nel 2023, record nazionale di denatalità) perché il lavoro è precario, i servizi in alcuni settori montagne da scalare, istruzione e formazione sempre sottodimensionate rispetto alle esigenze della rivoluzione digitale e del mercato globale.
Gli under 30 interpellati hanno messo sul tavolo non ricette per risolvere l’emergenza occupazione, ma attese e condizioni per non fare le valigie e cercare fortuna in altre regioni se non all’estero. Un viaggio di sola andata verso altri stati e regioni, fatto l’anno scorso da diverse migliaia di persone.
Francesca (27 anni, psicologa, residente a Villacidro): «I giovani – dice – non cercano soltanto il posto, ma anche la possibilità di un tempo per la vita privata, un lavoro agile, competenze flessibili, con le donne non più svantaggiate».
Emanuele (25 anni) fresco laureato in economia manageriale: «Il lavoro è anche il modo di lasciare un’impronta nella mia comunità d’origine, deve consentirmi di realizzarmi nella vita privata e un salario per costruire una famiglia. È arrivato il tempo – sostiene il giovane – di parlare del lavoro fin dai primi anni della scuola superiore e attrezzare, con percorsi di orientamento, gli studenti per le sfide post-diploma».
Carla Cossu (20 anni, dorgalese, studia scienze politiche): «Il mio paese non vive la piaga dello spopolamento, il binomio turismo-agropastorizia sostiene la demografia locale e la coesione comunitaria ha permesso numerose iniziative di solidarietà durante il Covid. Il rischio emigrazione è dietro l’angolo tutte le volte che si cerca quello che un piccolo centro abitato non può dare: lavoro, servizi, quando ci si accorge di essere periferie della società, senza prospettive di vita».
Alla ricerca di quello che non c’è in Sardegna gli oltre 7 mila studenti universitari sardi iscritti in Atenei italiani o stranieri. Molti non torneranno, trattenuti da maggiori opportunità di lavoro e buste paga più pesanti oltre Tirreno, a volte rinforzati anche da “affetti continentali”. È, invece, riuscito a conciliare sogni e realtà Piero (imprenditore calangianese, 41 anni, laureato) che ha preferito far impresa a Olbia nella rigenerazione urbana piuttosto che mettersi in fila per raggiungere una cattedra universitaria: «Terra, lavoro, casa, nonostante tutto – dice – rimangono le aspirazioni di ogni giovane».
Gilberto Marras, direttore generale di Confcooperative Sardegna nonché delegato regionale della Pastorale sociale e del lavoro – intervistatore dei giovani davanti all’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi e alla presidente regionale Anci, Daniela Falconi – spiega il fiato corto del mercato del lavoro sardo: «Nel 2023 la popolazione attiva ha raggiunto quota 636mila, tasso di disoccupazione in calo soprattutto per le donne. Ma il valore aggiunto generato dal lavoro rappresenta solo un terzo del totale, il resto è andato a favore della rendita patrimoniale. Inoltre il 20-22% del valore aggiunto è gestito dall’economia informale. È necessario intervenire sulle politiche del lavoro, spostando l’attenzione sul potenziamento delle competenze dei lavoratori, attraverso una formazione professionale che deve ritornare a essere una priorità, realizzando corsi in collaborazione con le imprese locali. Creando incentivi per percorsi ingresso e uscita dal mondo del lavoro per far sì che i costi di assunzione siano ridotti».
L’arcivescovo cagliaritano, delegato dell’episcopato sardo per i problemi sociali e il lavoro, ha voluto un convegno pastorale laboratorio: problemi concreti sul tavolo e i giovani protagonisti. «Compito della Chiesa – dice il presule – è incontrare e accompagnare uomini e donne nella loro vita quotidiana. Per Papa Francesco amare le persone significa amarle dentro il loro cammino. Concretezza vuole anche il Concilio, quando chiede di presentare il Vangelo in modo adeguato al tempo in cui viviamo». E sottolinea: «I giovani combinano due aspetti: il primo è l’attesa futura, il secondo è il loro presente». Così mons. Baturi ha sintetizzato la condizione di ragazzi e ragazze, alle prese con i due elementi capaci di generare una scintilla, «come si insegna a scuola», ha ricordato l’Arcivescovo, «una potentissima immagine – ha evidenziato – di cosa sia la dignità dell’uomo, che deve desiderare un di più per sé e per i suoi cari, in termini di dignità, di qualità di vita, un di più, come è stato detto più volte, di senso, di scopo, di ragione per cui vivere e faticare».
Letture moderne della realtà sarda sollecita, infine, alle istituzioni Daniela Falconi, presidente Anci Sardegna: «Quando in un paese una scuola chiude è una grave perdita sociale, culturale, educativa. Lo spopolamento – dice la sindaca di Fonni – richiede una nuova organizzazione scolastica, che nasce, come in altri campi, da processi legislativi rinnovati in grado di generare politiche adeguate al cambiamento d’epoca. Se vogliamo invertire la tendenza allo spopolamento delle zone interne sarebbe opportuno che le amministrazioni locali ricevessero i fondi in dotazione, lasciando libera scelta sulla destinazione, in modo da realizzare progetti effettivamente necessari alle nostre comunità».
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Giustizia. I dati sull’attività del TEINO nell’anno 2023
di Ernest Justin Beroby
vicario giudiziale
Il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Nuoro – Lanusei (TEINO), nato per volontà dei Vescovi monsignor Mosè Marcia e monsignor Antonello Mura, ufficialmente attivo dal 2017 col Decreto della Segnatura Apostolica, in questi anni si è mostrato molto attento a dare sollecita risposta ai bisogni dei fedeli delle due Diocesi segnati dalla ferita di un amore spezzato.
Proprio riguardo il processo di nullità matrimoniale, in forma sintetica, si espongono alcuni dati sull’attività del Tribunale nell’anno 2023.
Al 1° gennaio 2023 risultavano pendenti 13 cause, e nel corso del 2023, sono stati introdotti 15 libelli di cui undici cause sono per il processo ordinario, due cause per il processo più breve, e altre due cause “super rato”. Pertanto, il totale di cause trattate nell’anno 2023 è di 28, di cui quelle terminate risultano 14.
Tra le cause terminate, ci sono 11 cause del procedimento ordinario con sentenze affermative e 1 causa con giudizio negativo; altre 2 cause sono state trattate con il processo più breve che ha come giudice monocratico il Vescovo con l’assistenza di due assessori.
Al 31 dicembre 2023, rimangono pendenti 14 cause di cui alcune sono ormai vicine alla decisione, altre sono invece in fase di trattazione.
Riguardo alle tipologie di cause presentate nel nostro Tribunale: come ogni anno, il capo di nullità dominante è il difetto di discrezione di giudizio, seguono il difetto di libertà interna, l’esclusione della sacramentalità, l’esclusione della prole, l’esclusione della fedeltà e il dolo.
Facendo riflessioni e considerazioni pratiche sui questi capi di nullità, in particolare riguardo il capo che si riferisce al can. 1095 n. 2 e n. 3 – mancanza di discrezione di giudizio e di libertà interna, incapacità ad assumere gli obblighi del matrimonio – viene spontaneo dire che molti si sposano inconsapevoli degli impegni che assumono nel matrimonio. Comunque la verifica della maturità psico-affettiva delle parti in causa, tranne nei casi di evidente patologia, è garantita dall’accertamento medico forense, dalla perizia, che è un elemento probante di cui il Giudice si serve per la valutazione della validità o meno di un matrimonio. Al riguardo, i tre periti accreditati al nostro Tribunale sono tecnicamente e canonicamente molto validi e celeri.
Per quanto riguarda la durata delle cause, nella sua attività il Tribunale si sta impegnando affinché vengono accorciati i tempi del giudizio perché i fedeli possano avere l’opportunità di riavvicinarsi alla Chiesa e ai sacramenti.
Si afferma in tale senso il carattere pastorale di questo Tribunale e del ruolo che ricopre nel territorio delle due Diocesi: quello di aiutare i fedeli affinché trovino l’accesso alla verità e alla giustizia, restituendo loro la serenità.
Purtroppo, per falsa informazione in merito ai costi, tante persone rinunciano a iniziare il procedimento canonico per verificare la validità o meno del loro matrimonio fallito. Invece ogni persona, in caso di tale fallimento, ha il diritto di conoscere la verità per cui la mancanza di disponibilità economiche non deve mai costituire una limitazione nell’esercizio di un tale diritto. Quindi, per favorire la prossimità tra i fedeli e l’accesso più facile al servizio di questo Tribunale, si è disposto di tenere attive le due sedi, quella di Nuoro in piazza Santa Maria della Neve, 1, e quella istruttoria di Lanusei in via Roma, 102, con i seguenti contatti: cell. 327.8165956 e 339.4211211 – email: teino2016@gmail.com.
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Siamo una terra di rughe e saggezza
di Augusta Cabras.
Sardegna, Ogliastra, terra di centenari. Terra di rughe e saggezza, di sapienza antica e passi claudicanti. Di anni regalati alla vita che spesso prosegue con serenità, mentre altre volte ha il segno della malattia e della sofferenza.
Oltre 50 sono i centenari nella blue zone sarda, e Perdasdefogu è il paese che ne ospita il numero più alto al mondo. Un record. Viviamo in una terra di longevi e con una popolazione che diventa sempre più anziana. Ma non siamo gli unici.
In una ricerca di Openpolis si legge: «L’invecchiamento della popolazione rappresenta un fenomeno che sta vivendo l’intero continente europeo, ma si stima che gli effetti saranno particolarmente importanti per l’Italia. Secondo le recenti analisi di Eurostat, nel 2100 il 32,5% della popolazione avrà più di 65 anni, contro il 21,1% registrato nel 2022. L’Italia però sarà tra gli stati con la maggiore incidenza, seconda solo a Malta. Il 35,1% della popolazione italiana nel 2100 avrà almeno 65 anni, con un incremento rispetto al 2022 di circa 11 punti percentuali.
L’Italia, al pari della Spagna, sarà invece al primo posto per quel che riguarda i residenti con più di 80 anni. Comporranno il 17,4% della popolazione del paese, circa 10 punti percentuali in più del valore registrato nel 2022. Al di là delle proiezioni, già oggi l’Italia è uno dei paesi più anziani al mondo, con 187,9 persone con almeno 65 anni ogni 100 persone con 15 anni».
Di fronte a uno scenario di questo tipo che pare non poter cambiare direzione, c’è da chiedersi quali sono e quali saranno le scelte politiche che potranno determinare il livello assistenziale adeguato alle esigenze crescenti e in continuo mutamento: parliamo di assistenza alla persona nel proprio domicilio; di assistenza attraverso la presenza diffusa di strutture accoglienti e rispondenti alle diverse tipologie di bisogno; di attività diurne di socializzazione che permettano all’anziano/a di trascorrere del tempo fuori dalla propria casa mantenendosi dentro al tessuto comunitario; di servizi sanitari diffusi nel territorio con interventi da offrire anche nel domicilio; di servizi di supporto ai familiari caregiver.
Quando l’anziano diventa non autosufficiente, non sempre le famiglie riescono a sostenere l’impegno dell’assistenza e della cura e devono chiedere aiuto all’esterno. E questo non è mai facile.
Nel territorio della nostra diocesi sono presenti diversi servizi garantiti dal pubblico e dal privato sociale, ma ancora non sono sufficienti a coprire l’intero fabbisogno. Ci chiediamo allora: quanto c’è ancora da investire? Quando questo tema diventerà prioritario nel marasma delle periodiche urgenze-emergenze?
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Ci basta Avere cuore!
di Mons. Antonello Mura.
Dieci anni fa la pastorale del turismo appariva una velleità. Per questo suscitava spontaneamente diffidenza e sospetti. Che non sono scomparsi del tutto.
In Ogliastra, in quella fase, mettere insieme turismo e pastorale era un’operazione azzardata, è la Chiesa fu l’unica, allora, ad avviare un dialogo con le organizzazioni locali e con gli enti turistici, ottenendo almeno un plauso di circostanza ma nessun atto concreto.
Per questo, dopo dieci anni, sono (siamo) riconoscenti a coloro che quasi clandestinamente offrirono incoraggiamento e appoggio, anche partecipando ai primi incontri a Tortolì nell’estate 2015, nei locali dell’ex blocchiera. Tra i primi artisti ricordo con grande simpatia due persone che non ci sono più, sempre indimenticabili: Paolo Pillonca e Pinuccio Sciola. Da loro e da altri quante parole di incoraggiamento, e quanta passione in quelle prime serate! Grazie perché ci hanno aiutato a continuare.
Dopo dieci anni dire pastorale del turismo non è più un tabù. Risuona come una musica dolce e gradevole, che ha arricchito tante serate estive a Tortolì e almeno una volta l’anno anche Lanusei.
Da cinque anni inoltre, dopo l’unione in persona episcopi di Lanuseicon Nuoro, la pastorale ha trovato spazio prima nel capoluogo e poi a La Caletta di Siniscola. Sempre con scenari adatti, temi attuali e ospiti che si mettono in gioco con le loro storie artistiche e di vita.
Il decimo anno ha un titolo che sembra una promessa, un compito: Avere cuore. L’anno è quello giusto per dirci che senza passione non si costruisce nulla, nella Chiesa come nella società. Avere cuore diventa un dovere per chi evita di rimanere alla finestra e sceglie invece di scendere in campo. Per questo tanti temi dell’edizione 2024 inviteranno a rendersi conto della realtà e a coinvolgersi direttamente per cambiarla in meglio.
Mi sta a cuore, faceva dire e scrivere Don Lorenzo Milani – che tra l’altro ricorderemo con gioia in questa edizione – ed è una scelta ancora una volta da condividere, perché l’umanità sappia prendersi cura di se stessa e del suo futuro.
Anche i turisti ci stanno a cuore, e non poco. Per questo – non solo per loro – abbiamo preparato un programma che unisce spiritualità, cultura e sguardi ampi, grandi quanto il mondo. Un viaggio da fare insieme, in compagnia di molti interpreti attivi del nostro tempo, amici dell’umanità. E che hanno un cuore. Buona estate a noi tutti!
+ Antonello Mura